Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


venerdì 14 novembre 2014

Omesso versamento dei contributi previdenziali - Prevista sanzione non inferiore a 3.000,00 € per ogni lavoratore – Illegittimità costituzionale

Nella sentenza n.254 del 3 novembre 2014, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che, in materia di omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun dipendente, prevede che la sanzione,  indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata, non può essere inferiore a 3.000,00 €.

Nel caso di specie, il Tribunale di Bologna aveva sollevato, in riferimento all’art.3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.29, comma 2, del D.Lgs. n.276 del 10 settembre 2003 (1), come modificato dall’art.1, comma 911, della Legge n.296 del 27 dicembre 2006 (2), in relazione all’art.21 del D.L. n.5 del 9 febbraio 2012 (3),  convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.35 del 4 aprile 2012,  "nella parte in cui prevede che la responsabilità solidale dell’appaltante, in caso di omesso versamento da parte dell’appaltatore dei contributi previdenziali, comprenda anche il debito per le sanzioni civili o somme aggiuntive".

Con la medesima ordinanza, il Tribunale di Bologna aveva sollevato, sempre in riferimento all’art.3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223 del 4 luglio 2006 (4), convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248 del 4 agosto 2006,  che ha modificato l’art.3, comma 3, del D.L. n.12 del  22 febbraio 2002 (5),  convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.73 del 23 aprile 2002, in relazione all’art.4, comma 1, lettera a), della Legge n.183 del 4 novembre 2010 (6),  "nella parte in cui ha previsto, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun lavoratore non inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata".

Il giudice del merito aveva premesso di essere stato investito del procedimento civile promosso dalla Corticella Molini Pastifici spa nei confronti dell’Inps e dell’Inail.

La società ricorrente aveva stipulato con la Società cooperativa MP Service un contratto d’appalto per lo svolgimento di diverse attività inerenti alla gestione del suo stabilimento situato a Bologna e, in seguito ad un accertamento ispettivo, svoltosi fra il 24 novembre 2009 e il 18 gennaio 2010,  afferente al periodo lavorativo compreso tra il 1° maggio 2008 e il 30 novembre 2009, era emerso che la società appaltatrice aveva impiegato personale dipendente in assenza di un regolare contratto di assunzione, omettendo il versamento dei relativi contributi.

In particolare, dall’accertamento compiuto, erano "emerse omissioni contributive per 2.253,00 € per l’impiego di personale non in regola, aumentati di  45.000,00 € a titolo di sanzione, ex art.116, comma 8 e ss., della Legge n.388/2000 e 36-bis del D.L. n.223/2006, nonché omessi versamenti in relazione a quanto dichiarato nei DM 10 per 136.942,00 €".

Per tale ragione, il 29 gennaio 2010 era stato notificato alla società ricorrente un verbale di obbligazione solidale, con il quale, in forza dell’art.29 del D.Lgs. n.276/2003 (7), le veniva intimato di provvedere entro trenta giorni al pagamento delle somme dovute dalla società appaltatrice, responsabile dell’omissione contributiva.

Successivamente, con nota del 1° settembre 2010, anche l’INAIL aveva contestato alla ricorrente "l’omesso versamento dei premi in relazione ai lavoratori presuntivamente impiegati "in nero" da MP Service per  460,52 € e la debenza della connessa sanzione di 45.000,00 € ex art. 36-bis citato".

Il Tribunale rimettente aveva ricordato come la giurisprudenza di legittimità  abbia ritenuto che le somme aggiuntive dovute dal contribuente in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali costituiscono sanzioni civili e non amministrative, avendo la funzione, da un lato, di rafforzare l’obbligo contributivo, dall’altro, di predeterminare il danno cagionato all’ente previdenziale dal suo inadempimento (8).

Il giudicante del merito, pertanto, aveva osservato che, nell’ipotesi di inadempimento dell’appaltatore e di responsabilità solidale del committente, le obbligazioni del secondo dovrebbero intendersi riferite "sia ai contributi (credito per capitale) sia alle somme aggiuntive (credito per sanzioni civili)".

Tuttavia, il quadro normativo di riferimento era stato  modificato dall’art.21 del D.L. n.5/2012, secondo il quale dalla responsabilità solidale del committente resta escluso qualsiasi obbligo per sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.

Proprio in conseguenza di quest’ultima modificazione, il Tribunale aveva posto il dubbio della legittimità costituzionale dell’art.29, comma 2, del D.Lgs. n.276/2003, per violazione dell’art.3 Cost., in quanto "il regime della responsabilità solidale del committente in materia previdenziale resta soggetto a due diverse discipline a seconda della data in cui si viene a collocare l’inadempimento dell’appaltatore".

