Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n.1481 del 3 giugno 2015
Svolgimento
del processo
Con
sentenza depositata il 28.3.12 la Corte d’appello di Genova, in totale riforma
della pronuncia n. 1777/10 del Tribunale della stessa sede, dichiarava
illegittimo perché sproporzionato il licenziamento disciplinare intimato il
14.5.10 a P.G. da Poste Italiane S.p.A., condannando la società a reintegrarlo
nel posto di lavoro e a pagargli il risarcimento ex art. 18 Stat.
Per
la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a
quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
P.G. resiste con controricorso.
Motivi
della decisione
1-
Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli
artt. 54 lett. d) e 56, punto VI, lett. c) del CCNL poste del 2007, anche in
relazione agli arti. 1175, 1375, 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., per avere la
gravata pronuncia ritenuto sproporzionato il licenziamento disciplinare
intimato al controricorrente per aver svolto attività lavorativa presso il bar
della figlia nel pomeriggio dei giorni 19 e 26.2.10 e 4.3.10, nonostante che in
tali giornate fosse assente dal lavoro prima per infortunio e poi per malattia:
lamenta la società ricorrente che la Corte territoriale ha trascurato la
giurisprudenza di questa S.C. secondo cui condotte analoghe a quella di cui
sopra possono integrare giusta causa perché violano i doveri di correttezza e
buona fede da parte del lavoratore e ne dimostrano la scarsa attenzione al
proprio stato di salute e l’inidoneità della malattia ad impedire
l’espletamento dell’attività di lavoro; nel caso di specie – prosegue il
ricorso – risulta altresì violato il combinato disposto dei summenzionati artt.
54 e 56 cit. CCNL, alla stregua dei quali lo svolgere per conto di terzi
attività lavorativa, ancorché non remunerata, durante i giorni di assenza per
malattia od infortunio costituisce violazione dolosa di leggi o regolamenti o
doveri d’ufficio tale da arrecare o da poter arrecare forte pregiudizio alla
società o a terzi e, quindi, tale da essere passibile di licenziamento, anche
ai sensi del nunto art.-56- che ammette il licenziamento ner fatti o atti
dolosi, anche nei confronti di terzi, compiuti in connessione con il rapporto
di lavoro e di gravità tale da non consentirne la prosecuzione.
Con
il secondo motivo il ricorso si duole di vizio di motivazione, anche in
relazione agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., là dove la gravata pronuncia ha
ritenuto non provato che l’attività lavorativa svolta dal G. presso il bar
della figlia nei giorni di cui alla contestazione disciplinare potesse
risultare (all’esito d’un giudizio ex ante) pregiudizievole per il suo recupero
psicofisico: obietta a riguardo la società ricorrente che, come correttamente
ricostruito dalla pronuncia di prime cure in base a massime di esperienza poi
illegittimamente trascurate dalla Corte territoriale, tale lavoro (servire i
clienti, preparare caffè e bevande varie e provvedere a tutte le attività
connesse, il che la società aveva invano chiesto di poter provare per testi)
comportava una prolungata stazione eretta e continui movimenti di torsione
tutt’altro che insignificanti per il recupero funzionale del trauma contusivo
generalizzato sofferto dal controricorrente.
Con
il terzo motivo il ricorso prospetta violazione o falsa applicazione dell’art.
56 punto V lett. c) del cit. CCNL poste del 2007, anche in relazione all’art. 3
legge n. 604/66 per aver la gravata pronuncia erroneamente disatteso la domanda
subordinata di conversione del licenziamento per giusta causa in uno per
giustificato motivo soggettivo previsto dalla suddetta clausola contrattuale
per “irregolarità, trascuratezza o negligenza, ovvero per inosservanza di leggi
o di regolamenti o degli obblighi di servizio dalle quali sia derivato
pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi danni alla
Società o a terzi”.
Con
il quarto motivo il ricorso lamenta omessa motivazione, anche in relazione
all’art. 112 c.p.c., perché l’impugnata sentenza ha condannato Poste Italiane
al risarcimento del danno senza detrarre l’aliunde perceptum e la compensatio
lucri cum damno che pur la società aveva eccepito, chiedendo di accertare se il
controricorrente avesse svolto altra attività lavorativa dopo il licenziamento.
2-
Come eccepito dalla difesa del controricorrente, riguardo al primo e al terzo
motivo – da esaminarsi congiuntamente perché connessi – il ricorso si rivela
improcedibile perché basato sull’interpretazione di un CCNL – quelle di Poste
Italiane del 2007 – che non è stato allegato al ricorso secondo quanto previsto
dall’art. 369 co. 2° n. 4 c.p.c., risultando allegato, invece, il precedente
CCNL del 2003.
È
appena il caso di ricordare che il mancato deposito, unitamente al ricorso,
della contrattazione collettiva su cui l’impugnazione si basa non consente a
questa Suprema Corte la verifica della fondatezza della censura e l’erroneità
dell’esegesi effettuata dalla sentenza impugnata e della relativa motivazione.
