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venerdì 22 gennaio 2016

Cassazione: nel licenziamento economico vanno specificate le commesse perse

Nella sentenza n.362 del 13 gennaio 2016, la Corte di Cassazione, nel confermare quanto disposto dalla Corte di Appello di Catanzaro, ha introdotto un importante principio in relazione alla disciplina del  licenziamento economico.

Nel caso di specie, infatti, la Corte Territoriale aveva ritenuto illegittimo il recesso intimato ad  un lavoratore a seguito della perdita di importanti commesse da parte dell’azienda.

Sul punto, il Giudice dell’appello aveva precisato che, in simili casi, il licenziamento deve considerarsi illegittimo ogni qual volta nella comunicazione del recesso  il datore di lavoro non motivi nel dettaglio quali commesse siano state perse o non ne quantifichi la corrispondente diminuzione delle entrate.

Dott. Valerio Pollastrini

Corte di Cassazione, Sentenza n.362 del 13 gennaio 2016

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Catanzaro con la sentenza n. 1205 depositata il 19 settembre 2012, rigettava l'appello principale proposto da M.N. e quello incidentale proposto da A. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato con nota del 19/4/2007 da A. s.r.l. al suddetto M.N. e ordinato alla società di riassumerlo nel termine di tre giorni o in mancanza di versargli una somma pari a cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori dalla maturazione al soddisfo e rifusione delle spese di lite.

La Corte territoriale riferiva che la ragione del recesso era stata attribuita dalla società alla "perdita di alcuni importanti incarichi commerciali", con conseguente riduzione del carico di lavoro e delle entrate economiche, nonché alla situazione finanziaria generale, che imponeva un'immediata riduzione dei costi, fra i quali quello del personale dipendente. Tali indicazioni apparivano generiche alla Corte di Catanzaro, non venendo specificato quali importanti commesse fossero venute meno né quale fosse l'entità della diminuzione delle entrate e della conseguente riduzione dei costi; inoltre, dal bilancio di esercizio dell'anno 2006, immediatamente precedente al licenziamento del N., risultava un utile di esercizio di € 14.784, sicché non rispondeva al vero la dedotta situazione di crisi economica dell'azienda. Infine, neppure la società aveva comprovato di non poter ricollocare il lavoratore, addetto all’unità operativa di Catanzaro, in altra unità operativa della società (Lamezia Terme o Marcellinara) o a mansioni equivalenti, considerato che altri magazzinieri e manovali suoi colleghi di lavoro erano stati trasferiti alla sede di Marcellinara con mansioni impiegatizie di fattorini. Inoltre, l’esternalizzazione dei servizi di magazzino si era verificata poco meno di un anno prima del licenziamento, sicché appariva poco credibile il collegamento invocato della società tra i due fatti. In merito al requisito dimensionale per l'applicazione della tutela reale, la Corte osservava che risultava dal libro matricola che l'impresa nella sua totalità aveva in forza alla data dell'aprile 2007 n. 14 lavoratori, sicché correttamente il Tribunale aveva applicato la tutela obbligatoria.

Per la cassazione di tale sentenza M.N. ha proposto ricorso principale, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso A. s.r.l., che ha proposto a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi, in relazione al quale il N. ha depositato controricorso. Le parti hanno depositato anche memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Preliminarmente, il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c. in quanto proposti avvero la medesima sentenza.

1. A fondamento del ricorso principale, M.N. deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 18 della L. n. 300 del 1970, nonché vizio di motivazione e lamenta che la Corte d’appello non abbia valutato correttamente la documentazione prodotta dalla parte datoriale nel fascicolo di primo grado, ed in particolare il libro matricola, dal quale risultava che all'epoca del suo licenziamento A. avesse in organico 16 dipendenti. Aggiunge che la Corte avrebbe dovuto fare riferimento ai lavoratori in servizio alla stregua delle medie e normali esigenze produttive dell'azienda, considerando anche coloro che si erano dimessi o erano stati licenziati poco prima del licenziamento, e che in tal modo il numero dei lavoratori occupati arrivava a 22.

2. Il ricorso non è fondato.

Questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito che "ai fini dell’ operatività della tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi, il computo dei dipendenti va accertato sulla base del criterio della normale occupazione, il quale implica il riferimento all'organigramma produttivo o, in mancanza, alle unità lavorative necessarie, secondo la normale produttività dell'impresa, valutata con riguardo al periodo di tempo antecedente al licenziamento" (v. fra le altre Cass. n. 2315 del 2012, n. 2460 del 2014). Le valutazioni effettuate al riguardo costituiscono un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate (Cass. 2 gennaio 2000 n. 609; Cass. 8 maggio 2001 n. 6421).

2.1. Nella specie, la Corte territoriale ha desunto dal libro matricola che al momento del licenziamento (aprile 2007) i dipendenti della società fossero 14, con valutazione delle risultanze fattuali che non può essere rimessa in discussione in questa sede, tanto più considerandosi che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che prevede come quinto motivo di ricorso per cassazione l’ "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti" in luogo della precedente locuzione che contemplava l’ "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

2.2. Quanto poi alla doglianza secondo la quale erroneamente la Corte avrebbe cristallizzato il dato alla data dell’aprile 2007, essa è del tutto generica in quanto, non trattandosi di impresa nella quale la variabilità del livello occupazionale è strutturalmente connessa al carattere dell'attività produttiva (come nel caso dell’impresa stagionale), non si chiarisce per quale ragione il numero dei dipendenti occupato al momento del licenziamento non rispecchierebbe le normali esigenze produttive dell’azienda.

