Nel
caso di specie, il lavoratore aveva convenuto in giudizio l’azienda al fine di
vedere dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 16 giugno 2014
e la conseguente condanna della società
alla sua reintegrazione in servizio ed al pagamento dell’indennità risarcitoria
prevista dalla legge.
In
particolare, il ricorrente, pur non negando di aver pubblicato sulla propria
bacheca Facebook le frasi oggetto del procedimento disciplinare dal quale era
scaturito il suo licenziamento per
giusta causa, aveva sostenuto che la propria condotta, seppure "offensiva", non sarebbe stata così grave da giustificare il recesso.
Il
Tribunale piemontese, ritenuta infondata la domanda del lavoratore, ha
rigettato il ricorso.
Nella
premessa, il Giudice ha evidenziato quanto pacificamente accaduto, ricordando
che, a fine 2012, il dipendente aveva evocato in giudizio la società al fine di
vedere dichiarata la nullità del termine apposto in diversi contratti a tempo
determinato, con conseguente condanna della stessa al ripristino del rapporto
di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate, ovvero all’indennità
prevista dall’art.32 della Legge n.183/2010.
Con
sentenza n.54/2014, lo stesso Tribunale adito per dirimere l’attuale questione,
accertata la nullità del termine apposto ai contratti de quibus, aveva accolto la domanda subordinata del lavoratore in
punto risarcimento del danno.
Con
missiva del 20 maggio 2014, il ricorrente aveva quindi chiesto di poter
riprendere il servizio ed il successivo 28 maggio era stato convocato in azienda per espletare
gli adempimenti relativi alla ricostituzione del rapporto di lavoro, pur
venendo esonerato dal rendere la propria prestazione.
In
pari data, il dipendente aveva pubblicato sulla propria bacheca facebook la
lettera di riammissione in servizio, accompagnandola da un primo post del
seguente tenore: "Grazie
coglioni!!!! Beccare Cash stando a casa a grattarsi il cazzo!! Very thanks!!!
Il pacco è riveder colleghe milf arrapate con sti bacetti... odiose! Nn vedono
cazzo dall’89... Cacciate sti 100 euro a qualche gigolò... Mortacci vostre".
Nella
medesima giornata, l’uomo aveva poi
pubblicato il seguente post: "Ho
l’esclusiva con Mediaset... Ma sticazzi!! Nn potevo averla col signor
Giorgino...ARMANI. Vita grama".
Sul
punto, il giudicante ha precisato come i post predetti non fossero riservati ai
cd. "amici", ma risultassero
potenzialmente visibili dal circa miliardo di utenti del social network e che
tali commenti erano stati rimossi solamente in data 12 giugno 2014, a seguito
di esplicita diffida della società.
Al
termine di questa premessa, il Tribunale ha chiarito che l’attuale questione
consiste nel valutare se la condotta pacificamente posta in essere dal
ricorrente fosse tanto grave da impedire la prosecuzione, anche provvisoria, del
rapporto di lavoro.
Nel
ritenere più che legittimo il recesso, il giudice piemontese ha sottolineato
come i reiterati insulti gratuiti proferiti non solo nei confronti dei propri
superiori, definiti "coglioni",
ma soprattutto di colleghe del tutto estranee alle controversie che avevano contrapposto
le parti in causa, risultassero assolutamente gravi, in quanto denotanti la
volontà del ricorrente di diffamare sia la società, sia parte dei dipendenti
con le modalità potenzialmente più offensive dell’altrui reputazione.
Valerio
Pollastrini
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