Invero,
per soddisfare l’onere, imposto a pena di improcedibilità del ricorso per
cassazione dall’art. 369 co. 2° n. 4 c.p.c., come novellato dal d.lgs. 2.2.06
n. 40, di depositare i contratti e gli accordi collettivi non basta la mera
allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali
atti siano stati depositati o siano state allegate per estratto le clausole dei
contratti collettivi (a meno che in ricorso non se ne indichi la precisa
collocazione in atti), ma è necessaria l’allegazione del testo integrale del
contratto (cfr., ex alüs, Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass.
S.U. 23.9. 10 n. 20075; Cass. 13.5. 10 n. 11614).
Nel
caso in esame – giova rimarcare – è stato sì allegato per intero il CCNL, ma si
tratta d’un CCNL diverso da quello del 2007, invocato nel ricorso medesimo e
richiamato anche dalle lettere di contestazione disciplinare e di licenziamento
per cui è causa.
Né
giovi affermare la sostanziale identità – in tema di clausole disciplinari –
dei due CCNL (quello del 2003 e quello del 2007), trattandosi di asserzione che
questa S.C. non può verificare.
Quanto
alle dedotte violazioni di norme di diritto, la questione non risiede
nell’affermare o negare l’astratta configurabilità di giusta causa o
giustificato motivo nella condotta del lavoratore che, nei giorni di assenza
dal lavoro per malattia od infortunio, svolga per conto terzi o proprio una
diversa attività lavorativa, anche non remunerata (questione su cui questa S.C.
si è spesso pronunciata), ma nel rilievo che mentre l’autonomia dei privati (a
livello individuale o collettivo) non può ampliare il novero delle condotte
passibili di licenziamento oltre i concetti di giusta causa e giustificato
motivo (pena la violazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. e 1 e 3 legge n.
604/66), può fare il contrario, ossia restringerne l’area punendo con sanzioni
conservative mancanze che, altrimenti, potrebbero essere passibili di sanzioni
espulsive.
Ciò
si riflette anche su natura ed estensione del controllo giurisdizionale.
Infatti,
per costante insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema (cui va
data continuità), mentre il giudice può e deve controllare la rispondenza delle
norme disciplinari al disposto dell’art. 2106 c.c. e rilevare la nullità di
quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento
condotte per loro natura assoggettabili, ex art. 2106 c.c., solo ad eventuali
sanzioni conservative, non può fare l’inverso, cioè estendere il catalogo delle
giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento disciplinare oltre
quanto stabilito dall’autonomia delle parti.
In
altre parole, un dato contegno del lavoratore, se contemplato dal contratto
collettivo come passibile di una sanzione meno grave, non può essere oggetto di
un’autonoma e più grave valutazione da parte del giudice (cfr. Cass. 22.2.13 n.
4546; Cass. 17.6.11 n. 13353; Cass. 29.9.95 n. 19053; Cass. 15.2.96 n. 1173).
Nel
caso di specie i giudici d’appello, nell’interpretare in maniera sistematica le
clausole del cit. CCNL, hanno ritenuto che l’autonomia collettiva non abbia
voluto consentire il licenziamento per condotte come quella addebitata al
controricorrente, interpretazione che potrebbe essere sottoposta al vaglio di
legittimità solo nel rispetto delle condizioni di cui al summenzionato art. 369
co. 2° n. 4 c.p.c. come inteso dalla giurisprudenza di questa S.C., condizioni
– come sopra si è detto – non rispettate dal ricorso in esame.
3-
Il secondo motivo (che censura un vizio di motivazione concernente la mancanza
di prova, rilevata dalla Corte territoriale, che l’attività lavorativa svolta
dal controricorrente potesse effettivamente comprometterne il recupero
psicofisico) è ininfluente poiché la stessa sentenza impugnata ha poi comunque
escluso – a monte e con valutazione di merito non censurabile in sede di
legittimità – che a sua volta un eventuale ritardo nel recupero psicofisico del
G., ove mai ipoteticamente ravvisabile come conseguenza dei tre pomeriggi di
lavoro presso il bar della figlia, potesse cagionare un forte pregiudizio alla
società ricorrente e, così, integrare giusta causa di licenziamento ai sensi
dell’art. 54 lett. c) cit. CCNL poste 2007.
4-
Il quarto motivo è infondato.
L’eccezione
di aliunde perceptum quale fatto idoneo a limitare la responsabilità
risarcitoria presuppone l’allegazione e la dimostrazione, da parte del datore
di lavoro, dello svolgimento da parte del dipendente di una diversa attività
lavorativa e, quindi, dell’esistenza di ulteriori fonti di guadagno,
allegazione e richiesta di prova che non possono essere avanzate in via
meramente esplorativa, come invece ha fatto nel caso di specie la società
ricorrente.
Lo
stesso dicasi in ordine all’eccezione di compensatio lucri cum damno.
5-
In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le
spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza e si distraggono ex art. 93 c.p.c. in favore dei difensori
antistatari.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del
giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro
3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, spese da
distrarsi in favore degli avv.ti Bruno Cossu e Savina Bomboi, antistatari.
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