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venerdì 14 novembre 2014

Patto di prova - Derogabilità ad opera della contrattazione collettiva

Nella sentenza n.22758 del 27 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che la durata legale del patto di prova può essere derogata dalla contrattazione collettiva.

Il caso di specie ha riguardato un dipendente  assunto il 17 febbraio 2003 con la qualifica di  "responsabile commerciale Ufficio Estero di 6° livello", che,  in un precedente rapporto aveva lavorato presso altra società come tecnico commerciale di 5° livello, addetto all’ufficio estero-vendite.

Il predetto dipendente aveva convenuto in giudizio l’ultimo datore di lavoro per l’accertamento della nullità e/o invalidità/illegittimità del patto di prova di sei mesi, apposto al contratto  intercorso tra le parti.

Tuttavia, sia il Tribunale del primo grado, che la Corte di Appello di Milano avevano rigettato il ricorso del lavoratore.

In particolare, la Corte del merito aveva osservato che, ai fini della durata del patto di prova apposto al contratto, fosse  applicabile il limite di sei mesi previsto dall’art.10 della Legge n.604/1966, attesa la conformità della norma citata con quanto stabilito dall’art.4 del CCNL applicato per gli impiegati di 6A e 7A categoria.

Di contro, il giudice dell’appello aveva negato ogni rilevanza al minor termine di tre mesi  previsto dall’art.4 del RDL n.1825/1924.

La Corte territoriale, inoltre, aveva ritenuto infondata la doglianza del ricorrente relativa alla violazione dell’art.4 del CCNL, che, in merito alla durata del periodo di prova, prevede la riduzione del termine da sei a tre mesi nell’ipotesi di svolgimento da parte dell’impiegato di "analoghe mansioni" per almeno un biennio presso "altre aziende che esercitavano la sua attività.

Ciò, in quanto, nel precedente rapporto presso altra azienda, il dipendente era stato inquadrato al 5° livello,  inferiore rispetto al 6° rivestito presso il datore di lavoro convenuto.

Avverso questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, sostenendo che la Corte di Appello avrebbe erroneamente disatteso la norma imperativa del RDL n.185/1924, che, per le mansioni ed i compiti come quelli svolti da egli stesso, prevedeva un periodo massimo di tre mesi per la prova.

Il ricorrente, inoltre, aveva dedotto che  tale minor termine non sarebbe derogabile in senso peggiorativo dal CCNL.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le predette censure.

Al riguardo, infatti, gli ermellini hanno osservato che l’anzidetto termine può essere legittimamente derogato dalla contrattazione collettiva (1).

Detto ciò, la Suprema Corte ha precisato come, quand’anche il citato art.4 del RDL n.1825/1924 fosse ritenuto tuttora operante, al personale direttivo, tra il quale risultava il ricorrente, attese le sue mansioni di responsabile dell’ufficio di   6° livello, dovesse applicarsi il termine di  sei mesi, e, dunque, non quello di tre mesi previsto, invece, per il periodo di prova degli impiegati (2).

Per tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso e la conseguente condanna del lavoratore al pagamento delle spese per il processo di legittimità, liquidate in 3.500,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi, oltre  accessori di legge e spese generali del 15%.

Valerio Pollastrini

1)      - cfr Cass., Sentenza n.1017/1985;
2)      - cfr Cass., Sentenza n.3625/1975; Cass., Sentenza n.24282/2008;

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