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sabato 31 agosto 2013

Illegittimo licenziare il dipendente che ha accettato un omaggio natalizio da un fornitore


In merito alla legittimità di un licenziamento disciplinare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n.15926 del 25 giugno 2013,  ha ribadito il principio della necessaria proporzionalità tra la condotta contestata al lavoratore e la sanzione irrogata dall’azienda. Il datore di lavoro può far ricorso alla pena espulsiva solo in presenza di una violazione così grave da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario tra azienda e dipendente nella gestione del rapporto di lavoro.
Il caso è quello di un dipendente di Fiat Group Automobiles Spa licenziato per aver ricevuto  un omaggio da parte di un fornitore senza avere informato i superiori.
Il lavoratore, impiegato di VI° livello, incaricato di preparare i progetti di disinvestimento relativi a macchinari ed attrezzature, aveva accettato nello specifico un’agenda contenente al suo interno cinque buoni di benzina per un valore complessivo di 50 euro, con ciò violando, a detta del datore di lavoro, i doveri di diligenza e di fedeltà all’azienda, prescritti dagli articoli 2104 e 2105 cod. civ.
A nulla era valsa, nel corso dell’iter disciplinare che aveva preceduto il licenziamento, la difesa del lavoratore  che, dopo aver ricordato che nel corso di oltre 30 anni di servizio non aveva mai ricevuto una sanzione, aveva obiettato che  l’omaggio in questione rientrasse tra i doni natalizi che i fornitori erano soliti recapitare a funzionari e dirigenti in totale trasparenza.
 
I primi due gradi di giudizio
Il lavoratore si era quindi rivolto  al Giudice del lavoro lamentando l’illegittimità del licenziamento subito. Il Tribunale, dopo aver accolto   integralmente le richieste del dipendente, aveva  disposto l’annullamento del licenziamento, con  condanna dell’azienda alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro ed al conseguente pagamento del risarcimento del danno.
Nel secondo grado di giudizio la Corte di Appello di Torino aveva però successivamente riformato integralmente la decisione di primo grado, ritenendo legittimo il licenziamento.
Il lavoratore aveva pertanto proposto ricorso per cassazione.
 