In sostanza la questione attiene al fatto che, una medesima situazione giuridica risulta attualmente disciplinata diversamente "senza alcuna giustificazione apparente, che non sia la mera casualità nella quale si colloca la data dell’inadempimento" e dunque: "se l’inadempimento si colloca prima dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art.29, comma 2, [infatti], il committente deve rispondere, come nel caso di specie, anche del debito per le sanzioni civili; mentre, in caso contrario, il medesimo committente è tenuto a versare, in via solidale, soltanto l’importo dei contributi".

A causa della predetta difformità di trattamento, pertanto, inadempimenti del medesimo importo "avrebbero un’incidenza economica a carico delle imprese committenti ben diversa e difficilmente giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza".

Secondo l’Ordinanza di remissione, poi,  un ulteriore profilo di irragionevolezza sarebbe ravvisabile nella circostanza che "la nuova normativa esprime il principio che, in materia contributiva, le conseguenze sanzionatorie e risarcitorie previste in caso di inadempimento restano a carico del soggetto-datore di lavoro cui può essere soggettivamente imputato l’inadempimento per non avere provveduto al tempestivo pagamento dei contributi".

In tal modo, in sostanza, è stata  modificata "la natura giuridica del debito per sanzioni civili", ora non più posto "automaticamente a carico del committente, cioè di un soggetto al quale non può essere materialmente imputato l’inadempimento".

Il Tribunale rimettente, inoltre, aveva ritenuto non manifestamente infondata, sempre in riferimento all’art.3 Cost., anche la questione di legittimità costituzionale dell’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, che ha modificato l’art.3, comma 3, del D.L. n.12/2002, "introducendo, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun lavoratore non inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata (c.d. maxi sanzione per lavoro nero)".

Detta norma, infatti, appare censurabile per via dell’irragionevole introduzione di una sanzione "sproporzionata alla gravità complessiva dell’inadempimento, eccessiva e ingiustamente vessatoria nei confronti del datore di lavoro".

Ciò risulterebbe palesato dalla circostanza che la modifica successivamente introdotta dall’art.4 della Legge n.183/2010 "ha abolito la soglia minima per le sanzioni di euro 3.000,00 per ciascun lavoratore occupato in nero" ed ha "ripristinato la normativa prevista dall’art.116, comma 8, lettera b) della Legge n.388/2000, che prevede l’applicazione, in ragione d’anno, della sanzione civile del 30% all’ammontare contributivo evaso, maggiorato del 50%".

Tuttavia, tornando al caso di specie, il giudice del merito aveva precisato che, poiché il comportamento illecito dell’appaltatore risultava cessato il 12 gennaio 2009 e gli accertamenti ispettivi erano stati compiuti in epoca antecedente, la nuova normativa, entrata in vigore il 24 novembre 2010, non sarebbe applicabile.

Ciò dimostrerebbe, pertanto, "l’irragionevolezza complessiva così venutasi a creare nell’ordinamento", in quanto nelle ipotesi di impiego di lavoratori non risultanti da scritture o da altra documentazione obbligatoria, poste in essere o accertate nel vigore della precedente disciplina, "continua a trovare applicazione una sanzione determinata sulla base di una soglia minima, particolarmente afflittiva e, come dimostra il caso concreto, del tutto sproporzionata alla gravità dell’inadempimento", mentre lo stesso legislatore aveva successivamente realizzato "un sistema caratterizzato, allo stesso tempo, da efficacia dissuasiva e da maggiore equità perché la determinazione della sanzione resta comunque agganciata alla gravità dell’inadempimento".

In aggiunta, la questione sollevata sarebbe  rilevante anche perché "la responsabilità solidale del committente comprende le somme dovute per contributi e per sanzioni civili", e, di conseguenza, "la società ricorrente è tenuta, altresì, al pagamento anche della c.d. "maxi sanzione" per il lavoro nero".

In caso di applicazione della disciplina introdotta nel 2010, invece, "l’importo delle somme aggiuntive da euro 90.000,00 (euro 45.000,00 richiesti da ciascun istituto previdenziale) si attesterebbe sulla minore cifra di euro 1.221,09".

Investita della questione, la Consulta ha preliminarmente escluso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.29, comma 2, del D.Lgs. n.276/2003, modificato dall’art.1, comma 911, della Legge n.296/2006.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (9).

Di conseguenza, la circostanza che la nuova disciplina sulla responsabilità solidale del committente e dell’appaltatore, dettata dall’art.21 del D.L. n.5/2012, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.35/2012, si applichi agli inadempimenti contributivi avvenuti dopo la sua entrata in vigore,  non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale evocato.

E’ invece fondata, a detta della Consulta, la questione di legittimità costituzionale dell’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248/2006.

Per chiarire al meglio detta fondatezza, la Corte Costituzionale ha ritenuto opportuno richiamare in maniera esaustiva il quadro normativo di riferimento.

La disciplina delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi è dettata dall’art.116 della Legge n.388 del 23 dicembre 2000 (10), che, nel prevedere "Misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare", al comma 8, stabilisce: "I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

a)    nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;

b)    in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.

Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge".

