Lo
scorso 11 agosto, a margine di una iniziativa contro la contraffazione, il
Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha invitato il Governo ad una revisione
dell’art.18, auspicando l’inserimento delle modifiche nel Consiglio dei Ministri
previsto per la fine del mese, nel quale verrà discusso il c.d. Decreto “SbloccaItalia”.
In
particolare, Alfano ha auspicato l’eliminazione dei vincoli imposti dal
richiamato articolo dello Statuto dei Lavoratori, ritenuti una delle cause dell’aumento
costante della disoccupazione registrato nell’ultimo decennio, che, in alcune
aree del sud ha raggiunto, per i giovani, un picco del 50%.
Il
Ministro, in sostanza, ha proposto a Renzi un patto per superare entro i
prossimi mille giorni l’articolo 18, ritenuto una barriera contro le nuove
assunzioni, la cui permanenza nel nostro ordinamento sarebbe la causa dell’asse
mantenuto in questi anni fra Pd e sindacati.
Sul
punto è intervenuto anche Renato Brunetta, che, nel corso di un’intervista
rilasciata al Corriere della Sera, ha suggerito una moratoria di tre anni per i
neo-assunti, finalizzata ad introdurre nel nostro mercato del lavoro una
maggiore flessibilità in uscita.
Di
diverso avviso, invece, il Sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba, che, giudicando
positivamente le recenti modifiche all’articolo 18 introdotte nel 2012 dalla
Legge Fornero, ai microfoni di Popolare Network ha affermato di non ravvisare
le ragioni che possano indurre ad un nuovo intervento sulla norma.
A
sostegno della propria posizione, Bobba ha osservato che il monitoraggio del
nuovo articolo 18 evidenzia che più del
90% dei conflitti di lavoro di fronte al giudice si risolve con un risarcimento
di tipo monetario. Ciò, sempre a detta del Sottosegretario, paleserebbe l’efficacia
del testo predisposto dalla Fornero. Inoltre, per quanto riguarda la necessità
di incrementare nel mercato le forme di flessibilità, come è noto, risulta già
allo studio l'idea di introdurre una forma di contratto a tutele crescenti.
In
un’intervista a La Stampa, il Ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha
affermato che l'abolizione dell'articolo 18, non solo sarebbe un totem da
abbattere della sinistra, ma rappresenterebbe
il segnale più importante che denoterebbe i cambiamenti intervenuti nel sistema
italiano del lavoro.
Lupi
ha poi proseguito sostenendo che l’esempio della Spagna e le 104mila nuove
assunzioni registrate nei due mesi successivi al Decreto Poletti
evidenzierebbero l’essenzialità di una totale flessibilità del mondo del lavoro
per la
creazione di occupazione.
Dal
fronte sindacale, il Segretario Generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha
risposto sul proprio profilo twitter che sarebbe inutile abolire l’articolo 18,
dal momento che le aziende assumono con contratti a termine e false partite Iva.
Di qui la proposta di abolire proprio il ricorso a quest’ultime.
A
dirsi contrario alla proposta di Alfano anche Cesare Damiano. Per il Presidente
della Commissione Lavoro si tratterebbe, infatti, di una pretesa banale del
centrodestra, finalizzata a ridurre tutele ai lavoratori, rendendo più liberi i licenziamenti.
Da
ultimo, si segnala l’intervento del Sottosegretario agli Estere, Benedetto
Della Vedova, che, sul proprio profilo Facebook, ha dichiarato che l’articolo 18, oltre a disincentivare
l'utilizzo del contratto di lavoro standard, produrrebbe effetti pratici
regressivi, rappresentando il simbolo dell'Italia che non sa cambiare, che non
vuole adeguarsi alle sfide dell'economia di oggi e che vive ancore di retorica
passatista.
Conclusioni – Lasciando da
parte ogni valutazione di tipo ideologico,
a detta dello scrivente, l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori, sovente proposta in caso di crisi, altro non sarebbe che l’ennesima
“marchetta” politica in favore delle grandi aziende, le uniche oberate dalla
norma in commento.
Pur
potendo discutersi l’opportunità di conservare simili tutele in un contesto
mondiale del mercato del lavoro spinto, oramai inesorabilmente, verso l’estrema
flessibilità, ciò che è certo è che la crisi occupazionale italiana deriva
essenzialmente dagli alti costi fiscali e previdenziali.
Chiunque,
pertanto, sostenendo di voler risolvere la “questione lavoro”, dichiari intenti
diversi da quelli finalizzati alla riduzione dei costi, fa solo demagogia
spicciola.
Valerio
Pollastrini