La
domanda della pronuncia pregiudiziale in commento riguarda l’interpretazione
della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo parziale del 6 giugno 1997, contenuto nell’allegato alla Direttiva
97/81/CE del 15 dicembre 1997, relativa
all’Accordo Quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e
dalla CES, come modificata dalla Direttiva 98/23/CE del 7 aprile 1998, nonché sull’interpretazione
dell’articolo 28 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Nello
specifico, la controversia da cui è scaturita la domanda suddetta è quella tra
una confederazione sindacale austriaca, l’Österreichischer Gewerkschaftsbund, e
l’Associazione delle Banche e dei Banchieri Austriaci, Verband Österreichischer Banken und Bankiers (
in prosieguo: il “VÖBB”), in merito ad un assegno per figli a carico erogato
sulla base del Contratto Collettivo applicabile agli impiegati di banche e
banchieri (in prosieguo: il “CCBB”).
Il quadro
normativo di riferimento
La normativa Ue
Ai
sensi della clausola 1, lettera a), lo
scopo dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo parziale è quello di “assicurare la soppressione delle
discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare
la qualità del lavoro a tempo parziale”.
La
clausola 4 dell’Accordo Quadro, rubricata “Principio
di non-discriminazione”, prevede
quanto segue:
“1. Per quanto attiene alle condizioni di
impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno
favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo
di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia
giustificato da ragioni obiettive.
2. Dove
opportuno, si applica il principio del “pro rata temporis”.
(...)”.
La normativa
austriaca
L’articolo
19d della legge sull’orario di lavoro (1) dispone:
“Il lavoro è a tempo parziale quando il
numero convenuto di ore lavorative settimanali è, in media, inferiore al numero
normale di ore di lavoro previsto dalla legge per ciascuna settimana o
inferiore al numero normale di ore di lavoro per ciascuna settimana previsto
dal contratto collettivo applicabile.
(...)
I lavoratori a
tempo parziale non possono subire svantaggi rispetto ai lavoratori a tempo
pieno per il fatto di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente
sia giustificato da ragioni oggettive (...).
In caso di
contenzioso, il datore di lavoro deve fornire la prova che qualsiasi condizione
meno favorevole non sia fondata sul fatto che l’attività lavorativa sia
prestata a tempo parziale”.
A
termini del Capo III del CCBB, intitolato “Prestazioni
sociali”, “gli assegni familiari e
gli assegni per i figli a carico sono attribuiti a titolo di prestazione
sociale”.
L’articolo
21, paragrafo 2, del CCBB, intitolato “Assegno
di famiglia”, prevede quanto segue:
“Gli assegni di famiglia per (...) lavoratori
a tempo parziale si calcolano dividendo la somma erogabile ai lavoratori a
tempo pieno per il numero di ore lavorative settimanali del tempo pieno, come
previsto dal contratto collettivo (cioè 38,5 ore), e moltiplicando il risultato
per il numero di ore lavorative settimanali (...) convenuto”.
L’articolo
22 del CCBB, intitolato “Assegno per
figli a carico”, dispone:
“I lavoratori hanno diritto ad un assegno per
figli a carico per ciascun figlio per il quale la legge conferisca loro il
diritto a un assegno familiare e purché forniscano prova di averlo ricevuto
(...)
(…)
L’articolo 21,
paragrafo 2 (...), si applica per analogia agli assegni per figli a carico”.
Le questioni
pregiudiziali poste nel procedimento principale
L’Österreichischer
Gewerkschaftsbund, in rappresentanza degli impiegati del settore bancario austriaco, aveva
presentato una domanda inerente al procedimento speciale di cui all’articolo
54, paragrafo 2, della Legge relativa alle competenze ed al procedimento in
materia di previdenza sociale e diritto del lavoro (2).
Detta
domanda, in particolare, era stata avanzata
contro il VÖBB, l’organismo preposto alla rappresentanza dei datori di
lavoro del settore bancario austriaco, al fine di ottenere dalla Corte Suprema
austriaca (3) il diritto per
i lavoratori rappresentati, impiegati a tempo parziale, al pagamento per intero
dell’assegno per figli a carico, previsto dall’articolo 22, paragrafo 1, del
Contratto Collettivo di riferimento e non solo ad un importo calcolato
proporzionalmente alla durata del loro orario di lavoro.
