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venerdì 13 novembre 2015

Cdl - La Corte di giustizia UE sui licenziamenti collettivi

Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro, Nota del 12 Novembre 2015

La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con una sentenza pubblicata l'11 novembre (C-422/14), riportata nelle pagine de Il Sole24Ore, fornisce alcune importanti interpretazioni della direttiva europea sui licenziamenti collettivi (98/59/CE). La Corte, chiamata nello specifico a valutare la legittimità di una legge spagnola, chiarisce due punti centrali della direttiva.

Il primo riguarda il criterio di computo della dimensione aziendale, che rende applicabile la procedura di licenziamento collettivo, e chiarisce che la direttiva fa riferimento al concetto di lavoratori "abitualmente" occupati nella struttura interessata dalla riduzione del personale, compresi i lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Sotto questo profilo la normativa italiana appare conforme alla direttiva, soprattutto dopo l'entrata in vigore dell'articolo 8 del Dlgs 368/2001, ora sostituito dall'articolo 27 del Dlgs 81/2015 (codice dei contratti), che stabilisce la computabilità dei lavoratori a termine, prevedendo anche uno specifico criterio di calcolo.

Il secondo punto di discussione, riguardava la determinazione della soglia numerica di applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, ossia il numero di licenziamenti oltre il quale si ha a che fare con un licenziamento collettivo. La direttiva assimila ai licenziamenti "le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque". Nel caso spagnolo sottoposto all’attenzione della Corte, la questione riguardava una norma di legge che dà facoltà al lavoratore, danneggiato da una modifica sostanziale delle sue condizioni di lavoro, di recedere dal contratto ricevendo un'indennità. Qualcosa di simile alle nostre dimissioni per giusta causa previste da alcuni contratti collettivi. Secondo la Corte, i licenziamenti si caratterizzano per la mancanza di consenso del lavoratore e alla modifica di elementi sostanziali del contratto di lavoro apportati dal datore di lavoro in maniera unilaterale e svantaggiosa. Pertanto, nel caso di specie, equivale a un licenziamento e come tale va considerato ai fini del computo della soglia numerica che determina l’applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi. La Corte conclude affermando che viola la direttiva qualsiasi normativa nazionale o interpretazione che conduca a escludere dalla nozione di licenziamento fattispecie come quella sopra descritta. Tale chiarimento è un principio suscettibile di conseguenze di rilievo anche nell’ordinamento italiano, nel quale sinora le dimissioni del lavoratore, anche se qualificate da una modifica pregiudizievole delle condizioni di lavoro operata dal datore di lavoro, sono sempre state ritenute irrilevanti ai fini del computo della soglia numerica per l’applicazione della procedura di licenziamento collettivo.

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