Nel
caso di specie, il Tribunale di Bologna aveva sollevato, in riferimento
all’art.3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.29,
comma 2, del D.Lgs. n.276 del 10 settembre 2003 (1), come modificato dall’art.1,
comma 911, della Legge n.296 del 27 dicembre 2006 (2), in relazione
all’art.21 del D.L. n.5 del 9 febbraio 2012 (3), convertito, con modificazioni, dall’art.1,
comma 1, della Legge n.35 del 4 aprile 2012, "nella
parte in cui prevede che la responsabilità solidale dell’appaltante, in caso di
omesso versamento da parte dell’appaltatore dei contributi previdenziali,
comprenda anche il debito per le sanzioni civili o somme aggiuntive".
Con
la medesima ordinanza, il Tribunale di Bologna aveva sollevato, sempre in
riferimento all’art.3 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223 del 4
luglio 2006 (4), convertito,
con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248 del 4 agosto
2006, che ha modificato l’art.3, comma
3, del D.L. n.12 del 22 febbraio 2002 (5), convertito, con modificazioni, dall’art.1,
comma 1, della Legge n.73 del 23 aprile 2002, in relazione all’art.4, comma 1,
lettera a), della Legge n.183 del 4 novembre 2010 (6), "nella
parte in cui ha previsto, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti
dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile,
connessa all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun
lavoratore non inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della
prestazione lavorativa accertata".
Il
giudice del merito aveva premesso di essere stato investito del procedimento
civile promosso dalla Corticella Molini Pastifici spa nei confronti dell’Inps e
dell’Inail.
La
società ricorrente aveva stipulato con la Società cooperativa MP Service un
contratto d’appalto per lo svolgimento di diverse attività inerenti alla
gestione del suo stabilimento situato a Bologna e, in seguito ad un
accertamento ispettivo, svoltosi fra il 24 novembre 2009 e il 18 gennaio 2010, afferente al periodo lavorativo compreso tra
il 1° maggio 2008 e il 30 novembre 2009, era emerso che la società appaltatrice
aveva impiegato personale dipendente in assenza di un regolare contratto di
assunzione, omettendo il versamento dei relativi contributi.
In
particolare, dall’accertamento compiuto, erano "emerse omissioni contributive per 2.253,00 € per l’impiego di personale
non in regola, aumentati di 45.000,00 €
a titolo di sanzione, ex art.116, comma 8 e ss., della Legge n.388/2000 e
36-bis del D.L. n.223/2006, nonché omessi versamenti in relazione a quanto
dichiarato nei DM 10 per 136.942,00 €".
Per
tale ragione, il 29 gennaio 2010 era stato notificato alla società ricorrente un
verbale di obbligazione solidale, con il quale, in forza dell’art.29 del D.Lgs.
n.276/2003 (7), le veniva intimato
di provvedere entro trenta giorni al pagamento delle somme dovute dalla società
appaltatrice, responsabile dell’omissione contributiva.
Successivamente,
con nota del 1° settembre 2010, anche l’INAIL aveva contestato alla ricorrente
"l’omesso versamento dei premi in
relazione ai lavoratori presuntivamente impiegati "in nero" da MP
Service per 460,52 € e la debenza della
connessa sanzione di 45.000,00 € ex art. 36-bis citato".
Il
Tribunale rimettente aveva ricordato come la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto che le somme aggiuntive dovute
dal contribuente in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali
costituiscono sanzioni civili e non amministrative, avendo la funzione, da un
lato, di rafforzare l’obbligo contributivo, dall’altro, di predeterminare il
danno cagionato all’ente previdenziale dal suo inadempimento (8).
Il
giudicante del merito, pertanto, aveva osservato che, nell’ipotesi di
inadempimento dell’appaltatore e di responsabilità solidale del committente, le
obbligazioni del secondo dovrebbero intendersi riferite "sia ai contributi (credito per capitale) sia
alle somme aggiuntive (credito per sanzioni civili)".
Tuttavia,
il quadro normativo di riferimento era stato
modificato dall’art.21 del D.L. n.5/2012, secondo il quale dalla
responsabilità solidale del committente resta escluso qualsiasi obbligo per
sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.
