La
Corte di Appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, aveva
ritenuto illegittimo il licenziamento
intimato ad un dipendente che, secondo il datore di lavoro, era venuto
meno ai doveri fondamentali ed al quale era stato contestato di aver commesso
numerose e gravi inadempienze nella liquidazione dei sinistri (circa 100)
macroscopicamente falsi o palesemente sospetti, senza aver ottenuto
l’autorizzazione della Compagnia.
La
Corte anzidetta, tuttavia, aveva negato
alla società il diritto al ristoro dei danni provocati dalle suddette
liquidazioni, attesa la tolleranza aziendale della deviazione dalle generali
direttive in tema di osservanza delle procedure di accertamento dei sinistri.
Su
ricorso della società, la Corte di Cassazione, con sentenza n.6023/2011, aveva
annullato la decisione impugnata.
In
particolare, la Suprema Corte aveva ritenuto fondata la censura con la quale la
società aveva denunciato il difetto di motivazione dell’impugnata sentenza sulla
ritenuta non tempestività della
contestazioni disciplinari e, conseguentemente, aveva ritenuto la decisione del
giudice dell’appello viziata nella parte in cui aveva dichiarato illegittimo il
licenziamento.
A
tale ultimo riguardo, gli ermellini avevano precisato che la liquidazione di falsi sinistri
costituiva una circostanza che minava irrimediabilmente il rapporto di fiducia
che sta alla base del rapporto di lavoro e che, dunque, giustificava il recesso
della società.
A
ciò si aggiunga, inoltre, che la decisione della Corte del merito non si era
incentrata sulla specifica condotta del dipendente, risolvendosi, infatti,
nell’esame, in termini generali, del difficile tessuto
socio-economico-criminale dell’area casertana, in cui operava il lavoratore.
In
proposito, la Cassazione aveva precisato che l’imperversare della criminalità
non poteva atteggiarsi ad esimente della
condotta del lavoratore e giustificare la reiterata liquidazione di falsi
sinistri, dovendo piuttosto quest’ultimo richiedere un tempestivo intervento
degli organi societari, ovvero rivolgersi, per la denuncia dei singoli casi,
agli organi di polizia giudiziaria.
Per
tali ragioni, gli ermellini avevano quindi rinviato un nuovo esame della causa
alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.
Investita
della questione, la Corte anzidetta aveva ritenuto tempestive le contestazioni
disciplinari e, pertanto, aveva dichiarato legittimo il licenziamento, in
quanto sorretto da giustificato motivo soggettivo, ed aveva, altresì,
condannato la società a corrispondere al dipendente l’indennità sostitutiva del
preavviso.
Anche
in questo caso, inoltre, il giudice dell’appello aveva rigettato la richiesta
di danni avanzata dalla società per effetto delle irregolari liquidazioni
operate dal lavoratore.
Avverso
questa sentenza, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo,
riguardo alla ritenuta tempestività delle contestazioni disciplinari, che la
sentenza impugnata, nell’affermare che per i fatti in questione era stata
promossa azione penale nei confronti del ricorrente, con successiva
archiviazione del procedimento, e che la società aveva avuto cognizione della
irregolarità dei sinistri solo a seguito della instaurazione di tale
procedimento, aveva reso una motivazione del tutto inadeguata ed insufficiente.
Sul
punto, infatti, il lavoratore aveva rilevato come le predette contestazioni
disciplinari fossero avvenute uno o due anni dopo la liquidazione dei sinistri,
nonostante, nello stesso periodo, vi fossero state nell'ufficio di Caserta nel
quale lo stesso operava reiterate
ispezioni disposte dai superiori gerarchici. Da ciò ne conseguirebbe, pertanto,
che l'Azienda sarebbe stata a conoscenza delle irregolarità commesse. Circostanza,
quest’ultima, che renderebbe ingiustificato il ritardo con il quale vennero effettuate le suddette
contestazioni.
Secondo
il ricorrente, infine, la Corte del merito sarebbe incorsa in "contraddittorietà, erroneità ed
insufficiente motivazione" laddove, pur ritenendo provati l'ambiente
malavitoso e la grave situazione di pericolo esistenti presso l’ispettorato
sinistri di Caserta, aveva ritenuto legittimo il recesso datoriale sotto il
profilo del giustificato motivo soggettivo.
