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giovedì 20 novembre 2014

Licenziamento disciplinare – Criteri di valutazione dell’immediatezza della contestazione

Nella sentenza n.24335 del 14 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha ricordato che il giudice, nel decidere sulla legittimità di un licenziamento disciplinare, deve valutare il requisito dell’immediatezza della contestazione tenendo conto della complessità delle indagini sulla condotta del lavoratore.

La Corte di Appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto  illegittimo il licenziamento intimato  ad un dipendente  che, secondo il datore di lavoro, era venuto meno ai doveri fondamentali ed al quale era stato contestato di aver commesso numerose e gravi inadempienze nella liquidazione dei sinistri (circa 100) macroscopicamente falsi o palesemente sospetti, senza aver ottenuto l’autorizzazione della Compagnia.

La Corte anzidetta, tuttavia, aveva negato  alla società il diritto al ristoro dei danni provocati dalle suddette liquidazioni, attesa la tolleranza aziendale della deviazione dalle generali direttive in tema di osservanza delle procedure di accertamento dei sinistri.

Su ricorso della società, la Corte di Cassazione, con sentenza n.6023/2011, aveva annullato la decisione impugnata.

In particolare, la Suprema Corte aveva ritenuto fondata la censura con la quale la società aveva denunciato il difetto di motivazione dell’impugnata sentenza sulla ritenuta non tempestività della contestazioni disciplinari e, conseguentemente, aveva ritenuto la decisione del giudice dell’appello viziata nella parte in cui aveva dichiarato illegittimo il licenziamento.

A tale ultimo riguardo, gli ermellini avevano precisato  che la liquidazione di falsi sinistri costituiva una circostanza che minava irrimediabilmente il rapporto di fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro e che, dunque, giustificava il recesso della società.

A ciò si aggiunga, inoltre, che la decisione della Corte del merito non si era incentrata sulla specifica condotta del dipendente, risolvendosi, infatti, nell’esame, in termini generali, del difficile tessuto socio-economico-criminale dell’area casertana, in cui operava il lavoratore.

In proposito, la Cassazione aveva precisato che l’imperversare della criminalità non poteva  atteggiarsi ad esimente della condotta del lavoratore e giustificare la reiterata liquidazione di falsi sinistri, dovendo piuttosto quest’ultimo richiedere un tempestivo intervento degli organi societari, ovvero rivolgersi, per la denuncia dei singoli casi, agli organi di polizia giudiziaria.

Per tali ragioni, gli ermellini avevano quindi rinviato un nuovo esame della causa alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Investita della questione, la Corte anzidetta aveva ritenuto tempestive le contestazioni disciplinari e, pertanto, aveva dichiarato legittimo il licenziamento, in quanto sorretto da giustificato motivo soggettivo, ed aveva, altresì, condannato la società a corrispondere al dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso.

Anche in questo caso, inoltre, il giudice dell’appello aveva rigettato la richiesta di danni avanzata dalla società per effetto delle irregolari liquidazioni operate dal lavoratore.

Avverso questa sentenza, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo, riguardo alla ritenuta tempestività delle contestazioni disciplinari, che la sentenza impugnata, nell’affermare che per i fatti in questione era stata promossa azione penale nei confronti del ricorrente, con successiva archiviazione del procedimento, e che la società aveva avuto cognizione della irregolarità dei sinistri solo a seguito della instaurazione di tale procedimento, aveva reso una motivazione del tutto inadeguata ed insufficiente.

Sul punto, infatti, il lavoratore aveva rilevato come le predette contestazioni disciplinari fossero avvenute uno o due anni dopo la liquidazione dei sinistri, nonostante, nello stesso periodo, vi fossero state nell'ufficio di Caserta nel quale lo stesso operava  reiterate ispezioni disposte dai superiori gerarchici. Da ciò ne conseguirebbe, pertanto, che l'Azienda sarebbe stata a conoscenza delle irregolarità commesse. Circostanza, quest’ultima, che renderebbe ingiustificato  il ritardo con il quale vennero effettuate le suddette contestazioni.

