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sabato 21 febbraio 2015

Infortunio sul lavoro: condotta imprudente del collega

Nella sentenza n.7360 del 18 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha ricordato che la riconducibilità dell’incidente alla condotta imprudente di un collega del dipendente infortunato non esclude automaticamente la responsabilità del datore di lavoro.

Nel caso di specie, il dipendente di un’impresa produttrice di lastre prefabbricate in laterizio per l'edilizia, in seguito allo sganciamento di alcuni carichi movimentati, aveva subito delle gravi lesioni consistenti in "trauma cranico commotivo, toracico e gamba sinistra, otoragia", a causa delle quali aveva contratto una malattia che ne aveva messo in pericolo la vita e che gli aveva provocato  un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni.

L’infortunio si era verificato allorché il lavoratore, trovatosi sul camion aziendale per effettuare le operazioni di caricamento assieme ad una collega che aveva azionato il carro-ponte, era stato schiacciato da una lastra in cemento delle dimensioni di 200 cm x 295 cm x 15 cm di spessore e peso di circa 18 quintali, che si era sganciato a causa della rottura della boccola in acciaio ove era fissata l'asola in fune d'acciaio che la reggeva.

Al termine del primo grado di giudizio, il Tribunale di Pesaro aveva condannato, rispettivamente, il presidente e due consiglieri del Cda della società datrice di lavoro (1) per  colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia ed inosservanza delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (2), omettendo di adottare le misure tecnico organizzative idonee a ridurre al minimo i rischi connessi alle operazioni di movimentazione delle lastre prefabbricate con l'uso del carroponte, di effettuare la valutazione dei rischi connessi alla predetta attività, di provvedere ad un addestramento adeguato e specifico dei lavoratori incaricati dell'uso delle attrezzature, utilizzando, infine, ganci per gli apparecchi di sollevamento sprovvisti di dispositivi di chiusura dell'imbocco e, comunque, inidonei ad evitare lo sganciamento accidentale dei carichi movimentati.

Inoltre, i tre imputati erano stati condannati per avere omesso di adottare le misure tecnico organizzative idonee a ridurre al minimo i rischi connessi alle operazioni di movimentazione delle lastre prefabbricate con l'uso del carroponte (3) (4), nonché per avere omesso di provvedere ad un addestramento adeguato e specifico dei lavoratori addetti alla movimentazione del carico di lastre prefabbricate (5).

Tuttavia, dopo la condanna in primo grado, gli imputati erano stati assolti dalla Corte di Appello di Ancona perché “il fatto non sussiste”.

Contrariamente al giudice di prime cure, infatti, la Corte territoriale aveva ritenuto che l'incidente si fosse verificato per esclusiva colpa del collega dell’infortunato che, volgendo le spalle alla vittima, era dedito alla movimentazione del carroponte con il pulsante premuto sulla pulsantiera a uomo presente, sicché, non essendosi accorto tempestivamente della posizione assunta dalla lastra, riagganciatasi su una delle due boccole ed obliqua, non aveva potuto immediatamente rilasciare il pulsante e bloccare il movimento del carroponte così impedendo che la lastra arrivasse in prossimità dell’infortunato.

Avverso questa sentenza, il dipendente aveva proposto ricorso per Cassazione, assumendo che la Corte territoriale avrebbe: 

-         ignorato i fogli di prescrizione dell'ispettore dell'Asur che aveva elevato 4 addebiti e la relativa rilevanza causale dell'omessa adozione delle misure tecnico organizzative prescritte;

-         ignorato la prescrizione relativa alla conformazione del gancio per gli apparecchi di sollevamento;

-         ritenuto che la formazione ed informazione  fosse stata confermata dalle testimonianze assunte, contrariamente a quanto sarebbe emerso dalle stesse;

-         erroneamente ritenuto l'imprevedibilità della condotta del collega che, invece, doveva ritenersi prevedibile perché insita nella ripetitività dell'operazione;

-         erroneamente ritenuto l'abnormità della condotta del predetto lavoratore, riconducibile, invece,  all'omesso addestramento adeguato e specifico.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e, dunque, meritevole di accoglimento.

