Nel caso
di specie, il Tribunale di Reggio Emilia, nonostante avesse ritenuto illegittimo
il licenziamento irrogato alla dipendente di una società di fornitura di
lavoro temporaneo, nonché delle precedenti sanzioni conservative, aveva
disatteso, tuttavia, la prospettazione in termini di mobbing delle condotte,
assunte come vessatorie, poste in essere dal datore, ivi comprese quelle che
avevano dato causa agli annullati provvedimenti disciplinari.
Successivamente,
anche la Corte di Appello di Bologna aveva confermato la decisione del primo
grado, rigettando, così, il gravame proposto dalla donna.
Nel
motivare la propria decisione, la Corte territoriale aveva osservato come, pur
in presenza del riconoscimento da parte dell’Inail della natura professionale
della lamentata malattia, non risultassero provate sia la violazione dell’art.2087
c.c., sia il danno non patrimoniale conseguente all‘accertata illiceità dei
precedenti provvedimenti sanzionatori.
Avverso
questa sentenza, la donna aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che
il convincimento espresso dal giudice in ordine all’inconfigurabilità di una ipotesi di mobbing risulterebbe
inficiato da una considerazione solo parziale delle condotte pregiudizievoli
denunciate ed avrebbe condizionato la
pronunzia in ordine alla spettanza del danno non patrimoniale, connesso
all’illegittimità dei provvedimenti sanzionatori di cui la stessa Corte aveva
confermato l’annullamento.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze predette.
Gli
ermellini, infatti, hanno osservato come la ricorrente si fosse limitata a ribadire
la propria tesi secondo cui l'assunzione da parte della Società nel breve
volgere di un paio di mesi di iniziative sanzionatone, poi risultate tutte
illegittime, non avesse prodotto soltanto l'esercizio, per quanto scorretto ed
abnorme, di un potere legittimamente facente capo al datore di lavoro ma
valesse, di per sé, a configurare in termini di mobbing la condotta datoriale
medesima.
A detta
della Suprema Corte, si tratta di una tesi censurabile alla stregua dell'orientamento
interpretativo della giurisprudenza di legittimità, in base al quale il mobbing
si configura allorché sia ravvisabile da parte del datore o di un superiore
gerarchico un atteggiamento sistematico e protratto nel tempo di ostilità verso
il dipendente che si concretizzi in una molteplicità di comportamenti così da
tradursi in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica tali da
indurre la mortificazione morale e l’emarginazione del lavoratore (1).
Parimenti
infondata, inoltre, la censura relativa
al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale, a proposito della quale
gli ermellini hanno sottolineato la mancata allegazione e prova di un danno
ulteriore ed afferente alla sfera morale della lavoratrice, che le sarebbe
derivato dall’illegittimo esercizio del potere disciplinare da parte della
società.
Per tutte
le considerazioni fin qui riportate, la Cassazione ha concluso rigettando il
ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
- vedi, da
ultimo, in questi termini Cass., Sentenza n.22535/2014; Cass., Sentenza
n.898/2014; Cass., Sentenza n.3785/2009;
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