La
norma in commento, disponendo l’abrogazione del secondo e terzo comma
dell’art.2549 del codice civile, di fatto, ha vietato la stipulazione di questo tipo di
associazione in partecipazione anche ai soggetti legati all’imprenditore da
rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il
secondo, in relazione ai quali la disciplina codicistica aveva ammesso il
superamento del limite massimo di 3 contratti all’interno della stessa azienda.
Se
lo schema del decreto legislativo appare chiaro nel sancire la definitiva
abrogazione della fattispecie contrattuale in commento, la formulazione
letterale della norma, tuttavia, lascia spazio a numerosi dubbi in merito alla
decorrenza.
Il
terzo comma dell’art.50, infatti, precisa solamente che “i contratti di associazione in partecipazione nei quali l’apporto
dell’associato consiste anche in una prestazione di lavoro sono fatti salvi
fino alla loro cessazione”.
Nel
caso in cui le parti non avessero prefissato una scadenza determinata, dunque,
non è chiaro fino a quando il rapporto associativo possa considerarsi valido.
Dal
momento che la finalità della norma è quella di sopprimere le forme di lavoro
precario, sembrerebbe potersi individuare, ma è solo un’ipotesi, una scadenza
legale nel 31 dicembre 2015, data in cui è stata sancita, nella medesima
ottica, la definitiva abrogazione dei contratti a progetto. Se così fosse,
però, non si vede la ragione per cui il legislatore non lo abbia esplicitamente
precisato. In proposito, pertanto, giova ricordare, in via prudenziale, l’antico
brocardo secondo il quale “ciò che la
legge non dice, la legge non vuole”.
Valerio
Pollastrini
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