Proprio
in conseguenza di quest’ultima modificazione, il Tribunale aveva posto il
dubbio della legittimità costituzionale dell’art.29, comma 2, del D.Lgs.
n.276/2003, per violazione dell’art.3 Cost., in quanto "il regime della responsabilità solidale del
committente in materia previdenziale resta soggetto a due diverse discipline a
seconda della data in cui si viene a collocare l’inadempimento dell’appaltatore".
In
sostanza la questione attiene al fatto che, una medesima situazione giuridica
risulta attualmente disciplinata diversamente "senza alcuna giustificazione apparente, che non sia la mera casualità
nella quale si colloca la data dell’inadempimento" e dunque: "se l’inadempimento si colloca prima
dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art.29, comma 2, [infatti], il
committente deve rispondere, come nel caso di specie, anche del debito per le sanzioni
civili; mentre, in caso contrario, il medesimo committente è tenuto a versare,
in via solidale, soltanto l’importo dei contributi".
A
causa della predetta difformità di trattamento, pertanto, inadempimenti del
medesimo importo "avrebbero
un’incidenza economica a carico delle imprese committenti ben diversa e
difficilmente giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza".
Secondo
l’Ordinanza di remissione, poi, un
ulteriore profilo di irragionevolezza sarebbe ravvisabile nella circostanza che
"la nuova normativa esprime il principio
che, in materia contributiva, le conseguenze sanzionatorie e risarcitorie
previste in caso di inadempimento restano a carico del soggetto-datore di
lavoro cui può essere soggettivamente imputato l’inadempimento per non avere
provveduto al tempestivo pagamento dei contributi".
In
tal modo, in sostanza, è stata modificata "la natura giuridica del debito per sanzioni civili", ora non
più posto "automaticamente a carico
del committente, cioè di un soggetto al quale non può essere materialmente
imputato l’inadempimento".
Il
Tribunale rimettente, inoltre, aveva ritenuto non manifestamente infondata,
sempre in riferimento all’art.3 Cost., anche la questione di legittimità
costituzionale dell’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, che
ha modificato l’art.3, comma 3, del D.L. n.12/2002, "introducendo, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle
scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa
all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun lavoratore non
inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della prestazione
lavorativa accertata (c.d. maxi sanzione per lavoro nero)".
Detta
norma, infatti, appare censurabile per via dell’irragionevole introduzione di
una sanzione "sproporzionata alla
gravità complessiva dell’inadempimento, eccessiva e ingiustamente vessatoria
nei confronti del datore di lavoro".
Ciò
risulterebbe palesato dalla circostanza che la modifica successivamente
introdotta dall’art.4 della Legge n.183/2010 "ha abolito la soglia minima per le sanzioni di euro 3.000,00 per
ciascun lavoratore occupato in nero" ed ha "ripristinato la
normativa prevista dall’art.116, comma 8, lettera b) della Legge n.388/2000,
che prevede l’applicazione, in ragione d’anno, della sanzione civile del 30%
all’ammontare contributivo evaso, maggiorato del 50%".
Tuttavia,
tornando al caso di specie, il giudice del merito aveva precisato che, poiché il
comportamento illecito dell’appaltatore risultava cessato il 12 gennaio 2009 e
gli accertamenti ispettivi erano stati compiuti in epoca antecedente, la nuova
normativa, entrata in vigore il 24 novembre 2010, non sarebbe applicabile.
Ciò
dimostrerebbe, pertanto, "l’irragionevolezza
complessiva così venutasi a creare nell’ordinamento", in quanto nelle
ipotesi di impiego di lavoratori non risultanti da scritture o da altra
documentazione obbligatoria, poste in essere o accertate nel vigore della
precedente disciplina, "continua a
trovare applicazione una sanzione determinata sulla base di una soglia minima,
particolarmente afflittiva e, come dimostra il caso concreto, del tutto
sproporzionata alla gravità dell’inadempimento", mentre lo stesso
legislatore aveva successivamente realizzato "un sistema caratterizzato, allo stesso tempo, da efficacia dissuasiva e
da maggiore equità perché la determinazione della sanzione resta comunque
agganciata alla gravità dell’inadempimento".