La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte  ha accolto il ricorso del lavoratore, sconfessando la precedente pronuncia della Corte territoriale.
La Corte d’Appello  aveva giudicato  il comportamento contestato al lavoratore  idoneo a ledere irreparabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, in considerazione della mancata segnalazione del fatto ai superiori, della modalità di erogazione del regalo, della natura dell’oggetto (facilmente occultabile), nonché del disvalore ambientale da ascrivere alla condotta stessa in virtù della posizione professionale del lavoratore e del potenziale carattere diseducativo del suo comportamento per gli altri dipendenti. Tutto ciò, indipendentemente  dal modesto valore economico del dono.
Tali motivazioni non sono state condivise dalla Cassazione che le ha ritenute non conformi ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità che impongono, per vagliare la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, una valutazione  del complessivo comportamento del prestatore. La condotta oggetto di contestazione deve infatti essere  esaminata sia nel suo contenuto oggettivo, ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate, sia nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo dell’agente.
La Suprema Corte conferma, in particolare, che il giudizio di proporzionalità della sanzione del licenziamento  all’illecito commesso deve essere effettuato sulla base della valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in tutti i suoi connotati oggettivi e soggettivi. L’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta quindi giustificata solamente in presenza di un notevole violazione degli obblighi contrattuali,  tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.
La Cassazione ha osservato che nel caso in esame  la Corte territoriale ha effettuato la valutazione  della condotta addebitata al lavoratore ai fini del licenziamento  senza prenderne adeguatamente in considerazione il complessivo comportamento, sia nel suo contenuto oggettivo, sia nella sua portata soggettiva e senza, conseguentemente, aver motivato in modo adeguato e corretto la propria decisione sulla ritenuta idoneità del comportamento stesso a giustificare la massima sanzione espulsiva.
In sostanza,a detta della Corte, il giudice di appello non ha adeguatamente contestualizzato il fatto, ponendo in rilievo le modalità dell’erogazione, ossia  buoni benzina nascosti in una agenda, e la natura dell’oggetto, facilmente occultabile, mentre, al contempo ha erroneamente considerato di minore importanza la circostanza che si fosse trattato di un dono natalizio, che lo stesso fornitore, così come altri, era solito recapitare a funzionari e dirigenti dell’azienda “alla luce del sole”, cosa avvenuta, tra l’altro, nei confronti di tutto il team del lavoratore licenziato.
A tale ultimo riguardo, la Corte territoriale aveva attribuito rilievo determinante alle “dimensioni” del dono, rispetto ai soliti “panettoni e bottiglie di spumante” regalati ad altri dipendenti – senza però considerare che un simile argomento avrebbe potuto essere utilizzato ove il regalo di piccole dimensioni fosse stato realmente prezioso, mentre appare del tutto improprio nella specie, visto che il valore del regalo oggetto di contestazione non è dissimile a quello dei doni “più ingombranti”, genericamente richiamati dalla Corte territoriale.
Nel dare particolare importanza alla posizione del lavoratore all’interno dell’organico aziendale,   la Corte di Appello aveva sottolineato che il lavoratore, impiegato di VI livello con la qualifica di “Specialista di Gestione Iniziative dell’Ente Ingegneria di Produzione”, comportante le mansioni di “preparazione dei progetti di disinvestimento macchinari e attrezzature”, si trovava ai massimi livelli della categoria impiegatizia e godeva di un margine di relativa discrezionalità e di autonomia nell’indicazione dei fornitori e nella valutazione del loro operato.
La Corte territoriale non ha posto però in rilievo i seguenti elementi:
-          in oltre trenta anni di lavoro alle dipendenze della Fiat Group Automobiles il lavoratore licenziato non aveva ricevuto alcuna sanzione;
-         il margine di discrezionalità riconosciuto al lavoratore era solo “relativo”;
-          quand’anche il lavoratore avesse goduto di  una notevole autonomia, il valore venale del dono avrebbe dovuto considerarsi del tutto inidoneo ad infondere il “sospetto di tendere a realizzare una captatio benevolentiae quanto meno imbarazzante”.
Queste erronee premesse hanno indotto la Corte di Appello ad affermare che la ricezione di un regalo, senza averlo indicato ai superiori, a prescindere dal modesto valore economico, dovesse considerarsi lesivo della fiducia riposta nel lavoratore da parte del datore di lavoro.
Dopo questa lunga disamina, la Cassazione ha concluso che la  Corte d’Appello, sulla base di una inadeguata ricostruzione del complessivo comportamento del lavoratore, ha effettuato una erronea valutazione della proporzionalità della condotta addebitabile al lavoratore – in realtà consistente soltanto  nella sola mancata segnalazione ai superiori della ricezione del dono e, come tale, meritevole  di una sanzione meno grave  del licenziamento.
Valerio Pollastrini

venerdì 30 agosto 2013

L’incompletezza della contestazione disciplinare rende illegittimo il licenziamento


Nella sentenza n.15006 del 14 giugno 2013, la Corte di Cassazione ribadisce, ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare, la necessaria indicazione nella preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore di tutti gli elementi di fatto relativi all’infrazione oggetto di procedimento disciplinare.
Il caso è quello di un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento intimatogli dal datore di lavoro in quanto nella contestazione disciplinare l’azienda gli aveva addebitato una condotta colposa indicando  una data errata dell’episodio.

La Corte di Appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Larino, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e condannato l’azienda al pagamento del risarcimento del danno, pari alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla reintegrazione.

Il giudizio di appello ha tratto il proprio fondamento dall’assunto che l’errore nella contestazione abbia influito sulla possibilità di difesa del lavoratore, pregiudicandogli la possibilità di dimostrare il proprio alibi.

Contro questa  sentenza, l’azienda ha proposto ricorso per Cassazione.
Secondo la parte datoriale, l’errata indicazione della data del fatto addebitato al lavoratore non sarebbe essenziale  ai fini della legittimità del licenziamento. Il procedimento disciplinare, regolato dall’articolo 7 della legge n.300/1970,  non imporrebbe, a detta dell’azienda, tale rigida interpretazione. Inoltre il lavoratore, nonostante l’errore nella contestazione disciplinare, era comunque a conoscenza della querela che l’azienda aveva sporto nei suoi confronti e che indicava con precisione la data dell’episodio addebitatogli.

