Nel caso di specie, infatti, la Corte Territoriale aveva
ritenuto illegittimo il recesso intimato ad un lavoratore a seguito della perdita di
importanti commesse da parte dell’azienda.
Sul punto, il Giudice dell’appello aveva precisato che, in
simili casi, il licenziamento deve considerarsi illegittimo ogni qual volta
nella comunicazione del recesso il
datore di lavoro non motivi nel dettaglio quali commesse siano state perse o
non ne quantifichi la corrispondente diminuzione delle entrate.
Dott. Valerio Pollastrini
Corte di
Cassazione, Sentenza n.362 del 13 gennaio 2016
Svolgimento del
processo
La Corte d'appello di
Catanzaro con la sentenza n. 1205 depositata il 19 settembre 2012, rigettava
l'appello principale proposto da M.N. e quello incidentale proposto da A.
s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato
l'illegittimità del licenziamento intimato con nota del 19/4/2007 da A. s.r.l.
al suddetto M.N. e ordinato alla società di riassumerlo nel termine di tre
giorni o in mancanza di versargli una somma pari a cinque mensilità dell'ultima
retribuzione globale di fatto, oltre accessori dalla maturazione al soddisfo e
rifusione delle spese di lite.
La Corte territoriale
riferiva che la ragione del recesso era stata attribuita dalla società alla
"perdita di alcuni importanti incarichi commerciali", con conseguente
riduzione del carico di lavoro e delle entrate economiche, nonché alla
situazione finanziaria generale, che imponeva un'immediata riduzione dei costi,
fra i quali quello del personale dipendente. Tali indicazioni apparivano
generiche alla Corte di Catanzaro, non venendo specificato quali importanti
commesse fossero venute meno né quale fosse l'entità della diminuzione delle
entrate e della conseguente riduzione dei costi; inoltre, dal bilancio di
esercizio dell'anno 2006, immediatamente precedente al licenziamento del N.,
risultava un utile di esercizio di € 14.784, sicché non rispondeva al vero la
dedotta situazione di crisi economica dell'azienda. Infine, neppure la società
aveva comprovato di non poter ricollocare il lavoratore, addetto all’unità
operativa di Catanzaro, in altra unità operativa della società (Lamezia Terme o
Marcellinara) o a mansioni equivalenti, considerato che altri magazzinieri e
manovali suoi colleghi di lavoro erano stati trasferiti alla sede di
Marcellinara con mansioni impiegatizie di fattorini. Inoltre,
l’esternalizzazione dei servizi di magazzino si era verificata poco meno di un
anno prima del licenziamento, sicché appariva poco credibile il collegamento
invocato della società tra i due fatti. In merito al requisito dimensionale per
l'applicazione della tutela reale, la Corte osservava che risultava dal libro
matricola che l'impresa nella sua totalità aveva in forza alla data dell'aprile
2007 n. 14 lavoratori, sicché correttamente il Tribunale aveva applicato la
tutela obbligatoria.
Per la cassazione di
tale sentenza M.N. ha proposto ricorso principale, affidato ad un unico motivo,
cui ha resistito con controricorso A. s.r.l., che ha proposto a sua volta
ricorso incidentale affidato a tre motivi, in relazione al quale il N. ha depositato
controricorso. Le parti hanno depositato anche memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente, il
ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c.
in quanto proposti avvero la medesima sentenza.
1. A fondamento del
ricorso principale, M.N. deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo
18 della L. n. 300 del 1970, nonché vizio di motivazione e lamenta che la Corte
d’appello non abbia valutato correttamente la documentazione prodotta dalla parte
datoriale nel fascicolo di primo grado, ed in particolare il libro matricola,
dal quale risultava che all'epoca del suo licenziamento A. avesse in organico
16 dipendenti. Aggiunge che la Corte avrebbe dovuto fare riferimento ai
lavoratori in servizio alla stregua delle medie e normali esigenze produttive
dell'azienda, considerando anche coloro che si erano dimessi o erano stati
licenziati poco prima del licenziamento, e che in tal modo il numero dei
lavoratori occupati arrivava a 22.
2. Il ricorso non è
fondato.
Questa Corte ha più
volte affermato e va qui ribadito che "ai fini dell’ operatività della
tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi, il computo dei
dipendenti va accertato sulla base del criterio della normale occupazione, il
quale implica il riferimento all'organigramma produttivo o, in mancanza, alle
unità lavorative necessarie, secondo la normale produttività dell'impresa,
valutata con riguardo al periodo di tempo antecedente al licenziamento"
(v. fra le altre Cass. n. 2315 del 2012, n. 2460 del 2014). Le valutazioni
effettuate al riguardo costituiscono un apprezzamento di fatto riservato al
giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente
motivate (Cass. 2 gennaio 2000 n. 609; Cass. 8 maggio 2001 n. 6421).
2.1. Nella specie, la
Corte territoriale ha desunto dal libro matricola che al momento del
licenziamento (aprile 2007) i dipendenti della società fossero 14, con
valutazione delle risultanze fattuali che non può essere rimessa in discussione
in questa sede, tanto più considerandosi che al presente giudizio si applica
ratione temporis la formulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta
dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla
L. 7 agosto 2012, n. 134, che prevede come quinto motivo di ricorso per
cassazione l’ "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti" in luogo della precedente
locuzione che contemplava l’ "omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".