Gli ermellini, infatti, hanno sostenuto la maggiore plausibilità della ricostruzione dei fatti compiuta nella sentenza di primo grado, osservando che, nonostante i dispositivi antisgancio delle lastre fossero stati individuati e segnalati dal datore di lavoro,  non fu lo sgancio a determinare il sinistro, bensì, più verosimilmente, l'accidentale riaggancio della lastra ad una sola delle boccole.

In sostanza, la Suprema Corte ha ritenuto che la causa dell’incidente dovesse ricondursi nel comportamento imprudente posto in essere dal collega dell’infortunato, poiché, come dal medesimo ammesso, non stava guardando il carroponte.

Ma tale comportamento, pur ribadendo che l'abnormità alla quale si riferiscono le plurime sentenze della Corte di legittimità (6) risulti estensibile per identità di ratio anche nel caso che la persona del lavoratore infortunato e del lavoratore imprudente non coincidano come nella vicenda di specie, non può nemmeno qualificarsi abnorme, cioè posto in essere dal collega del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, ovvero, pur rientrando nelle mansioni sue proprie, sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

Invero, al momento dell’incidente, il lavoratore stava adempiendo ai propri compiti ed era sicuramente prevedibile, siccome connessa direttamente con la tipologia delle mansioni svolte, una distrazione del manovratore del carroponte, che, dopo aver scaricato una lastra, desse inizio all'operazione successiva senza curarsi di controllare la posizione del proprio collega, tanto più che deve escludersi l'interruzione del nesso eziologico nel caso di c.d. "assuefazione al pericolo", laddove le condotte colpose siano imputabili a "cali di attenzione" o "confidenze" nello svolgimento di attività caratterizzate dalla ripetizione delle medesime mansioni per tutto il giorno, come può essersi verificato nel caso di specie (7).

Sicché, a detta della Cassazione rimane da accertare la sussistenza in concreto della colpa del datore di lavoro. Orbene,  è vero che la ditta  aveva ottemperato alle prescrizioni formulate in un verbale ispettivo  antecedente il sinistro e che al successivo verbale di informazione  aveva partecipato anche l'infortunato, tuttavia, non può ritenersi sufficiente l'addestramento adeguato e specifico dei dipendenti addetti alle operazioni di manovra del carroponte e ciò in diretta dipendenza della mancata valutazione del rischio specifico da parte del datore di lavoro, attestata dall'omessa indicazione nel DVR (Documento di valutazione dei rischi) proprio della parte inerente alla movimentazione manuale dei carichi e dalla mancata adozione di misure tecnico amministrative idonee a ridurre al minimo ì rischi connessi alle operazioni di movimentazione delle lastre prefabbricate con l'uso del carroponte, secondo le prescrizioni imposte dalla normativa di riferimento (8).

Alla luce delle suddette considerazioni, la Cassazione, ritenendo possibile che la causa del sinistro fosse riconducibile alla responsabilità dei tre imputati, ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata, rinviando la decisione al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Valerio Pollastrini

1)      – fattispecie di reato di cui agli artt.41, 590 commi 1, 2 e 3, c.p., in relazione all'art.583, comma I n.1, c.p.;
2)      - in particolare, per violazione dell'art.2087 c.c, degli artt.35 comma 2, 4 comma 2, 37, 38 e 22 del D.Lgs n.626/94, nonché dell'art.172 del D.P.R. n.547;
3)      - reato previsto e punito dall'art.35 comma II, 89, del D.Lgs. n.626/94;
4)      - reato previsto e punito dall'art.4, comma II, del D.Lgs. n.626/94;
5)      - reato previsto e punito dagli artt.38 e 22 del D.Lgs.  n.626/94;
6)      – v. Cass., Sentenza n.40164 del 3 giugno 2004 e successive conformi;
7)      - cfr. Cass. pen., Sez. IV, Sentenza n.1352 del 9 ottobre 1992 e successive conformi;
8)      - artt.4, comma II, 35 c. II, 89, 38 e 22 del D.Lgs n.626/94;

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