Investita
della questione, la Corte Suprema, nutrendo dubbi in ordine alla portata del
principio del “pro rata temporis” nel
procedimento pendente dinanzi ad essa, aveva deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte Europea le seguenti questioni
pregiudiziali:
1) – Se il principio “pro rata temporis” ai sensi della
clausola 4, paragrafo 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale si
applichi (in quanto opportuno) a un assegno per figli a carico, disciplinato da
un contratto collettivo, che costituisce una prestazione sociale del datore di
lavoro a parziale compensazione degli oneri finanziari a carico dei genitori
per il mantenimento del figlio per il quale viene percepito l’assegno, a motivo
della natura di tale prestazione.
2) - In caso di risposta negativa alla prima questione:
Se la clausola 4, paragrafo 1, dell’accordo quadro
sul lavoro a tempo parziale debba essere interpretata nel senso che una
disparità di trattamento del lavoratore a tempo parziale dovuta alla
diminuzione percentuale del diritto all’assegno per figli a carico in
proporzione all’orario di lavoro – in considerazione dell’ampio margine
discrezionale delle parti sociali nella definizione di un determinato scopo di
politica sociale ed economica e delle misure atte a raggiungere tale scopo –
sia oggettivamente giustificata, presumendo che un divieto di attribuzione
proporzionale:
a)
renda più
difficile o impossibile l’impiego a tempo parziale sotto forma di riduzione
dell’orario dei genitori e/o i lavori di minima entità durante i periodi di
congedo parentale;
b)
provochi
distorsioni della concorrenza dovute a maggiori oneri finanziari per i datori
di lavoro con numerosi lavoratori a tempo parziale, oltre a comportare una
minore disponibilità dei datori di lavoro ad assumere lavoratori a tempo
parziale,
c)
favorisca i
lavoratori a tempo parziale che intrattengono più rapporti di lavoro a tempo
parziale e godono di più diritti a una prestazione prevista da un contratto
collettivo quale l’assegno per figli a carico, o
d)
favorisca i
lavoratori a tempo parziale, in quanto essi dispongono di più tempo libero
rispetto ai lavoratori a tempo pieno e quindi godono di migliori opportunità
per la cura dei figli.
3) In caso di risposta negativa alla prima e alla
seconda questione:
Se
l’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debba
essere interpretato nel senso che, in un regime giuslavoristico nel quale una
parte preponderante degli standard minimi previsti dal diritto del lavoro è
stabilita sulla base di valutazioni concordi in materia di politica sociale cui
sono pervenute parti contraenti del contratto collettivo particolarmente
selezionate e qualificate, in caso di nullità (secondo la prassi nazionale)
unicamente di una norma di dettaglio (che viola un divieto di discriminazione
imposto dal diritto dell’Unione) di un contratto collettivo (nella fattispecie
attribuzione proporzionale dell’assegno per figli a carico in caso di lavoro a
tempo parziale), l’intera disposizione del contratto collettivo relativa a
questa materia (nella fattispecie l’assegno per figli a carico) sia colpita
dalla sanzione di nullità.
Il parere della
Corte di Giustizia Europea
Innanzitutto,
la Corte Ue ha riepilogato la prima questione con la quale il giudice del
rinvio aveva chiesto se la clausola 4, punto 2, dell’Accordo Quadro sul lavoro
a tempo parziale debba essere interpretata nel senso che il principio del “pro
rata temporis” risulti applicabile anche al calcolo dell’importo di un
assegno per figli a carico erogato dal datore di lavoro di un dipendente a tempo
parziale in esecuzione di un Contratto Collettivo quale il CCBB.
A
tale riguardo la Corte comunitaria ha rilevato, in primo luogo, che alla luce
delle informazioni fornite dal giudice del rinvio, l’assegno per figli a carico
in oggetto non è una prestazione prevista dalla legge ed erogata dallo Stato,
bensì corrisposta dal datore di lavoro sulla base di un Contratto Collettivo,
negoziato dalle parti contraenti, a beneficio dei dipendenti con figli a
carico.
Si
tratta di una circostanza, in base alla quale l’emolumento in questione non può
essere qualificato come “prestazione di sicurezza sociale”, di cui al
regolamento (CE) n.883/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile
2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, nonostante
tale assegno persegua obiettivi analoghi a quelli di alcune prestazioni
previste dal citato Regolamento.
In
secondo luogo, la Corte ha poi precisato che, nel corso del procedimento
principale, le stesse parti avevano concordato che l’assegno di cui trattasi
costituisse una retribuzione versata al lavoratore.
Quella
appena enucleata è una qualificazione dell’assegno per figli a carico che corrisponde
a quella derivante dal diritto dell’Unione.