In
aggiunta, la questione sollevata sarebbe rilevante anche perché "la responsabilità solidale del committente
comprende le somme dovute per contributi e per sanzioni civili", e, di
conseguenza, "la società ricorrente
è tenuta, altresì, al pagamento anche della c.d. "maxi sanzione" per
il lavoro nero".
In
caso di applicazione della disciplina introdotta nel 2010, invece, "l’importo delle somme aggiuntive da euro
90.000,00 (euro 45.000,00 richiesti da ciascun istituto previdenziale) si
attesterebbe sulla minore cifra di euro 1.221,09".
Investita
della questione, la Consulta ha preliminarmente escluso la fondatezza della questione
di legittimità costituzionale dell’art.29, comma 2, del D.Lgs. n.276/2003,
modificato dall’art.1, comma 911, della Legge n.296/2006.
Secondo
la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, non contrasta,
di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato
applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il
fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle
situazioni giuridiche (9).
Di
conseguenza, la circostanza che la nuova disciplina sulla responsabilità
solidale del committente e dell’appaltatore, dettata dall’art.21 del D.L. n.5/2012,
convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.35/2012, si
applichi agli inadempimenti contributivi avvenuti dopo la sua entrata in
vigore, non può ritenersi, di per sé,
lesiva del parametro costituzionale evocato.
E’
invece fondata, a detta della Consulta, la questione di legittimità
costituzionale dell’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006,
convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248/2006.
Per
chiarire al meglio detta fondatezza, la Corte Costituzionale ha ritenuto
opportuno richiamare in maniera esaustiva il quadro normativo di riferimento.
La
disciplina delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei
premi è dettata dall’art.116 della Legge n.388 del 23 dicembre 2000 (10), che, nel
prevedere "Misure per favorire
l’emersione del lavoro irregolare", al comma 8, stabilisce: "I soggetti che non provvedono entro il
termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni
previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a
quella dovuta, sono tenuti:
a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di
contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o
registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione
d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la
sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei
contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;
b) in caso di evasione connessa a registrazioni o
denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il
datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o
premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al
pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la
sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei
contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.
Qualora la
denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di
contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro
dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e
sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni
dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione
civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di
5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento
dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge".
L’art.36-bis,
comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, convertito, con modificazioni,
dall’art.1, comma 1, della Legge n.248/2006, che ha modificato l’art.3, comma
3, del D.L. n.12/2002, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1,
della Legge n.73/2002, ha fortemente inciso sul meccanismo di commisurazione
delle sanzioni civili, stabilendo che "L’importo
delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi
riferiti a ciascun lavoratore [...] non può essere inferiore a euro 3.000,
indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata".
Al
fine di rendere più rigorosa la
disciplina sanzionatoria del lavoro non risultante dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria, il legislatore del 2006 ha così introdotto, per le
sanzioni civili di cui all’art.116, comma 8, della Legge n.388/2000, una soglia
minima di 3.000 euro per ogni lavoratore, nell’ipotesi in cui la loro
quantificazione risulti inferiore.
Successivamente,
però, la Legge n.183/2010 ha nuovamente modificato la misura delle sanzioni
civili applicabili in caso di impiego di tali lavoratori eliminando il sopra
citata tetto minimo di 3.000 euro ed ha previsto unicamente un aumento del 50% delle sanzioni determinate sulla scorta del
criterio stabilito dall’art.116, comma 8, della Legge n.388/2000.
Di
conseguenza, oggi le sanzioni civili sono calcolate nella misura del 30% in ragione d’anno della contribuzione evasa,
fino ad un massimo del 60% dell’importo
dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge, come
previsto dall’art.116, comma 8, lettera b), della Legge n.388/2010, e l’importo
così determinato è maggiorato del 50%.
Al
termine di questo lungo excursus della normativa di riferimento, la Consulta ha
osservato che la disposizione censurata,
nel modificare il sistema di quantificazione delle sanzioni civili connesse
all’omesso versamento dei contributi e dei premi, ha introdotto una soglia
minima, riferita a ciascun lavoratore e indipendente dalla durata della prestazione
lavorativa accertata.