A
ciò, il lavoratore aveva aggiunto come, nonostante le pressioni intimidatorie
subite, fosse riuscito a non liquidare circa 400 pratiche di sinistri, definite
"malavitose" dagli stessi
organi aziendali.
E
proprio di quel particolare ambiente socio-economico l’azienda sarebbe stata a conoscenza, così come,
parimenti, non solo avrebbe avuto cognizione che i sinistri irregolarmente liquidati
fossero inferiori all’importo di 1.500,00 €, ma li avrebbe addirittura
autorizzati al fine di salvaguardare l’incolumità dei liquidatori ivi operanti.
In
sostanza, a suo dire, nella vicenda in commento, il ricorrente non avrebbe
commesso alcun inadempimento, da qui l’illegittimità
del licenziamento subito.
Chiamata
nuovamente a pronunciarsi sulla questione, la Cassazione ha ricordato che, nell’annullare
in passato la prima sentenza della Corte di Appello, aveva osservato, con
riguardo alla ritenuta tardività della contestazione disciplinare, che quel
giudice aveva omesso di considerare che la regola dell’immediatezza doveva
essere posta in relazione alla laboriosità delle indagini, alla complessità dei
controlli, ai fascicoli da esaminare e al numero delle procedure irregolari di
liquidazione denunciate.
La
Corte del merito, rilevando che il ricorrente, nel procedere alla liquidazione
dei sinistri non si era attenuto alle direttive precedentemente impartite dalla
società, e, nel rimarcare che per tali irregolarità era stato sottoposto a procedimento penale,
aveva affermato che solo a seguito di tale procedimento la società aveva avuto
piena cognizione degli illeciti commessi.
Ad
avviso della Corte territoriale, tale circostanza, unitamente alla complessità
dei controlli da effettuare e al rilevante numero di sinistri irregolarmente
liquidati, aveva giustificato il ritardo con il quale erano state effettuate le
due contestazioni disciplinari.
Tornando
al caso di specie, gli ermellini hanno ritenuto che, nel ritenere legittimo il
recesso, la Corte del merito aveva correttamente applicato i principi enunciati
dalla Cassazione con la precedente sentenza di annullamento.
In
quella occasione, infatti, la Suprema Corte aveva precisato che l’imperversare
della criminalità non poteva atteggiarsi ad esimente della condotta del
lavoratore e giustificare la reiterata liquidazione di falsi sinistri, dovendo
piuttosto il lavoratore richiedere un tempestivo intervento degli organi
societari, ovvero rivolgersi, per la denuncia dei singoli casi, agli organi di
polizia giudiziaria.
Il
giudice dell’appello, uniformandosi a tale principio, pur riconoscendo che le
liquidazioni dei sinistri erano condizionate dall’ambiente malavitoso e che il
ricorrente era oggetto di intimidazioni e minacce, aveva aggiunto che tali
circostanze non erano idonee ad escludere la responsabilità del lavoratore.
Ciò
detto, la Cassazione ha poi precisato come fosse pacifico il fatto che il ricorrente avesse
liquidato incidenti falsi, senza che risultasse provata la supposta preventiva autorizzazione
in tal senso dell’azienda.
Dall’istruttoria,
inoltre, era emerso che i liquidatori
avevano l’obbligo di segnalare i sinistri sospetti al capo area, il quale, a
sua volta, avrebbe dovuto informarne la
direzione. Ed, infatti, circa 400 richieste di liquidazioni sospette, non contestate al ricorrente, erano state, per
l’appunto, bloccate dai liquidatori.
In
tale contesto, la Corte del merito aveva
rimarcato come il ricorrente "piuttosto
che rimanere fedele alla società", esponendosi a rischi, avesse
preferito tutelare la propria incolumità personale, procedendo alla
liquidazione di falsi sinistri, perpetrando, così, una condotta che aveva giustificato il suo licenziamento.
Si
tratta di una conclusione confermata dalla Cassazione che, conseguentemente, ha
concluso con il rigetto del ricorso.
Valerio
Pollastrini
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