Il
caso di specie ha riguardato un dipendente assunto il 17 febbraio 2003 con la qualifica
di "responsabile commerciale
Ufficio Estero di 6° livello", che, in un precedente rapporto aveva lavorato presso
altra società come tecnico commerciale di 5° livello, addetto all’ufficio
estero-vendite.
Il
predetto dipendente aveva convenuto in giudizio l’ultimo datore di lavoro per l’accertamento
della nullità e/o invalidità/illegittimità del patto di prova di sei mesi,
apposto al contratto intercorso tra le
parti.
Tuttavia,
sia il Tribunale del primo grado, che la Corte di Appello di Milano avevano
rigettato il ricorso del lavoratore.
In
particolare, la Corte del merito aveva osservato che, ai fini della durata del patto
di prova apposto al contratto, fosse applicabile
il limite di sei mesi previsto dall’art.10 della Legge n.604/1966, attesa la
conformità della norma citata con quanto stabilito dall’art.4 del CCNL applicato
per gli impiegati di 6A e 7A categoria.
Di
contro, il giudice dell’appello aveva negato ogni rilevanza al minor termine di
tre mesi previsto dall’art.4 del RDL
n.1825/1924.
La
Corte territoriale, inoltre, aveva ritenuto infondata la doglianza del
ricorrente relativa alla violazione dell’art.4 del CCNL, che, in merito alla
durata del periodo di prova, prevede la riduzione del termine da sei a tre mesi
nell’ipotesi di svolgimento da parte dell’impiegato di "analoghe
mansioni" per almeno un biennio presso "altre aziende che
esercitavano la sua attività.
Ciò,
in quanto, nel precedente rapporto presso altra azienda, il dipendente era
stato inquadrato al 5° livello, inferiore rispetto al 6° rivestito presso il
datore di lavoro convenuto.
Avverso
questa sentenza, il lavoratore aveva adito la Cassazione, sostenendo che la
Corte di Appello avrebbe erroneamente disatteso la norma imperativa del RDL
n.185/1924, che, per le mansioni ed i compiti come quelli svolti da egli stesso,
prevedeva un periodo massimo di tre mesi per la prova.
Il
ricorrente, inoltre, aveva dedotto che tale minor termine non sarebbe derogabile in
senso peggiorativo dal CCNL.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le predette censure.
Al
riguardo, infatti, gli ermellini hanno osservato che l’anzidetto termine può
essere legittimamente derogato dalla contrattazione collettiva (1).
Detto
ciò, la Suprema Corte ha precisato come, quand’anche il citato art.4 del RDL n.1825/1924
fosse ritenuto tuttora operante, al personale direttivo, tra il quale risultava
il ricorrente, attese le sue mansioni di responsabile dell’ufficio di 6°
livello, dovesse applicarsi il termine di sei mesi, e, dunque, non quello di tre mesi
previsto, invece, per il periodo di prova degli impiegati (2).
Per
tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto
del ricorso e la conseguente condanna del lavoratore al pagamento delle spese
per il processo di legittimità, liquidate in 3.500,00 € per compensi
professionali, 100,00 € per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali del 15%.
Valerio
Pollastrini
1)
-
cfr Cass., Sentenza n.1017/1985;
2)
-
cfr Cass., Sentenza n.3625/1975; Cass., Sentenza n.24282/2008;
Nessun commento:
Posta un commento