Nel
caso di specie, un cittadino tunisino, presente in Italia regolarmente dal
2003, in data 14 maggio 2009 aveva richiesto alla Questura di Verona il permesso di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
La
Questura, tuttavia, con provvedimento del 15 febbraio 2012, aveva rifiutato l’istanza
predetta, in quanto, l’8 marzo 2010, il
richiedente risultava destinatario di sentenza irrevocabile di condanna ad otto
mesi di reclusione e 2.000,00 € di multa per il reato di detenzione illecita di
sostanze stupefacenti in concorso.
Detto
provvedimento di diniego era stato impugnato dallo straniero dinnanzi al TAR per il Veneto, che, però, ne aveva
respinto la domanda.
Nel
ricorrere al Consiglio di Stato, il cittadino tunisino aveva lamentato come per
la condanna posta a fondamento del rigetto della domanda avesse ottenuto la
sospensione condizionale della pena.
Secondo
il ricorrente, inoltre, il reato oggetto
della predetta condanna concernerebbe una quantità modesta di sostanze
stupefacenti.
Infine,
sempre a detta del ricorrente, il TAR avrebbe tratto il proprio convincimento, senza considerare le sue situazioni lavorativa e familiare, la
condotta tenuta nei due anni successivi alla citata condanna, la precedente
incensuratezza, nonché l’assenza di rapporti con il Paese d’origine.
Investito
della questione, il Consiglio di Stato ha ricordato nella premessa che, nella
specie, il diniego dell’istanza era stato opposto (1) nella considerazione che "la regolarità (...) è stata utilizzata dal
richiedente non tanto per inserirsi socialmente e per consolidare un proprio nucleo
familiare, bensì per porre in essere un’attività criminosa parallela a quella
lecita" di "oggettiva
gravità", ribandendosi che "lo
straniero nonostante avesse da tempo un titolo di soggiorno ha preferito porre
in essere un’attività criminosa parallela a quella lecita, che, seppur riferita
ad un unico fatto, quale per l’appunto in materia di stupefacenti, per la sua
gravità appare sufficiente a sostenere la valutazione di pericolosità sociale
ritenendo ampiamente superiore la tutela dell’interesse pubblico affinché non
permangano sul territorio nazionale soggetti condannati, rispetto alla durata
del loro soggiorno nel territorio nazionale".
Tale
motivazione è, in realtà, solo apparente e tautologica, poiché reintroduce
l’automaticità del diniego a fronte di una condanna per una determinata
tipologia di reati, a prescindere da ogni ulteriore valutazione imposta dalla
normativa applicata.
Ed
infatti l’art.9 del D.Lgs. n.286/1998, nel disporre al quarto comma che il
permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere
rilasciato a "stranieri pericolosi
per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato", richiede che nella
valutazione di pericolosità sociale "si
tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate
dall’articolo 1 della Legge n.1423 del 27 dicembre 1956", di "eventuali condanne ... per reati i previsti"
dagli artt.380 cod proc. pen. e, se non colposi, 381 dello stesso codice,
nonché, ai fini del diniego, si tiene conto "altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e
dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero".
Tornando
al caso di specie, il Collegio ha osservato che
il giudizio di pericolosità era stato effettuato in base al solo titolo
dell’unica condanna e, quindi, astrattamente e senza considerarne il contesto,
ovverosia l’applicazione della pena su richiesta, il "riconoscimento della lieve entità" del reato, la "prognosi che l’imputato si asterrà dal
commettere ulteriori reati, attesa la sua incensuratezza, l’assenza di pendenze
giudiziarie e di precedenti di polizia", il lasso di tempo trascorso
dalla commissione del reato e la condotta tenuta dall’istante in tale periodo (2).
Inoltre,
l’impugnata sentenza non aveva preso in considerazione, oltre la durata del
soggiorno, la situazione sociale, familiare e lavorativa dell’interessato,
paradossalmente assunta quale elemento a carico del medesimo, piuttosto che in
senso favorevole.
Sul
punto, il Collegio ha poi ricordato che, anche in tema di ordinario permesso di
soggiorno, a termine del più rigido art.5, comma 5, (3), l’Amministrazione deve tener conto di quelle
peculiari circostanze che nel sistema della normativa in materia introducono un
temperamento, trasformando da vincolato in discrezionale il diniego del
permesso pur in presenza di presupposti che, in linea generale, sarebbero
tassativamente ostativi, quali i "sopraggiunti
nuovi elementi che ne consentano il rilascio" e, nel caso dello
straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o,
comunque, che abbia legami familiari nel territorio dello Stato, ovvero del
familiare ricongiunto, prescrive la valutazione "della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato
e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine,
nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della
durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale".
Per
tutte le richiamate considerazioni, il Consiglio di Stato, in conclusione, ha
accolto l’appello proposto dallo straniero.
Valerio
Pollastrini
1)
-
in ritenuta applicazione degli artt.4, commi 3 e 5, 5, e 9, commi 4 e 9, del
D.Lgs. n.286/1998, degli artt.3, comma 3, e 12, commi 1 e 2, del D.P.R.
n.394/1999 e dell’art.1, comma 3, della Legge n.1423/1956;
2)
–
significativo, in proposito, è che, come risulta in atti, con istanza datata 5
marzo 2014 il ricorrente aveva chiesto la riabilitazione;
3)
-
come innovato dal D.Lgs. n.5 dell’8 gennaio 2007 e letto alla luce della
sentenza n.202 del 18 luglio 2013 della Corte Costituzionale;
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