Come
è noto, lo sciopero, del quale nel nostro ordinamento non esiste una
definizione legale, si configura, di
fatto, nella mancata esecuzione della prestazione lavorativa da parte di una
collettività di dipendenti, con corrispondente perdita della relativa
retribuzione.
Nell’adempimento
di uno sciopero, i lavoratori possono delimitare il mancato svolgimento della
prestazione nell’arco di una o più
giornate, ovvero in periodi di tempo inferiori alla giornata, purché, tale
ultima ipotesi non intacchi la c.d. "minima unità tecnico
temporale", al di sotto della quale viene meno l’interesse del datore di
lavoro all’utilizzo delle energie del dipendente.
A
questo proposito, la giurisprudenza ha
esteso la nozione di sciopero anche alla
mancata prestazione dello straordinario, là dove l'astensione si estrinseca
nell’arco di una precisa delimitazione temporale relativa a tutte le attività richieste al lavoratore.
Di
contro, il rifiuto di svolgere solo
alcuni tra i compiti che il lavoratore è tenuto ad eseguire configura una ipotesi
estranea al diritto di sciopero.
E'
il caso del c.d. “sciopero delle mansioni”, comportamento costantemente ritenuto
illegittimo dalla giurisprudenza.
Nella
vicenda al vaglio della Suprema Corte, un portalettere, in violazione dell'obbligo
di sostituzione previsto dal Contratto Collettivo, si era rifiutato di
effettuare la consegna della corrispondenza di competenza di un collega
assegnatario di altra zona della medesima area territoriale.
Al
riguardo, gli ermellini hanno escluso che tale condotta potesse
rientrare nell’astensione dal lavoro straordinario o nell’astensione per un orario
delimitato e predefinito.
Nel
caso di specie, il diniego si era
risolto, piuttosto, in un illegittimo rifiuto di effettuare una delle prestazioni
dovute, assimilabile al c.d. “sciopero delle mansioni”, in quanto, tenendo
conto dell’insieme delle attività contrattualmente richieste al dipendente, la predetta
omissione aveva riguardato solo uno degli obblighi a suo carico.
Valerio
Pollastrini
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