La Cassazione nel rigettare il ricorso, confermando l’illegittimità del licenziamento, ha ricordato il consolidatoprincipio secondo cui  l'indicazione nella preventiva contestazione dell'addebito degli elementi di fatto che consentono di evidenziare il significato univoco dell'infrazione, costituisce un preciso onere del datore di lavoro che esercita il potere disciplinare,  sicché tale necessaria contestazione deve esprimersi nell'attribuzione di fatti precisi dai quali derivare una responsabilità del lavoratore al fine di consentire a quest'ultimo un'idonea e piena difesa.

Per la Corte, nel caso in esame, l'errore nell'indicazione del giorno in cui sarebbe stato commesso il fatto addebitato non rivela una negligenza trascurabile ma assume un valore decisivo, poiché pregiudica il diritto alla prova spettante all'incolpato, e, specificamente, il diritto a provare di non essere stato sui luoghi dell'illecito.

Valerio Pollastrini

martedì 27 agosto 2013

Riduzione del precariato nella Pubblica Amministrazione


Il 26 agosto il Consiglio dei ministri ha approvato rispettivamente un decreto legge ed un disegno di legge per la riorganizzazione e la modernizzazione della Pubblica amministrazione.

L'obiettivo principale dichiarato dal Governo è quello di fornire una soluzione strutturale al tema del precariato nella p.a, attraverso la riduzione delle forme di lavoro flessibile e l’apposizione di idonee barriere per evitare percorsi “privilegiati” per le assunzioni.

I contratti tipici della pubblica amministrazione torneranno dunque ad essere quelli a tempo indeterminato.

Previsto inoltre un processo di stabilizzazione degli attuali “precari” su basi meritocratiche. Sono state infatti disposte delle procedure selettive affinché, tra coloro che negli ultimi cinque anni hanno avuto un contratto a tempo determinato per almeno tre anni, si scelgano i migliori. Il decreto legge in commento ha  riservato a questi soggetti una quota di riserva pari al 50% dei posti disponibili nei concorsi di assunzione.

A proposito delle procedure di ammissione, la norma prevede l’esplicito obbligo di assumere tutti i vincitori di concorso. Questa disposizione riguarderà anche gli idonei, ma solo per le graduatorie più recenti.

Valerio Pollastrini

giovedì 22 agosto 2013

Da quest’anno anche i disoccupati potranno ottenere il rimborso del 730 in tempi rapidi

Tra le novità contenute nel c.d. “ Decreto del Fare” (art. 51 bis, comma 4, Dl 69/2013), di sicuro rilievo quella che consente ai disoccupati di riscuotere in tempi brevi eventuali crediti di imposta maturati nel corso dell’anno precedente.
Coloro che nel corso del 2012 hanno percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati ma che, nel frattempo avessero perduto il lavoro, dal 2 al 30 settembre potranno presentare ugualmente il modello 730 ad un Caf o ad un intermediario abilitato.
In presenza di un credito di imposta, i destinatari della norma avranno così la possibilità di  ottenere in tempi rapidi il rimborso dovuto direttamente dall’Agenzia delle Entrate.
I soggetti interessati potranno ulteriormente velocizzare  i tempi per il rimborso comunicando alle Entrate il proprio Iban, attenendosi esclusivamente alle istruzioni disponibili sul sito internet dell’Amministrazione.
Tutte le procedure da seguire  sono illustrate compiutamente nella circolare n. 28/E.