Secondo il ricorrente, infine, la Corte del merito sarebbe incorsa in "contraddittorietà, erroneità ed insufficiente motivazione" laddove, pur ritenendo provati l'ambiente malavitoso e la grave situazione di pericolo esistenti presso l’ispettorato sinistri di Caserta, aveva ritenuto legittimo il recesso datoriale sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo.

A ciò, il lavoratore aveva aggiunto come, nonostante le pressioni intimidatorie subite, fosse riuscito a non liquidare circa 400 pratiche di sinistri, definite "malavitose" dagli stessi organi aziendali.

E proprio di quel particolare ambiente socio-economico l’azienda  sarebbe stata a conoscenza, così come, parimenti, non solo avrebbe avuto cognizione che i sinistri irregolarmente liquidati fossero inferiori all’importo di 1.500,00 €, ma li avrebbe addirittura autorizzati al fine di salvaguardare l’incolumità dei liquidatori ivi operanti.

In sostanza, a suo dire, nella vicenda in commento, il ricorrente non avrebbe commesso alcun inadempimento, da qui l’illegittimità del licenziamento subito.

Chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla questione, la Cassazione ha ricordato che, nell’annullare in passato la prima sentenza della Corte di Appello, aveva osservato, con riguardo alla ritenuta tardività della contestazione disciplinare, che quel giudice aveva omesso di considerare che la regola dell’immediatezza doveva essere posta in relazione alla laboriosità delle indagini, alla complessità dei controlli, ai fascicoli da esaminare e al numero delle procedure irregolari di liquidazione denunciate.

La Corte del merito, rilevando che il ricorrente, nel procedere alla liquidazione dei sinistri non si era attenuto alle direttive precedentemente impartite dalla società, e, nel rimarcare che per tali irregolarità  era stato sottoposto a procedimento penale, aveva affermato che solo a seguito di tale procedimento la società aveva avuto piena cognizione degli illeciti commessi.

Ad avviso della Corte territoriale, tale circostanza, unitamente alla complessità dei controlli da effettuare e al rilevante numero di sinistri irregolarmente liquidati, aveva giustificato il ritardo con il quale erano state effettuate le due contestazioni disciplinari.

Tornando al caso di specie, gli ermellini hanno ritenuto che, nel ritenere legittimo il recesso, la Corte del merito aveva correttamente applicato i principi enunciati dalla Cassazione con la precedente sentenza di annullamento.

In quella occasione, infatti, la Suprema Corte aveva precisato che l’imperversare della criminalità non poteva atteggiarsi ad esimente della condotta del lavoratore e giustificare la reiterata liquidazione di falsi sinistri, dovendo piuttosto il lavoratore richiedere un tempestivo intervento degli organi societari, ovvero rivolgersi, per la denuncia dei singoli casi, agli organi di polizia giudiziaria.

Il giudice dell’appello, uniformandosi a tale principio, pur riconoscendo che le liquidazioni dei sinistri erano condizionate dall’ambiente malavitoso e che il ricorrente era oggetto di intimidazioni e minacce, aveva aggiunto che tali circostanze non erano idonee ad escludere la responsabilità del lavoratore.

Ciò detto, la Cassazione ha poi precisato come fosse pacifico il fatto che il ricorrente  avesse liquidato incidenti falsi, senza che risultasse provata la supposta preventiva autorizzazione in tal senso dell’azienda.

Dall’istruttoria, inoltre,  era emerso che i liquidatori avevano l’obbligo di segnalare i sinistri sospetti al capo area, il quale, a sua volta,  avrebbe dovuto informarne la direzione. Ed, infatti, circa 400 richieste di liquidazioni sospette,  non contestate al ricorrente, erano state, per l’appunto, bloccate dai liquidatori.

In tale contesto,  la Corte del merito aveva rimarcato come il ricorrente "piuttosto che rimanere fedele alla società", esponendosi a rischi, avesse preferito tutelare la propria incolumità personale, procedendo alla liquidazione di falsi sinistri, perpetrando, così, una condotta che aveva  giustificato il suo licenziamento.

Si tratta di una conclusione confermata dalla Cassazione che, conseguentemente, ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

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