Conseguentemente,
l’importo minimo della sanzione civile
introdotto dall’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006,
prescindendo dalla durata effettiva del rapporto di lavoro, è ancorato
unicamente al numero di "lavoratori
non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria".
In
tal modo, però, la sanzione può risultare del tutto sproporzionata rispetto
alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro e incoerente con la sua
natura, se si considera che, secondo la costante giurisprudenza della
Cassazione, l’obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è
tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi
assicurativi ha natura di sanzione civile e non amministrativa, costituendo una
conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, che è posta allo scopo
di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata
dalla legge, con una presunzione iuris et
de iure, il danno cagionato all’istituto assicuratore (11).
In
altri termini, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di
contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo
volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito
dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla
durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità
dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole.
Il
legislatore, infatti, con la norma impugnata, ha predeterminato in via
presuntiva il danno subito dall’ente previdenziale a causa dell’omissione
contributiva, ma nel far ciò ha escluso la rilevanza di uno degli elementi che
concorrono a cagionare quel danno, costituito dalla durata dei rapporti di
lavoro non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e
dal correlativo inadempimento dell’obbligo contributivo.
In
tal modo, però, la sanzione risulta arbitraria e irragionevole, perché, pur
avendo la funzione di "risarcire, in
misura predeterminata dalla legge, con una presunzione "iuris et de
iure", il danno cagionato all’Istituto assicuratore" (12), è stabilita con un criterio privo di
riferimento all’entità di tale danno, dipendente dalla durata del periodo in
cui i rapporti di lavoro in questione si sono protratti.
L’irragionevolezza
della sanzione appare evidente nel caso in oggetto, allorché, da un
inadempimento contributivo nei confronti dell’INPS, pari ad euro 2.253,00, era scaturita una sanzione civile di euro
45.000,00; e, addirittura, l’inadempimento nei confronti dell’INAIL di soli
euro 450,62 aveva comportato, analogamente, una sanzione civile di euro
45.000,00".
In
conclusione, in virtù della denunciata irragionevolezza l’art.36-bis, comma 7,
lettera a), del D.L. n.223/2006, convertito, con modificazioni, dall’art.1,
comma 1, della Legge n.248/2006, nella parte relativa alla sanzione civile,
risulta in contrasto con l’art.3 della Costituzione.
Per
tutte le richiamate considerazioni, pertanto, la Consulta ha ritenuto
incostituzionale l’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223 del 4 luglio
2006, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248 del
4 agosto 2006, che ha modificato l’art.3, comma 3, del D.L. n.12 del 22
febbraio 2002, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge
n.73 del 23 aprile 2002, nella parte in cui stabilisce: "L’importo delle sanzioni civili connesse
all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di
cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000,
indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata".
Valerio
Pollastrini
1)
-
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui
alla Legge n.30 del 14 febbraio 2003;
2)
-
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
Legge Finanziaria 2007;
3)
-
Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo;
4)
-
Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e
la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di
entrate e di contrasto all’evasione fiscale;
5)
-
Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di
attività detenute all’estero e di lavoro irregolare;
6)
-
Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti,
di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per
l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di
lavoro pubblico e di controversie di lavoro;
7)
- come modificato dall’art.1, comma 911, della
Legge n.296/2006;
8)
-
Cass., Sentenza n.14475 del 19 giugno 2009;
9)
–
C. Cost., Ordinanza n.25/2012; C. Cost., Ordinanza n.224/2011; C. Cost.,
Ordinanza n.61/2010; C. Cost., Ordinanza
n.170/2009; C. Cost., Ordinanza n.212/2008; C. Cost., Ordinanza n.77/2008;
10) - Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge Finanziaria
2001;
11) - ex multis,
Cass., Sentenza n.14475 del 19 giugno 2009; Cass., Sentenza n.24358 del 1° agosto 2008; Cass., Sentenza n.8323 del 19
giugno 2000. In tal senso, si veda anche la Circolare n.38/2010 del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali;
12) - Cass., Sentenza
n.8323 del 19 giugno 2000; Cass., Sentenza n.2689 dell’8 marzo 1995;
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