Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Palermo, riformando parzialmente la
sentenza del Tribunale del primo grado, aveva ridotto l’importo richiesto ad un’azienda
dall’Inps, tramite cartella esattoriale.
A
motivo della decisione, la Corte aveva ritenuto che la società, ai sensi del
terzo comma dell’art.3 della Legge n.223/1991, dovesse essere esonerata dal
pagamento del contributo per la mobilità, in quanto non aveva potuto continuare
l’attività produttiva a causa del sequestro dello stabilimento disposto
dall’autorità giudiziaria nel corso di un procedimento per inquinamento
ambientale, cui aveva fatto seguito, fallite le trattative sindacali onde
addivenire ad ipotesi alternative, il licenziamento di tutti i dipendenti.
Secondo
la Corte del merito, ricorrendo nel caso un’ipotesi di assoluto fermo produttivo,
la situazione aveva riguardato la totalità dei dipendenti, senza che potessero
trovare applicazione i criteri previsti dall’articolo 4 e dall’art.24 della Legge
n.223/1991 e senza che potesse ritenersi
esigibile il ricorso alle procedure concorsuali.
Avverso
questa sentenza, l’Inps aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che
l’esenzione dal pagamento del contributo di mobilità sarebbe previsto dall’art.3,
comma 3, della Legge n.223/1991, solo per le procedure concorsuali.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato.
Nella
premessa, gli ermellini hanno ricordato che l’art.5, comma 4 (1), della Legge n.223/1991,
prevede che per ciascun lavoratore posto in mobilità l’impresa e’ tenuta a
versare alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle
gestioni previdenziali (2), in trenta rate mensili, una somma pari a sei
volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore.
Tale
somma e’ ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale
di cui all’articolo 4, comma 9, della citata Legge abbia formato oggetto di
accordo sindacale .
Ai
sensi dell’art.24, comma 3, (3) l’importo a carico delle imprese che anteriormente
alla mobilità non abbiano usufruito del trattamento straordinario di
integrazione salariale e’ fissato nella misura superiore di nove volte il trattamento
iniziale di mobilità spettante al lavoratore, ridotto a tre volte nei casi di
accordo sindacale.
L’articolo
3, della stessa Legge, intitolato “Intervento straordinario di integrazione
salariale e procedure concorsuali” (4), al comma 3, dispone inoltre che: quando
non sia possibile la continuazione dell’attività, anche tramite cessione
dell’azienda o di sue parti, o quando i livelli occupazionali possono essere
salvaguardati solo parzialmente, il curatore, il liquidatore o il commissario
hanno facoltà di collocare in mobilità, ai sensi dell’articolo 4, ovvero
dell’articolo 24, i lavoratori eccedenti.
In
tali casi il termine di cui all’articolo 4, comma 6, e’ ridotto a trenta giorni
ed il contributo a carico dell’impresa previsto dall’articolo 5, comma 4, non
e’ dovuto.
Sul
punto, la Suprema Corte ha osservato che il tenore letterale della disposizione
chiarisce che la fattispecie che determina il diritto all’esenzione si verifica
quando, per la constatata impossibilità di continuazione dell’attività o di
salvaguardia dei livelli occupazionali, gli organi di una procedura concorsuale
dispongano la collocazione del personale eccedente.
A
tale proposito, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che la norma
attribuisce agli organi della procedura concorsuale un eccezionale potere di
gestione dell’impresa, ovvero il potere di valutare in prospettiva la
possibilità di continuare (anche tramite la cessione dell’azienda) l’attività
imprenditoriale e, in caso negativo, di decidere di collocare in mobilità il
personale dipendente (5).
A
tale potere di gestione corrisponde nella seconda ipotesi l’esonero
dall’obbligo di pagare il relativo contributo.
La
previsione si giustifica nell’ottica della tutela degli interessi socialmente
rilevanti, quali sono quelli della generalità dei creditori a non vedere un
ulteriore incremento del passivo, e le ripercussioni che essa produce sulla
finanza pubblica trovano una garanzia nel controllo giudiziale preventivo cui
la legge assoggetta le scelte adottate nell’ambito delle procedure concorsuali.
La
disposizione ha portata eccettiva della previsione che stabilisce l’obbligo di
pagamento per la generalità delle imprese i cui lavoratori sono collocati in
mobilità, sicché l’estensione
dell’esenzione ad ipotesi in cui non vi sia alcuna procedura concorsuale e la
mobilità sia disposta dallo stesso imprenditore costituisce un’interpretazione
analogica, non consentita ai sensi dell’articolo 14 preleggi.
Detto
ciò, la Cassazione ha precisato che la soluzione adottata dalla Corte del
merito, secondo la quale la previsione dovrebbe trovare applicazione in tutte
le ipotesi nelle quali vi sia un’impossibilita’ totale di continuazione
dell’attività che non lascia margini di decisione all’imprenditore, a prescindere
dall’esistenza di una procedura concorsuale, presenta peraltro rilevanti
problemi applicativi derivanti dall’individuazione dei relativi presupposti,
che conduce a risultati diversi a seconda del momento al quale si risale nel
tempo nel valutare le cause della crisi (potendosi discutere, ad esempio e con
riferimento alla fattispecie, se rilevi il sequestro o le scelte
imprenditoriali che lo hanno determinato).
Peraltro,
la natura eccezionale e di stretta interpretazione della norma e’ stata già ritenuta dalla Suprema Corte, allorché,
in altra occasione, aveva chiarito che, proprio in ragione della limitazione
della decisione agli organi concorsuali, non spettasse il beneficio
dell’esonero dal pagamento del contributo di mobilità nel caso in cui la
procedura per il licenziamento collettivo fosse stata avviata
dall’imprenditore, che aveva contestualmente richiesto l’ammissione
dell’impresa al concordato preventivo (6).
In
conclusione, la Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: l’esenzione dal pagamento
del contributo di mobilità, prevista dall’art.3, comma 3, della Legge n.223/1991, si applica nella sola
ipotesi in cui il licenziamento collettivo sia disposto dagli organi di una
procedura concorsuale.
Avendo
la Corte d’Appello disatteso tale principio, la sentenza impugnata è stata
conseguentemente cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, che, in
diversa composizione, nel nuovo esame
dovrà attenersi ai criteri sopra richiamati.
Valerio
Pollastrini
1)
-
abrogato con effetto dal 1° gennaio 2017 dall’art.2, comma 71, lettera a) della
Legge n.92/2012;
2)
-
di cui all’art.37 della Legge n.88 del 9 marzo 1989;
3)
-
come sostituito dall’art.8, comma 1, del Decreto Legge n.148 del 20 maggio 1993,
convertito, con modificazioni, dalla Legge n.2369 del 19 luglio 1993;
4)
-
abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2016 dall’art.2, comma 70, della Legge n.92
del 28 giugno 2012, come sostituito dall’art.46-bis,
comma 1, lettera h) del Decreto Legge n.83 del 22 giugno 2012, convertito, con
modificazioni, dalla Legge n.134 del 7 agosto 2012;
5)
-
così Cass. S.U., Sentenza n.3597/2003;
6)
-
Cass., Sentenza n.13625/2014; Cass., Sentenza n.19422 del 18 dicembre 2003;
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