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martedì 18 novembre 2014

Risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso

Nella sentenza n.21310 del 9 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che, affinché possa configurarsi una risoluzione  per mutuo consenso, è necessario che sia accertata, sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione del contratto, nonché del comportamento tenuto dalle parti, una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine al rapporto di lavoro.

Il caso di specie, per quanto qui interessa,  è giunto all’attenzione degli ermellini dopo che la Corte di Appello di Catanzaro, confermando sul punto la sentenza del Tribunale di Rossano, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al rapporto di lavoro intercorso tra le parti e, in parziale riforma della sentenza appellata, facendo riferimento a lettera del lavoratore contenente richiesta di riammissione, aveva condannato l’azienda alla sua reintegrazione in servizio.

Avverso tale sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro, che la Corte del merito  non si sarebbe pronunciata  sulla cessazione della materia del contendere desumibile  dalla lettera, intervenuta successivamente  alla sentenza di primo grado declaratoria della nullità del termine, con la quale il lavoratore avrebbe rinunciato al ripristino del rapporto.

La ricorrente, inoltre, aveva censurato la sentenza impugnata perché, a suo dire, avrebbe trascurato di attribuire rilevanza di mutuo consenso alla inerzia del dipendente per un periodo notevole nell'impugnare il termine apposto al contratto, attribuendo al datore di lavoro l'onere di provare le circostanze atte a dimostrare lo scioglimento del rapporto.

Infine, la società aveva lamentato che la sentenza impugnata avrebbe trascurato, parimenti, l'inerzia del lavoratore nella ricerca di altra occupazione.

Investita della questione, la Cassazione ha osservato come la Corte territoriale avesse correttamente maturato la propria decisione conformandosi i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (1), allorché aveva stabilito che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto fosse insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

La Suprema Corte ha quindi ribadito che, in un giudizio instaurato per il riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata, sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali, ulteriori, circostanze significative, una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

A questo proposito, sempre la Cassazione ha già avuto modo di precisare (2), altresì, come il solo decorso del tempo o la semplice inerzia del lavoratore, successiva alla scadenza del termine, siano insufficienti a ritenere sussistente la risoluzione per mutuo consenso, costituente pur sempre una manifestazione negoziale, che, quand’anche tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo, in conseguenza della mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto di lavoro (3).

In sostanza, una mera inerzia del lavoratore nel far valere i suoi diritti, non implica, necessariamente,   una sua  manifestazione di volontà tacita di rinunciare agli stessi.

A ciò, inoltre, gli ermellini hanno aggiunto che l’eventuale reperimento di altra occupazione non costituisce un elemento indicativo della volontà del dipendente di rinunciare ai diritti maturati verso il precedente datore di lavoro, in quanto, una volta cessato il rapporto, la necessità di trovare un nuovo impiego appare, evidentemente, finalizzata al suo mero sostentamento quotidiano.

Valerio Pollastrini

 
1)      – Cass., Sentenza n.20390 del 28 settembre 2007; Cass., Sentenza n.23554 del 17 dicembre 2004; Cass., Sentenza n.26935 del 10 novembre 2008;
2)      - da ultimo, Cass., Sentenza n.1780 del 28 gennaio 2014;
3)      - in tema, si richiama anche Cass., Sentenza n.2279 del 01 febbraio 2010 ove questa Corte, sulla base del medesimo principio, ha ritenuto non censurabile la motivazione della sentenza di merito la quale, nel ritenere che la mera inerzia del lavoratore non poteva essere interpretata come fatto estintivo del rapporto, aveva fatto riferimento a valutazioni di tipicità sociale, valorizzando sia la durata limitata della inerzia del lavoratore - tempo considerato congruo per decidere di intraprendere la via giudiziaria ed impostare la difesa -, sia la notoria circostanza relativa all'affidamento che il lavoratore precario normalmente ripone sulla prospettiva di futuri contratti a termine, nonché al timore di pregiudicare tale esito con l'iniziativa giudiziaria;

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