Valerio Pollastrini

sabato 10 agosto 2013

Quando il venditore è in realtà un lavoratore subordinato


Con la sentenza n.15922 del 25 giugno 2013, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sulla corretta qualificazione di un rapporto di lavoro, dichiarando la nullità di un contratto  a progetto e la conseguente trasformazione dello stesso in un rapporto di lavoro subordinato.
Il caso è quello di una lavoratrice ed un’azienda che avevano sottoscritto  una serie di contratti a progetto, l’ultimo dei quali risolto dal committente con una semplice comunicazione verbale.
Nel contratto alla lavoratrice venivano  richieste, nello specifico, le seguenti attività:
- promozione e  vendita di succhi di frutta di un determinato marchio;
- distribuzione di depliants e di campioni per l’assaggio;
- illustrazione di offerte promozionali;
- promozione ed eventuale sottoscrizione con titolari di esercizi commerciali del contratto d’uso delle frigo-vetrine di proprietà del committente, con obbligo di segnalazione di usi difformi delle stesse.
 
La lavoratrice era inoltre soggetta al rispetto delle seguenti, ulteriori, obbligazioni:
-         effettuare 18 “visite clienti” al giorno per 18/19 giornate al mese;
-         vendere 70 cartoni di succo di frutta per ogni giornata lavorativa;
-         trasmettere all’azienda, con cadenza quotidiana e settimanale, i dati di vendita.
 
In seguito al recesso da parte del committente, la lavoratrice si era rivolta al Tribunale di Brescia chiedendo, oltre al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato in luogo di quello a progetto,  la nullità del licenziamento.
Dopo il rigetto della domanda da parte del Tribunale, la decisione era stata invece integralmente riformata dalla Corte di appello di Brescia che aveva disposto la conversione dei diversi contratti di lavoro a progetto  in altrettanti contratti di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente nullità del licenziamento orale. La Corte aveva quindi condannato l’azienda a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni medio tempore maturate, detratto l’aliunde perceptum, e al pagamento del risarcimento del danno, quantificato in quattro mensilità.
Dopo la pronuncia di appello, l’azienda ha proposto ricorso per cassazione.
Come ricordato dalla Suprema Corte,  il contratto di lavoro a progetto  è una particolare  fattispecie di lavoro autonomo definita dall’art. 61 del D.lgs. 276 del 2003. Per la corretta inclusione di un contratto a progetto nell’alveo della categoria del lavoro autonomo è indispensabile la  sussistenza tra le parti di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve inoltre essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale.
La Corte di Appello aveva ritenuto che l’attività svolta dalla lavoratrice consisteva  fondamentalmente nel vendere un minimo di 70 cartoni di succo di frutta al giorno visitando diciotto clienti al giorno, per l’oggetto e per le modalità con le quali doveva essere realizzata e che, pertanto,  non integrasse un lavoro autonomo a “progetto”, ma un lavoro di natura subordinata.
La Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di appello e ne ha confermato, pertanto, la sentenza.

 
Valerio Pollastrini

giovedì 8 agosto 2013

Il lavoro accessorio: ecco come usare i voucher o buoni lavoro


Quella del lavoro accessorio è una tipologia introdotta nel nostro ordinamento per regolamentare quei rapporti di lavoro che si collocano spesso al di fuori della legalità, nell’ottica di una maggiore tutela del lavoratore. In origine era possibile accedere a questo istituto esclusivamente per le prestazioni di carattere meramente occasionale. Tale requisito è stato però eliminato dal c.d. Decreto Lavoro 2013.

In sostanza, allo stato attuale, è possibile utilizzare il lavoro accessorio per  assicurare le tutele minime previdenziali e assicurative in caso di prestazioni non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo. Il lavoro accessorio investe diversi campi, agricolo, commerciale, turistico, dei servizi, etc., con alcune limitazioni.

Per le attività agricole di carattere stagionale, ad esempio, il lavoro accessorio è ammesso solo per pensionati e per i giovani sotto i 25 anni, iscritti ad un ciclo scolastico o universitario e vi possono far ricorso solo le aziende con 7 mila euro di fatturato.

Nel corso del 2013, i percettori di cassa integrazione salariale o di misure di sostegno del reddito, in qualsiasi settore produttivo, compresi gli Enti locali, potranno lavorare con contratto di lavoro accessorio per un compenso massimo di 3.000 € nell’anno solare. L’INPS è incaricato di detrarre la contribuzione figurativa dalle misure di sostegno conguagliando con gli accrediti contributivi derivanti dal lavoro accessorio. 

