In Europa nessuno lavora meno di noi alla notte. In Italia
solo il 13,1 per cento degli occupati (circa 3 milioni di addetti) si reca in
fabbrica o in ufficio e timbra il cartellino nelle ore notturne (dalle 22:00
alle 5:00) almeno una volta al mese. La media Ue, invece, si attesta al 19,1
per cento, mentre in Germania la quota di lavoratori notturni si attesta al
16,4, nel Regno Unito al 21,7, in Spagna al 21,9 e in Francia al 22,5.
A sostenerlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i
dati Eurofound (2015).
Tradizionalmente i più interessati dal lavoro notturno sono
le attività che prevedono il pieno utilizzo degli impianti, i giornalisti, i
tecnici della comunicazione radio e Tv, i tipografi, gli addetti ai trasporti
pubblici-privati e alla manutenzione delle grandi opere viarie, i netturbini,
il personale medico e infermieristico occupato negli ospedali, la vigilanza, le
forze dell’ordine, gli allevatori di bestiame, i pescatori, i lavoratori dei
mercati ortofrutticoli e ittici all’ingrosso, i bar, i ristoranti, i night club
e i locali di pubblico spettacolo, i call center e i centri di elaborazione
dati.
Non sono da trascurare nemmeno molte categorie artigiane
interessate da questo fenomeno: come i panettieri, i pasticceri, gli
autotrasportatori, i taxisti, gli autonoleggiatori con conducente, i bus
operator, i produttori-venditori di cibi da strada e le imprese di pulizia.
“La ragione di un’incidenza percentuale così bassa –
esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – va ricercata nella
dimensione media molto contenuta delle nostre aziende. Ricordo che in Italia il
98 per cento delle imprese ha meno di 20
addetti e in queste piccole aziende
trova lavoro oltre il 60 per cento del totale degli occupati nel settore
privato. Nel manifatturiero, ad esempio, solo nelle medie e grandi imprese è
possibile organizzare l’attività produttiva a ciclo continuo, nelle micro
imprese, invece, questo è estremamente difficile”.
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