Nella
sentenza n.24525 del 18 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che dalla
nullità di un licenziamento discende la possibilità di rinnovazione dell’atto
sulla base di una situazione diversa e nuova.
Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Genova aveva confermato la decisione con
la quale il Tribunale di Chiavari aveva rigettato la domanda di un dipendente
diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della revoca del licenziamento
irrogatagli dal datore di lavoro in data 25 maggio 2009, nonché di
illegittimità del licenziamento intimatogli in data 30 aprile 2009, con la condanna
dell’azienda alla sua reintegrazione in servizio, nonché al risarcimento dei
danni.
Nella
premessa, la Corte territoriale aveva riassunto i fatti di causa nei seguenti
termini:
a)
il
lavoratore, in aspettativa per malattia fino al 1° maggio 2009, aveva ricevuto
una lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto datata 30
aprile 2009; in data 25 maggio 2009 la società gli aveva inviato altra lettera
con cui aveva precisato che licenziamento del 30 aprile precedente doveva
ritenersi efficace solo dal momento in cui il lavoratore ne aveva avuto
comunicazione (6 maggio 2009);
b)
in
ogni caso, lo aveva revocato e, contestualmente, ne aveva intimato un altro,
fondato sul superamento del periodo di comporto per effetto della comunicazione
scritta, inviatagli dal lavoratore, di prolungamento del suo stato di malattia
sino al 4 giugno 2009.
Ciò
premesso, la Corte del merito aveva ritenuto che:
-
il
primo licenziamento era nullo perché intimato durante il periodo di malattia, e
prima della scadenza del periodo di comporto;
-
la
revoca del licenziamento disposta con la missiva del 25 maggio 2009 doveva
ritenersi improduttiva di effetti, in quanto non accettata dal lavoratore;
-
in
conseguenza della nullità del primo licenziamento, era legittimo l'esercizio da
parte della datrice di lavoro del nuovo potere di recesso, fondato sul
definitivo superamento del periodo di comporto.
Avverso
questa sentenza, il lavoratore aveva
proposto ricorso per Cassazione, deducendo che, poiché la Corte aveva ritenuto
inefficace la revoca in quanto da egli non accettata, ogni ulteriore indagine
avrebbe dovuto ritenersi superflua essendosi il rapporto ormai esaurito ed
essendosi così consumatosi il potere risolutorio del datore di lavoro.
In
sostanza, il ricorrente aveva sostenuto che tutti gli atti successivi al
(primo) licenziamento fossero privi di rilievo, compresa la sua missiva con la quale aveva comunicato all’azienda la
prosecuzione del periodo di aspettativa, avendo il datore di lavoro già
consumato il potere risolutorio con riferimento al superamento del periodo di
comporto.
A
ciò, il dipendente aveva aggiunto che l'ipotesi in esame non configurerebbe un
caso di nullità del licenziamento ma di illegittimità, con la conseguente sussistenza
del suo diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Investita
della questione, la Cassazione ha
rigettato il ricorso, in quanto infondato.
Nel
richiamare preliminarmente i principi più volte espressi dalla giurisprudenza
di legittimità, gli ermellini hanno osservato che, invero, in caso di
licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, ma
anteriormente alla scadenza di questo, l'atto di recesso è nullo per violazione
di norma imperativa, di cui all'art.2110 c.c., che vieta il licenziamento
stesso in costanza della malattia del lavoratore, e non già temporaneamente
inefficace, con differimento dei relativi effetti al momento della scadenza: il
superamento del comporto costituisce, infatti, ai sensi del citato art.2110
c.c., una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve,
perciò, esistere già anteriormente alla comunicazione dello stesso, per
legittimare il datore di lavoro al compimento di quest'atto, ove di esso
costituisca il solo motivo (1).
Ciò
premesso, la Suprema Corte ha sottolineato la propria intenzione di dare
continuità ad un orientamento secondo il quale dalla nullità del licenziamento
discende la possibilità di rinnovazione dell’atto.
A
tale proposito, la Corte di legittimità ha osservato che detta rinnovazione,
risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo
schema dell'art.1423 c.c., il cui intento è quello di impedire la sanatoria di un negozio nullo con
effetto ex lune e non a comprimere la
libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia
negoziale (2).
In
particolare, la Cassazione ha fatto appello alla Sentenza n.6773 del 19 marzo
2013, con la quale la Corte stessa aveva confermato la giurisprudenza secondo
cui è consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio
di forma (purché siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente
intimazione) in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del
precedente recesso, anche se la questione della validità del primo
licenziamento sia ancora sub iudice.
Tornando
sulla vicenda in questione, gli ermellini hanno poi aggiunto che, secondo quanto emerso dagli atti e non risultato
oggetto di contestazione tra le parti,
il secondo licenziamento era stato intimato sulla base di una situazione
diversa e nuova rispetto alla precedente, costituita dalla comunicazione di un
ulteriore periodo di malattia del lavoratore, che aveva determinato il
definitivo superamento del periodo di comporto.
Di
conseguenza, la continuità e la permanenza del rapporto, non interrotto
dall'atto di recesso nullo, per un verso avevano reso privo di effetto l'atto
di revoca del primo licenziamento intimato dalla società e, per altro verso,
rendevano giustificata l'irrogazione di un secondo recesso, in quanto fondato
su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dalla quale solamente, in
mancanza di tempestiva impugnazione, era derivato l'effetto estintivo del
rapporto (3).
Per
tutte le considerazioni predette, la Cassazione ha concluso con il rigetto del
ricorso e la conseguente condanna del lavoratore al pagamento delle spese processuali,
liquidate in 4.000,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre
spese generali nella misura del 15% ed agli altri accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.9869 del 21 settembre 1991; Cass., Sentenza n.12031 del 26
ottobre 1999;
2)
-
In tal senso, Cass., Sentenza n.23641 del 6 novembre 2006;
3)
-
Cass., Sentenza n.6055 del 6 marzo 2008; Cass., Sentenza n.19104 del 9 agosto
2013;