MODALITA’ DI PAGAMENTO

I compensi per le prestazioni accessorie vengono erogati attraverso i cosiddetti voucher (o buoni lavoro), comprensivi, oltre alla base retributiva, della copertura previdenziale presso l'INPS e di quella assicurativa presso l'INAIL.


LIMITI LEGATI AL COMPENSO
Con la legge n.92/20012 di riforma del mercato del lavoro è stato eliminato l’elenco delle attività che, ai sensi della legge Biagi erano le uniche nelle quali era possibile ricorrere al lavoro accessorio. Con la Riforma, pertanto, si ha un lavoro accessorio quando un soggetto, nel corso di un anno solare non percepisca più di € 5.000,00 dalla totalità dei committenti.  Se i committenti sono imprenditori commerciali o professionisti, per ciascuno di questi opera il limite di € 2.000,00 nell'anno solare, fermo restando il limite massimo di € 5.000,00 che il lavoratore può raggiungere presso più committenti.

Anche la pubblica amministrazione può ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, nei limiti delle politiche di contenimento dei costi del personale e del patto di stabilità.

Per il lavoratore, il compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sul suo stato di disoccupato o inoccupato.

Per quanto riguarda i lavoratori extracomunitari è necessario sottolineare che  i compensi percepiti nell’ambito del lavoro accessorio concorrono nella determinazione del reddito utile per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.
 

I CHIARIMENTI MINISTERIALI

Con la circolare n.4 del 18 gennaio 2013, destinata al personale ispettivo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito alcune indicazioni sul lavoro accessorio.

Le attività per le quali è possibile utilizzare la fattispecie in commento sono delineate con riferimento al compenso annuale massimo complessivo di 5.000 euro nell'anno solare in capo al lavoratore e non più, come nel passato, al committente. Il lavoratore potrà pertanto svolgere lavoro accessorio con più committenti, a patto però che la sommatoria dei compensi annuali percepiti non superi il limite di 5.000 euro.

Nei confronti del singolo committente imprenditore commerciale o professionista (intendendosi per imprenditore commerciale qualsiasi persona fisica o giuridica che opera in un determinato mercato) si applica anche l’ulteriore limite massimo di 2.000 euro.

Nel settore agricolo, fermo restando il limite dei 5.000, le nuove norme si applicano:

A.   alle attività agricole svolte da studenti sotto i 25 anni regolarmente iscritti ad un ciclo scolastico o universitario ed ai pensionati

B.   alle attività agricole svolte a favore di piccoli produttori agricoli (l'indice è il volume di affari non superiore ai  7.000 euro), purché non svolte da soggetti iscritti nell'elenco dei lavoratori agricoli.

C.   In questo settore non trova applicazione l'ulteriore limite dei 2.000 euro previsto per i committenti imprenditori commerciali e professionisti.

Ad eccezione del servizio di steward della società calcistiche, si precisa che  non è possibile ricorrere al lavoro accessorio tramite intermediari o contratti di appalto e di somministrazione.


I VOUCHER O BUONI LAVORO
I voucher o buoni lavoro costituiscono un particolare sistema di pagamento che incorpora il compenso per la prestazione di lavoro, la copertura INAIL e il versamento dei contributi previdenziali all’INPS.

Il valore nominale di un buono lavoro è  pari a 10 euro e tale importo è comprensivo della contribuzione (pari al 13%) a favore della gestione separata INPS, che viene accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore, di quella in favore dell'INAIL per l'assicurazione contro gli infortuni (7%) e di un compenso al concessionario per la gestione del servizio, pari al 5%.

Il valore netto del voucher da 10 euro nominali, rappresenta, pertanto, il corrispettivo netto della prestazione in favore del prestatore ed è pari a 7,50 euro.

Sono, inoltre  disponibili due   buoni “multipli”, uno del valore di 50 euro equivalente a cinque buoni non separabili ed uno  da 20 euro equivalente a due buoni non separabili. Per il lavoratore, il corrispettivo netto del buono da 50 euro è pari a 37,50 euro, mentre quello del buono da 20 euro è pari a 15 euro.

