Nel
caso di specie, la lavoratrice, formalmente assunta a settembre 1999 con
contratto part-time, sostenendo di aver iniziato il proprio rapporto, di fatto,
nel gennaio dello stesso anno, aveva convenuto in giudizio l’azienda per veder
dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 27 aprile 2001.
Il
Tribunale di Messina, rigettata la domanda relativa al riconoscimento della
sussistenza del rapporto in epoca antecedente alla sua formalizzazione e la
conseguente domanda intesa a conseguire le relative differenze retributive,
aveva dichiarato illegittimo il recesso
e, pur ritenendo applicabile il regime sanzionatorio di cui all’art.18 della
Legge n.300/1970, aveva contenuto, in considerazione dell’aliunde percipiendum, il risarcimento del danno nelle dieci
mensilità rispetto alle cinquantasei viceversa decorse dalla data dell’intimato
provvedimento espulsivo, sottolineando che la dipendente, in qualità di
creditrice, avesse omesso, in contrasto con l’ordinario obbligo di diligenza,
di adoperarsi ai fini della limitazione del danno derivante dal comportamento
illecito del datore.
Investita
da entrambe le parti, la Corte di Appello di Messina aveva riformato in parte
l’impugnata sentenza, dichiarando effettivamente sussistente il rapporto a decorrere dal gennaio 1999 e dovute le
differenze retributive maturate in relazione al periodo di lavoro sommerso,
confermando la declaratoria di illegittimità del licenziamento nonché
l’applicabilità del regime di tutela reale e, tuttavia, riducendo ulteriormente il risarcimento del danno
dovuto, nella misura minima di cinque mensilità.
In
particolare, la Corte territoriale aveva così disposto ritenendo che l’espletata
prova testimoniale avesse accertato, in
fatto, la costituzione anticipata del rapporto di lavoro, nonché l’effettiva illegittima
motivazione del licenziamento, scaturito, in realtà, dal rifiuto opposto dalla
lavoratrice alla trasformazione a tempo pieno del rapporto ed in relazione al rifiuto
da ella opposto alla richiesta transattiva avanzata dalla società a soli due
mesi dall’avviso di recesso.
Parimenti,
il giudice dell’appello, in relazione al contenimento del danno, aveva ritenuto
sussistente la violazione, da parte della ricorrente, dell'obbligo di diligenza
dedotto nella sentenza del primo grado.
Successivamente
investita della questione, la Cassazione ha confermato in pieno la validità
dell’impianto motivazionale elaborato dal giudice dell’appello, sottolineandone
la coerenza con l’orientamento interpretativo consolidatosi nella
giurisprudenza di legittimità, secondo cui, anche riguardo al rapporto di
lavoro, deve considerarsi operante la regola generale di cui all’art.1227,
comma 2, c.c., che impone al creditore o al danneggiato di evitare, usando la
normale diligenza, i danni che possano essere arrecati alla propria sfera
giuridica dall’altrui comportamento illecito, sempre che ciò non risulti per i
medesimi troppo oneroso o incida in misura apprezzabile sulla loro libertà
d’azione (1).
Valerio
Pollastrini
1)
-
vedi, da ultimo, Cass., Sentenza n.24265/2013;
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