Secondo
consolidata giurisprudenza, infatti, per “retribuzione” (4) deve intendersi
il salario o trattamento normale di base o minimo, nonché tutti gli altri
vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal
datore di lavoro al dipendente in ragione dell’impiego di quest’ultimo.
Sempre
secondo la giurisprudenza, inoltre, tale nozione comprende tutti i vantaggi,
attuali o futuri, purché siano pagati, sia pure indirettamente, dal datore di
lavoro al dipendente in ragione dell’impiego di quest’ultimo (5).
Ciò
detto, la Corte ha precisato che, in un simile contesto, la natura giuridica di
detti vantaggi è irrilevante ai fini
dell’applicazione dell’articolo 157 TFUE, ogni qual volta essi vengano attribuiti in relazione
all’impiego (6).
Il
giudice comunitario ha chiarito, altresì, che, nonostante vi siano numerosi tipi
di vantaggi corrisposti da un datore di lavoro che rispondano anche a
considerazioni di politica sociale, la natura retributiva di una prestazione
non può però essere messa in dubbio quando, in favore del lavoratore, sussista
il diritto di ricevere dall’azienda la prestazione di cui trattasi in forza
dell’esistenza del rapporto di lavoro (7).
In
sostanza, dal momento che l’assegno per figli a carico rientra nella
retribuzione del dipendente, detto emolumento è determinato dai termini del
rapporto di lavoro concordati tra le parti.
Ne
consegue, pertanto, che, ai sensi della clausola 4, punti 1 e 2, dell’Accordo Quadro
sul lavoro a tempo parziale, se il
lavoratore risulta assunto a tempo parziale appare oggettivamente giustificato
che la quantificazione dell’assegno per figli a carico avvenga in applicazione
del principio del “pro rata temporis”
(8).
A
tal riguardo, infatti, la Corte, da un lato, ha rilevato come la natura della prestazione oggetto del procedimento
principale non potesse ostare all’applicazione della clausola 4, punto 2,
dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo parziale, atteso che l’assegno per figli a carico, rientrando
tra i vantaggi pagati in denaro al lavoratore, costituisce una prestazione
divisibile (9). Dall’altro
lato, inoltre, la Corte ha ricordato come, già in passato, avesse applicato il
principio del “pro rata temporis” ad altre prestazioni a carico del datore di
lavoro e collegate a un rapporto di lavoro a tempo parziale.
Nelle
citate occasioni, infatti, la Corte aveva precisato che, in caso di lavoro a
tempo parziale, il diritto dell’Unione non osta né al calcolo di una pensione
di vecchiaia effettuato secondo il principio del “pro rata temporis” (10), né a che le ferie annuali retribuite siano
calcolate secondo tale medesimo principio (11).
Alla
luce delle richiamate considerazioni la
Corte di Giustizia Ue ha risposto alla prima questione pregiudiziale
dichiarando che la clausola 4, punto 2, dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo
parziale deve essere interpretata nel senso che il principio del “pro rata temporis” si applica al calcolo
dell’importo di un assegno per figli a carico erogato dal datore di lavoro di
un lavoratore a tempo parziale, in esecuzione di un contratto collettivo quale
il CCBB.
Quanto
dichiarato nella risposta fornita alla prima questione, infine, rende superflua
ogni considerazione sulla seconda e sulla terza.
Valerio
Pollastrini
1)
–
Arbeitszeitgesetz;
2)
-
Arbeits- und Sozialgerichtsgesetz, BGBl. 104/1985;
3)
-
l’Oberster Gerichtshof;
4)
–
secondo quanto disposto dall’articolo 157, paragrafo 2, TFUE;
5)
-
v. sentenza Hliddal e Bornand, C‑216/12
e C‑217/12,
EU:C:2013:568 e giurisprudenza ivi citata;
6)
-
sentenza Krüger, C‑281/97, EU:C:1999:396;
7)
-
sentenza Barber, C‑262/88, EU:C:1990:209;
8)
-
v., per analogia, sentenza Heimann e Toltschin, C‑229/11 e C‑230/11, EU:C:2012:693 e giurisprudenza
ivi citata;
9)
-
v., per analogia, sentenze Impact, C‑268/06,
EU:C:2008:223, nonché Bruno e a., C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329;
10) - v., in tal
senso, sentenze Schönheit e Becker, C‑4/02
e C‑5/02,
EU:C:2003:583;
11) - v., in tal
senso, sentenze Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols, C‑486/08, EU:C:2010:215, nonché Heimann e
Toltschin, EU:C:2012:693;
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