Nei primi 11 mesi del 2015, circa 2 milioni di imprese
italiane che hanno lavorato per la Pubblica amministrazione (Pa) sono state
“costrette” ad anticipare alle casse dello Stato 5,8 miliardi di euro.
Ciò è avvenuto, denuncia la CGIA, a seguito
dell’introduzione del meccanismo dello split-payment (scissione del pagamento
dell’Iva).
“Oltre il danno – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi
Paolo Zabeo – si è aggiunta anche la beffa. La nostra Pa non solo paga con un
ritardo che non ha eguali nel resto d’Europa, ma dall’anno scorso salda le
fatture senza pagare l’Iva al proprio fornitore. Dal gennaio del 2015, infatti,
l’imposta la versa l’ente pubblico direttamente all’erario. Pertanto, le
imprese che lavorano per la Pa, oltre a subire tempi di pagamento
irragionevolmente lunghi, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che ha
peggiorato la grave situazione di liquidità in cui versano da anni moltissime
aziende, soprattutto di piccola dimensione”.
Ricostruiamo la vicenda. Nell’anno appena concluso ha fatto
il proprio debutto lo split payment; a partire dal 2015, infatti, la Pa
trattiene l’Iva sulle fatture per beni e servizi ricevuti dalle imprese e la
versa direttamente all’erario. Scopo di questo meccanismo è quello di
contrastare l’evasione fiscale, ovvero di evitare che una volta incassata l’Iva
dal committente pubblico, l’azienda fornitrice non la versi all’erario.
Il Dipartimento delle
Finanze ha riferito che nei primi 11 mesi dell’anno, l’Iva da split payment
(cioè trattenuta dalla Pa) ammonta a 5,8 miliardi di euro.
Il meccanismo è sicuramente efficace nell’impedire che
l’imprenditore disonesto incassi l’Iva dalla Pa e poi non la versi all’erario;
tuttavia, provoca seri problemi finanziari a tutti coloro, vale a dire la quasi
totalità, che con l’evasione non hanno nulla a che fare.
La stessa
Amministrazione finanziaria, consapevole di questo problema, ha introdotto
delle misure per accelerare il rimborso dell’Iva a credito. Lo split payment,
ad esempio, consente la restituzione prioritaria dell’Iva a credito entro tre
mesi dalla richiesta. Tuttavia, se si considera che è necessario presentare una
istanza infrannuale che abbraccia un periodo di tre mensilità, i tempi
necessari per il rimborso potrebbero arrivare a 6 mesi.
“Sottrarre 5,8 miliardi di euro alle aziende che in questo
momento continuano ad essere penalizzate dalle banche – conclude Zabeo – è
stato un errore. Per questo chiediamo al Governo, visto il perdurare
dell’assenza di liquidità, di eliminare lo split payment. Infatti, nonostante
l’introduzione da parte della Bce del Quantitative easing, nell’ultimo anno i
prestiti bancari alle imprese sono diminuiti di 4 miliardi di euro, sebbene la
domanda di credito di queste ultime sia aumentata del 3 per cento”.
Secondo la CGIA, il buon funzionamento del rapporto
banche/imprese diventa centrale per riagganciare la ripresa economica.
“Dopo otto anni di difficoltà – segnala il Segretario della
CGIA Renato Mason – le piccole imprese continuano a denunciare la mancanza di
credito. Per soddisfare gli ordini e la domanda, queste ultime devono pagare le
forniture, acquistare le materie prime e i servizi, pagare le utenze, onorare
gli impegni economici assunti con i propri dipendenti, versare le tasse e i
contributi. Se non dispongono delle risorse finanziarie sufficienti, molte
iniziative imprenditoriali rischiano di chiudere. Sebbene nell’ultimo anno ci
sia stata un’inversione di tendenza, dall’inizio della crisi ad oggi sono quasi
90.000 le imprese italiane che hanno fallito e una buona parte di queste a
causa della poca liquidità a disposizione”.
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