Nel
caso di specie, un informatore scientifico farmaceutico era stato licenziato in
seguito al reiterato rifiuto di essere
affiancato dal proprio superiore nell'espletamento delle sue mansioni.
La
Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado,
aveva convertito il licenziamento per giusta causa nel più lieve recesso per giustificato motivo soggettivo, con
conseguente condanna dell’azienda al pagamento dell'indennità sostitutiva del
preavviso.
In
sostanza, la Corte milanese aveva ritenuto che la condotta posta all’oggetto
della contestazione aziendale, rientrante nell’ambito del profilo della
violazione del potere direttivo ed organizzativo, fosse idonea a giustificare
l'assunzione del provvedimento espulsivo ai danni del lavoratore, sia pure per
giustificato motivo soggettivo.
Avverso
tale decisione, il dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando,
per ciò che è qui di interesse, la circostanza che, benché richiesta da
entrambe le parti, nessuna istruttoria sarebbe stata svolta nel corso del
giudizio di merito, in assenza di motivazione da parte dei giudici del gravame,
i quali avevano acquisito come dato pacifico la circostanza della sua
insubordinazione.
Nel
ritenere la censura predetta priva di pregio, gli ermellini hanno osservato
come, per costante e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità,
il ricorrente che in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su
un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un
documento o di risultanze probatorie o processuali, abbia l'onere di indicare
specificamente le circostanze oggetto di prova o il contenuto del documento
trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla
loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo
della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il
principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione, la Suprema
Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute
nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (1).
Nello
specifico, poiché capitoli di prova non erano stati integralmente riportati, la
Cassazione ha ritenuto la suddetta
critica non suscettibile di disamina in sede
di legittimità.
Valerio
Pollastrini
1)
-
vedi fra le altre, Cass., Sentenza n.17915 del 30 luglio 2010; Cass., Sentenza
n.13677 del 31 luglio 2012; Cass., Sentenza n.48 del 3 gennaio 2014;
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