3. A fondamento del ricorso incidentale, A. s.r.l. deduce come primo motivo il vizio di motivazione nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, laddove ha valorizzato gli utili di esercizio risultanti dai bilanci prodotti in giudizio per l'anno 2006, mentre nella comunicazione dei motivi di recesso si faceva riferimento alla riduzione del carico di lavoro e delle entrate economiche nonché alla situazione finanziaria generale della società, senza riferimento agli utili. Riferisce di aver dimostrato la perdita definitiva di mandati di particolare importanza; dalla comparazione del bilancio del 2006 con quello del 2005 emergeva inoltre una contrazione del valore della produzione, che giustificava la decisione della società di sopprimere il settore di movimentazione merci e deposito di magazzino e di esternalizzare tale attività, affidata nell'ottobre 2006 alla M.Z. di F.M., contestualmente avviando la procedura di dismissione della gestione in proprio del relativo servizio. La decisione della Corte deriverebbe pertanto da un esame parziale dei bilanci e dall'omissione della considerazione delle prove addotte da A., relative al calo della produzione in rapporto ai costi, da cui emergerebbe la legittimità della riorganizzazione aziendale, la cui determinazione è rimessa alla valutazione del datore di lavoro e costituisce espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'articolo 41 della Costituzione.

4. Come secondo motivo, A. s.r.l. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966 in relazione all'articolo 41 della Costituzione e all'art. 30 della L.n. 183 del 2010. Lamenta che la Corte abbia ritenuto che la registrazione di utili precluda in assoluto qualunque riorganizzazione aziendale ed impedisca di valutare l’ effettività della riorganizzazione comportante la soppressione del posto di lavoro ed il conseguente licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ribadisce di avere dimostrato la non pretestuosità della soppressione del settore, determinata dalla definitiva perdita di importanti commesse commerciali; l'esternalizzazione del reparto magazzino cui era addetto il dipendente licenziato; l'impossibilità di un proficuo repechage, non essendo rimasti in organico posti di magazziniere quali quello cui era addetto il N., il quale peraltro neppure aveva assolto all'onere di introdurre circostanze idonee a suffragare la possibilità del reimpiego, indicando quale o quali ulteriori posti di lavoro si sarebbero resi disponibili.

5. I due motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

La Corte ha tratto le mosse dalle stesse argomentazioni formulate dalla società a sostegno del licenziamento, ed ha ritenuto sulla base delle risultanze di causa che là perdita degli incarichi commerciali fosse troppo risalente per individuarvi un nesso di causalità con il licenziamento del dipendente, che la riduzione del carico di lavoro non fosse stata dimostrata, che la situazione finanziaria non denotasse l’ esigenza di riduzione dei costi del personale manifestata dal licenziamento del dipendente, che non fosse stato dimostrato l’assolvimento dell’obbligo di repechage. La Corte territoriale ha quindi puntualmente esaminato le circostanze di cui si chiede il riesame, negando che le dedotte ragioni inerenti l'attività produttiva determinassero con stretto nesso di consequenzialità l’ inutilizzabilità della posizione lavorativa del dipendente licenziato.

Un nuovo esame delle medesime circostanze è quindi precluso in questa sede di legittimità, considerato che ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’eventuale carenza o difetto della motivazione può avere rilievo solo ove trasmodi in vizio processuale ex art. 360 n. 4) c.p.c. (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014). Inoltre, manca nel ricorso la specifica indicazione e riproduzione dei documenti da cui risulterebbero le circostanze ivi valorizzate, in violazione del principio di autosufficienza che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute negli artt. 366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ.

4. Come terzo motivo, la ricorrente incidentale deduce erronea applicazione ed interpretazione dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966 e lamenta che la Corte abbia ritenuto indimostrata la possibilità di reimpiego del dipendente, laddove A. aveva dimostrato l'assenza di posti in organico con riferimento a mansioni equivalenti a quelle di magazziniere e la residua permanenza in organico di sole mansioni impiegatizie, né il lavoratore aveva indicato quali posti si sarebbero resi disponibili al tempo del licenziamento.

5. Tale motivo è inammissibile.

Non si prospetta infatti un'interpretazione della norma invocata diversa da quella adottata dalla Corte d'appello, né viene contestata la ratio decidendi secondo la quale il N. avrebbe potuto essere applicato come i suoi colleghi alle mansioni impiegatizie di fattorino, né vengono riprodotti o allegati atti e documenti relativi alla specifica questione che sarebbero stati ignorati o travisati.

4. Segue il rigetto di entrambi i ricorsi e la compensazione delle spese tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza.

In considerazione della data di introduzione del giudizio di legittimità, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato per il ricorrente principale e per quello incidentale.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi dell’ art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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