La Riforma Fornero del 2012, a proposito del buono lavoro, ne ha disposto l’aggiornamento del valore nominale attraverso  un Decreto del Ministero lavoro e delle politiche sociali da emanare dopo un confronto con le parti sociali.

La stessa norma ha, inoltre, specificato che i buoni lavoro devono essere:

·         orari;

·         numerati progressivamente;

·         datati.

Anche la percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali sarà rideterminata con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e adeguata alle aliquote dei contributi previdenziali previste per gli iscritti alla Gestione separata dell’Inps.

I prestatori potranno riscuotere i buoni lavoro entro due anni dal giorno dell’emissione.

Per le prestazioni di lavoro accessorio svolte per le imprese familiari è previsto un diverso  valore nominale del voucher, dal momento che la quota di contribuzione previdenziale  è pari al 33% , destinato al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, la quota  in favore dell’INAIL  è del 4% e quella destinata al concessionario per la gestione del servizio è pari al 5%. In questo caso il valore netto del voucher da 10 euro nominali, cioè il corrispettivo netto della prestazione in favore del prestatore, è pari a 5,80 euro.


COME RISCUOTERE I VOUCHER
Le modalità di riscossione di un buono lavoro variano a seconda che si scelgano:

Buoni cartacei - Chi li riceve deve convalidarli con la propria firma e recarsi presso un qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale per riscuotere il corrispettivo in denaro. A questo punto il procedimento termina con il versamento automatico dei contributi sulle posizioni assicurative del lavoratore. Se si tratta di un minorenne, è necessario  presentare anche un’autorizzazione del genitore o di chi esercita la patria potestà con fotocopia del documento del genitore.

Buoni telematici - Nel caso di buoni telematici, per la loro riscossione bisogna prima accreditarsi sul sistema informatico dell’Inps.
Lo si può fare attraverso una delle seguenti modalità:

·         sportelli Inps;

·         nel sito Inps, nella sezione Servizi OnLine / Per il cittadino / Lavoro Occasionale Accessorio;

·         contact center Inps/Inail (numero gratuito 803164);

Avvenuto l’accreditamento, Poste Italiane provvederà ad inviare al lavoratore la carta magnetica (INPS card) per accreditare e riscuotere i compensi versati dal committente attraverso i voucher, per ricevere materiale informativo e i moduli delle ricevute da utilizzare alla fine del rapporto.
La sottoscrizione dell’INPS card non è obbligatoria ai fini della riscossione del compenso, che potrà avvenire anche attraverso un bonifico domiciliato presso un qualsiasi ufficio postale.

Buoni acquistati nelle tabaccherie autorizzate - E’ possibile riscuotere i buoni lavoro anche presso i tabaccai aderenti all’apposito circuito.
L'operazione è possibile dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro accessorio fino a un anno dall'emissione dei voucher, per un importo massimo di 500 euro. Per la riscossione è necessario esibire la propria Tessera Sanitaria definitiva o  il tesserino del codice fiscale, per la verifica del Codice Fiscale. Effettuato il pagamento viene rilasciata un ricevuta riepilogativa di tutti i voucher che sono stati pagati.

Buoni acquistati agli sportelli bancari abilitati - L'Istituto centrale delle banche popolari italiane e INPS, nell’estate 2011, hanno siglato una convenzione per l'erogazione dei voucher lavoro occasionale accessorio anche attraverso il canale bancario nazionale. Banca Popolare di Sondrio e Banca Popolare Emilia Romagna sono stati i primi istituti di credito ad offrire il servizio. I Buoni Lavoro sono riscuotibili presso gli sportelli delle banche abilitate dopo 24 ore dal termine della prestazione di lavoro accessorio e fino a un anno. Per riscuoterli bisogna presentarsi con il proprio codice fiscale e un documento valido di riconoscimento.
Prima del pagamento, l’operatore di sportello controlla che i dati del lavoratore corrispondano a quanto dichiarato dal datore di lavoro all’INPS.
A pagamento avvenuto viene rilasciata un ricevuta di pagamento a notifica dell’operazione svolta.

Nei casi in cui il buono lavoro non risulti pagabile, il prestatore deve rivolgersi alle sedi INPS. 

