A fronte di un’importante deregulation avviata con Jobs Act,
il legislatore ha avvertito la necessità di inserire un argine per il controllo
della legittimità delle collaborazioni coordinate e continuative. Si tratta di
un ambito che, a prescindere dall’etichetta di volta in volta assegnata dal
legislatore, rappresenta lo snodo cruciale dove si incontrato le due grandi
categorie del diritto del lavoro: quello subordinato, con il corollario di
tutele imposte dal legislatore, anche a prescindere dalla volontà delle parti e
quello autonomo, nel quale l’effettiva e sostanziale indipendenza del
prestatore deve essere oggetto di attenzione.
Il legislatore ha previsto, la possibilità per le parti di
richiedere alle commissioni di certificazione (istituite anche presso gli
ordini provinciali dei Consulenti del Lavoro) la “certificazione dell’assenza
dei requisiti” che, secondo il 1°comma dello stesso articolo, ricondurrebbero
il rapporto dichiarato autonomo alla disciplina del lavoro subordinato.
Il procedimento è destinato a certificare “l’assenza dei
requisiti di cui al comma 1” dell’art. 2. La formulazione della norma non è
felicissima. È lecito attendersi che in sede di certificazione, più che la mera
assenza di alcunché, sia opportuna la verifica della sussistenza delle
condizioni che legittimano l’autonomia e la genuinità del rapporto.
È ragionevole ritenere, alla luce di quanto osservato in
precedenza, che la genuinità del rapporto di collaborazione possa essere
certificata non soltanto quando tutti i requisiti predetti siano assenti, ma
anche quando ne manchi uno soltanto tra tutti quelli cui il primo comma fa
conseguire l’applicazione di tutela della disciplina del lavoro subordinato.
La richiesta deve provenire dalle parti congiuntamente. Al
lavoratore è riconosciuta la possibilità di farsi assistere da un rappresentante
sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro. La formulazione della
norma tende ad escludere la possibilità dell’assistenza da pare di altri
soggetti, mentre nel silenzio della legge, non pare contraria alla ratio della
stessa riconoscere l’identica possibilità di farsi assistere anche al datore di
lavoro.
La norma ha sostanzialmente una portata ricognitiva, perché
è evidente che le parti di qualsiasi contratto che implica una prestazione
lavorativa, ben possono ricorrere all’istituto della certificazione per
assicurare, attraverso l’iter amministrativo che ne consegue, certezza di
genuinità e continuità alla gestione del rapporto di lavoro instaurato.
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