La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con una sentenza
pubblicata l'11 novembre (C-422/14), riportata nelle pagine de Il Sole24Ore,
fornisce alcune importanti interpretazioni della direttiva europea sui
licenziamenti collettivi (98/59/CE). La Corte, chiamata nello specifico a
valutare la legittimità di una legge spagnola, chiarisce due punti centrali
della direttiva.
Il primo riguarda il criterio di computo della dimensione
aziendale, che rende applicabile la procedura di licenziamento collettivo, e
chiarisce che la direttiva fa riferimento al concetto di lavoratori
"abitualmente" occupati nella struttura interessata dalla riduzione
del personale, compresi i lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Sotto
questo profilo la normativa italiana appare conforme alla direttiva,
soprattutto dopo l'entrata in vigore dell'articolo 8 del Dlgs 368/2001, ora
sostituito dall'articolo 27 del Dlgs 81/2015 (codice dei contratti), che
stabilisce la computabilità dei lavoratori a termine, prevedendo anche uno
specifico criterio di calcolo.
Il secondo punto di discussione, riguardava la
determinazione della soglia numerica di applicazione della disciplina dei
licenziamenti collettivi, ossia il numero di licenziamenti oltre il quale si ha
a che fare con un licenziamento collettivo. La direttiva assimila ai
licenziamenti "le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per
iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona
del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque". Nel caso
spagnolo sottoposto all’attenzione della Corte, la questione riguardava una
norma di legge che dà facoltà al lavoratore, danneggiato da una modifica
sostanziale delle sue condizioni di lavoro, di recedere dal contratto ricevendo
un'indennità. Qualcosa di simile alle nostre dimissioni per giusta causa
previste da alcuni contratti collettivi. Secondo la Corte, i licenziamenti si
caratterizzano per la mancanza di consenso del lavoratore e alla modifica di
elementi sostanziali del contratto di lavoro apportati dal datore di lavoro in
maniera unilaterale e svantaggiosa. Pertanto, nel caso di specie, equivale a un
licenziamento e come tale va considerato ai fini del computo della soglia
numerica che determina l’applicazione della disciplina dei licenziamenti
collettivi. La Corte conclude affermando che viola la direttiva qualsiasi
normativa nazionale o interpretazione che conduca a escludere dalla nozione di
licenziamento fattispecie come quella sopra descritta. Tale chiarimento è un
principio suscettibile di conseguenze di rilievo anche nell’ordinamento
italiano, nel quale sinora le dimissioni del lavoratore, anche se qualificate
da una modifica pregiudizievole delle condizioni di lavoro operata dal datore
di lavoro, sono sempre state ritenute irrilevanti ai fini del computo della
soglia numerica per l’applicazione della procedura di licenziamento collettivo.
Nessun commento:
Posta un commento