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martedì 3 marzo 2015

Rivisitato l’istituto del contratto a chiamata

Nello schema di decreto legislativo sul riordino delle tipologie contrattuali, il Governo ha predisposto un restyling della disciplina del lavoro intermittente, applicabile alla generalità delle aziende, ad eccezione dei rapporti alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.

In attesa dell’approvazione definitiva, si riepiloga la nuova regolamentazione dell’istituto in commento, così come configurata dall’attuale formulazione del decreto.

Casi di ricorso al lavoro intermittente
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, anche con riferimento alla possibilità di stipulare tale contratto in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, sarà il Ministero del Lavoro, mediante decreto non regolamentare, ad  individuare i casi di legittimo ricorso al rapporto a chiamata.
Tuttavia, il contratto di lavoro intermittente può  essere sempre concluso con soggetti con età superiore a 55 anni  o inferiore a 24 anni, fermo restando, in tale ultimo caso, che il rapporto deve esaurirsi entro il venticinquesimo anno di età.
Ad eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, in tutte le ipotesi di legittima stipulazione, il contratto intermittente è ammesso, in relazione allo stesso rapporto,  per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro, da computarsi nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo, il contratto a chiamata subirà    l’automatica conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato.

Ipotesi vietate
Il ricorso al lavoro intermittente non è ammesso nelle seguenti ipotesi:

a)     per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

b)     presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessino dipendenti adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata;

c)      da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi, prevista dalla normativa sulla sicurezza.

Forma e comunicazioni
Il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi:

a)     durata ed ipotesi, oggettive o soggettive, predette, che consentono la stipulazione del contratto;

b)     luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata, che, comunque, non può essere inferiore ad un giorno lavorativo;

c)      trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove prevista;

d)    forme e modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione, nonché delle modalità di rilevazione della stessa;

e)      tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;

f)       misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta nel contratto.

Il datore di lavoro è tenuto, inoltre, ad informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali o le rappresentanze sindacali unitarie, ove esistenti, sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms o posta elettronica. In caso di violazione degli obblighi suddetti verrà applicata la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400, in relazione a ciascun dipendente per cui sia stata omessa la comunicazione. In simili casi, inoltre, non potrà applicarsi la procedura di diffida di cui all’art.13 del D.Lgs. n.124 del 23 aprile 2004.

Indennità di disponibilità
Solo nel caso in cui sia contrattualmente obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, il dipendente avrà diritto ad una indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie in relazione al periodo di reperibilità.
La misura dell’indennità è fissata dai contratti collettivi, ma, comunque, non potrà essere inferiore all’importo previsto con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Per la suddetta indennità,  esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo, i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo.
In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il dipendente è tenuto ad informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell'impedimento. Nel periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità. Ove il lavoratore non provveda all'adempimento di cui al periodo precedente, perde il diritto alla indennità di disponibilità per un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del contratto individuale.
Sempre a proposito di questa tipologia di contratto intermittente, occorre precisare, da ultimo, che il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire un motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all'ingiustificato rifiuto.

Principio di non discriminazione
Il lavoratore intermittente non deve ricevere, per la prestazione effettivamente resa, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al dipendente di pari livello, a parità di mansioni svolte.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale del dipendente intermittente è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternità, congedi parentali.

Computo del lavoratore intermittente
Ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti, il lavoratore intermittente è conteggiato nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre.

Valerio Pollastrini

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