2.2. Quanto poi alla
doglianza secondo la quale erroneamente la Corte avrebbe cristallizzato il dato
alla data dell’aprile 2007, essa è del tutto generica in quanto, non
trattandosi di impresa nella quale la variabilità del livello occupazionale è
strutturalmente connessa al carattere dell'attività produttiva (come nel caso
dell’impresa stagionale), non si chiarisce per quale ragione il numero dei
dipendenti occupato al momento del licenziamento non rispecchierebbe le normali
esigenze produttive dell’azienda.
3. A fondamento del
ricorso incidentale, A. s.r.l. deduce come primo motivo il vizio di motivazione
nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, laddove ha valorizzato gli
utili di esercizio risultanti dai bilanci prodotti in giudizio per l'anno 2006,
mentre nella comunicazione dei motivi di recesso si faceva riferimento alla
riduzione del carico di lavoro e delle entrate economiche nonché alla
situazione finanziaria generale della società, senza riferimento agli utili.
Riferisce di aver dimostrato la perdita definitiva di mandati di particolare
importanza; dalla comparazione del bilancio del 2006 con quello del 2005
emergeva inoltre una contrazione del valore della produzione, che giustificava
la decisione della società di sopprimere il settore di movimentazione merci e
deposito di magazzino e di esternalizzare tale attività, affidata nell'ottobre
2006 alla M.Z. di F.M., contestualmente avviando la procedura di dismissione
della gestione in proprio del relativo servizio. La decisione della Corte
deriverebbe pertanto da un esame parziale dei bilanci e dall'omissione della
considerazione delle prove addotte da A., relative al calo della produzione in
rapporto ai costi, da cui emergerebbe la legittimità della riorganizzazione
aziendale, la cui determinazione è rimessa alla valutazione del datore di
lavoro e costituisce espressione della libertà di iniziativa economica tutelata
dall'articolo 41 della Costituzione.
4. Come secondo
motivo, A. s.r.l. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della L.
n. 604 del 1966 in relazione all'articolo 41 della Costituzione e all'art. 30
della L.n. 183 del 2010. Lamenta che la Corte abbia ritenuto che la
registrazione di utili precluda in assoluto qualunque riorganizzazione
aziendale ed impedisca di valutare l’ effettività della riorganizzazione
comportante la soppressione del posto di lavoro ed il conseguente licenziamento
per giustificato motivo oggettivo.
Ribadisce di avere
dimostrato la non pretestuosità della soppressione del settore, determinata
dalla definitiva perdita di importanti commesse commerciali;
l'esternalizzazione del reparto magazzino cui era addetto il dipendente
licenziato; l'impossibilità di un proficuo repechage, non essendo rimasti in
organico posti di magazziniere quali quello cui era addetto il N., il quale
peraltro neppure aveva assolto all'onere di introdurre circostanze idonee a
suffragare la possibilità del reimpiego, indicando quale o quali ulteriori
posti di lavoro si sarebbero resi disponibili.
5. I due motivi, da
valutarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.
La Corte ha tratto le
mosse dalle stesse argomentazioni formulate dalla società a sostegno del
licenziamento, ed ha ritenuto sulla base delle risultanze di causa che là
perdita degli incarichi commerciali fosse troppo risalente per individuarvi un
nesso di causalità con il licenziamento del dipendente, che la riduzione del
carico di lavoro non fosse stata dimostrata, che la situazione finanziaria non
denotasse l’ esigenza di riduzione dei costi del personale manifestata dal
licenziamento del dipendente, che non fosse stato dimostrato l’assolvimento
dell’obbligo di repechage. La Corte territoriale ha quindi puntualmente
esaminato le circostanze di cui si chiede il riesame, negando che le dedotte
ragioni inerenti l'attività produttiva determinassero con stretto nesso di
consequenzialità l’ inutilizzabilità della posizione lavorativa del dipendente
licenziato.
Un nuovo esame delle
medesime circostanze è quindi precluso in questa sede di legittimità,
considerato che ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. l’eventuale
carenza o difetto della motivazione può avere rilievo solo ove trasmodi in
vizio processuale ex art. 360 n. 4) c.p.c. (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014).
Inoltre, manca nel ricorso la specifica indicazione e riproduzione dei
documenti da cui risulterebbero le circostanze ivi valorizzate, in violazione
del principio di autosufficienza che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive
disposizioni contenute negli artt. 366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4 cod.
proc. civ.
4. Come terzo motivo,
la ricorrente incidentale deduce erronea applicazione ed interpretazione
dell'art. 3 della L. n. 604 del 1966 e lamenta che la Corte abbia ritenuto
indimostrata la possibilità di reimpiego del dipendente, laddove A. aveva
dimostrato l'assenza di posti in organico con riferimento a mansioni
equivalenti a quelle di magazziniere e la residua permanenza in organico di
sole mansioni impiegatizie, né il lavoratore aveva indicato quali posti si
sarebbero resi disponibili al tempo del licenziamento.
5. Tale motivo è
inammissibile.
Non si prospetta
infatti un'interpretazione della norma invocata diversa da quella adottata
dalla Corte d'appello, né viene contestata la ratio decidendi secondo la quale
il N. avrebbe potuto essere applicato come i suoi colleghi alle mansioni
impiegatizie di fattorino, né vengono riprodotti o allegati atti e documenti
relativi alla specifica questione che sarebbero stati ignorati o travisati.
4. Segue il rigetto di
entrambi i ricorsi e la compensazione delle spese tra le parti, in ragione
della reciproca soccombenza.
In considerazione
della data di introduzione del giudizio di legittimità, deve darsi atto della
sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell'art. 13, comma 1
quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1
della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo
unificato per il ricorrente principale e per quello incidentale.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e
li rigetta entrambi. Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ai sensi dell’ art.
13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello
incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
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