L’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248/2006, che ha modificato l’art.3, comma 3, del D.L. n.12/2002, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.73/2002, ha fortemente inciso sul meccanismo di commisurazione delle sanzioni civili, stabilendo che "L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore [...] non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata".

Al fine di  rendere più rigorosa la disciplina sanzionatoria del lavoro non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, il legislatore del 2006 ha così introdotto, per le sanzioni civili di cui all’art.116, comma 8, della Legge n.388/2000, una soglia minima di 3.000 euro per ogni lavoratore, nell’ipotesi in cui la loro quantificazione risulti inferiore.

Successivamente, però, la Legge n.183/2010 ha nuovamente modificato la misura delle sanzioni civili applicabili in caso di impiego di tali lavoratori eliminando il sopra citata tetto minimo di 3.000 euro ed ha previsto unicamente un aumento del 50%  delle sanzioni determinate sulla scorta del criterio stabilito dall’art.116, comma 8, della Legge n.388/2000.

Di conseguenza, oggi le sanzioni civili sono calcolate nella misura del 30%  in ragione d’anno della contribuzione evasa, fino ad un massimo del 60%  dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge, come previsto dall’art.116, comma 8, lettera b), della Legge n.388/2010, e l’importo così determinato è maggiorato del 50%.

Al termine di questo lungo excursus della normativa di riferimento, la Consulta ha osservato che  la disposizione censurata, nel modificare il sistema di quantificazione delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e dei premi, ha introdotto una soglia minima, riferita a ciascun lavoratore e indipendente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

Conseguentemente,  l’importo minimo della sanzione civile introdotto dall’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, prescindendo dalla durata effettiva del rapporto di lavoro, è ancorato unicamente al numero di "lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria".

In tal modo, però, la sanzione può risultare del tutto sproporzionata rispetto alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro e incoerente con la sua natura, se si considera che, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, l’obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi ha natura di sanzione civile e non amministrativa, costituendo una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, che è posta allo scopo di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione iuris et de iure, il danno cagionato all’istituto assicuratore (11).

In altri termini, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole.

Il legislatore, infatti, con la norma impugnata, ha predeterminato in via presuntiva il danno subito dall’ente previdenziale a causa dell’omissione contributiva, ma nel far ciò ha escluso la rilevanza di uno degli elementi che concorrono a cagionare quel danno, costituito dalla durata dei rapporti di lavoro non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e dal correlativo inadempimento dell’obbligo contributivo.

In tal modo, però, la sanzione risulta arbitraria e irragionevole, perché, pur avendo la funzione di "risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione "iuris et de iure", il danno cagionato all’Istituto assicuratore" (12),  è stabilita con un criterio privo di riferimento all’entità di tale danno, dipendente dalla durata del periodo in cui i rapporti di lavoro in questione si sono protratti.

L’irragionevolezza della sanzione appare evidente nel caso in oggetto, allorché, da un inadempimento contributivo nei confronti dell’INPS, pari ad euro 2.253,00,  era scaturita una sanzione civile di euro 45.000,00; e, addirittura, l’inadempimento nei confronti dell’INAIL di soli euro 450,62 aveva comportato, analogamente, una sanzione civile di euro 45.000,00".

In conclusione, in virtù della denunciata irragionevolezza l’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223/2006, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248/2006, nella parte relativa alla sanzione civile, risulta in contrasto con l’art.3 della Costituzione.

Per tutte le richiamate considerazioni, pertanto, la Consulta ha ritenuto incostituzionale l’art.36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n.223 del 4 luglio 2006, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.248 del 4 agosto 2006, che ha modificato l’art.3, comma 3, del D.L. n.12 del 22 febbraio 2002, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della Legge n.73 del 23 aprile 2002, nella parte in cui stabilisce: "L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata".

Valerio Pollastrini


1)      - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge n.30 del 14 febbraio 2003;
2)      - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge Finanziaria 2007;
3)      - Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo;
4)      - Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale;
5)      - Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare;
6)      - Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro;
7)      -  come modificato dall’art.1, comma 911, della Legge n.296/2006;
8)      - Cass., Sentenza n.14475 del 19 giugno 2009;
9)      – C. Cost., Ordinanza n.25/2012; C. Cost., Ordinanza n.224/2011; C. Cost., Ordinanza  n.61/2010; C. Cost., Ordinanza n.170/2009; C. Cost., Ordinanza n.212/2008; C. Cost., Ordinanza  n.77/2008;
10)  - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge Finanziaria 2001;
11)  - ex multis, Cass., Sentenza n.14475 del 19 giugno 2009; Cass., Sentenza n.24358 del  1° agosto 2008; Cass., Sentenza n.8323 del 19 giugno 2000. In tal senso, si veda anche la Circolare n.38/2010 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
12)  - Cass., Sentenza n.8323 del 19 giugno 2000; Cass., Sentenza n.2689 dell’8 marzo 1995;

Nessun commento:

Posta un commento