PRECISAZIONI
La circolare n.4/2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha precisato che il criterio per la determinazione del compenso del lavoratore accessorio si misura sulla prestazione oraria per evitare che con un singolo voucher da 10 euro si possano retribuire più ore, mentre una singola ora di lavoro accessorio potrà essere retribuita anche con più voucher.

Il fatto che i voucher siano datati e numerati progressivamente implica che il loro utilizzo sia riferito all'arco temporale non superiore ai 30 giorni dal loro acquisto. Ciò determina che il superamento del limite quantitativo relativo al compenso e quello relativo alla durata possono trasformare il contratto di lavoro accessorio in rapporto  di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Valerio Pollastrini

lunedì 5 agosto 2013

Incentivi per nuove assunzioni: bugia raccontata sistematicamente agli italiani


Chissà in quanti ricorderanno la seguente frase pronunciata lo scorso mese da Enrico Letta: “Adesso le aziende non avranno più scuse per non assumere”. Questo il commento del Premier, all’indomani dell’approvazione in Consiglio dei Ministri del c.d. Decreto lavoro. Si tratta di una forma comunicativa che rispetta fedelmente lo stile della propaganda da regime, con televisioni e stampa nel ruolo che fu un tempo appannaggio dell’Istituto Luce.

In realtà questo provvedimento segue la stessa linea tracciata ormai negli ultimi anni dagli incentivi “fino ad esaurimento fondi”. Si tratta, in sostanza, di un bluff con il quale, sistematicamente, gli italiani vengono illusi sulle capacità  delle finanze pubbliche di porre rimedio alla perdurante “emergenza lavoro”.

La tecnica è sempre la stessa: il governo del momento, posto di fronte all’inarrestabile progressivo aumento della disoccupazione, annuncia, utilizzando ogni canale di risonanza, di voler mettere mano alla questione in maniera risolutiva. Un paio di mesi di travaglio ed ecco l’elefante partorire il topolino. In maniera trionfalistica vengono annunciati gli incentivi per le nuove assunzioni, una volta in favore dei giovani, un’altra a vantaggio delle donne, ora per i disoccupati di lungo periodo, ora per i precari e così via. A questo punto, per qualche tempo, la questione occupazionale torna nell’ombra, come se l’obiettivo della norma del momento fosse stato raggiunto.

Ciò che nessuno vi dice, perché l’informazione corretta rimane circoscritta nell’ambito degli addetti ai lavori, è che queste misure, oltre ad essere limitate in brevissimi tempi di attuazione, sono coperte da fondi risibili e quindi insufficienti, esauriti i quali l’agevolazione all’assunzione risulta, di fatto, inapplicabile.

Ricordo, ad esempio, la norma con la quale nell’ottobre 2012 ai datori di lavoro veniva promessa l’elargizione  di contributi economici nel caso in cui avessero provveduto  a stabilizzare i contratti precari con donne e giovani presenti in azienda. Ebbene, nello stesso giorno in cui la disposizione entrava in vigore i fondi stanziati risultavano già esauriti. La stessa cosa si è ripetuta per gli “incentivi straordinari per l’occupazione dei giovani”, per gli “incentivi per l’assunzione di lavoratori licenziati da piccole imprese” e in numerose altre misure annunciate come risolutive.

Riassumendo, puntualmente gli organi di Governo  annunciano e realizzano  misure per l’occupazione che però non vengono finanziate adeguatamente, con la naturale conseguenza che a beneficiarne sono solo pochissimi fortunati o le solite grandi aziende che, a dispetto delle proteste di facciata, continuano a ricevere trattamenti di favore.

Quelle descritte finora sono dunque le modalità con le quali, nel silenzio generale dei media, un caposaldo della nostra Costituzione, il diritto al lavoro, è  ormai ridotto ad una mera lotteria di Stato: venghino signori, venghino, solo per i pochi estratti ricchi premi.

Cercate lavoro? Vorreste assumere? A dispetto di quanto di bello, a breve, torneranno ad annunciarvi, l’Italia non è un Paese per voi…

Valerio Pollastrini

venerdì 2 agosto 2013

Limite temporale per i contratti a chiamata


Tra le novità apportate dal Decreto Legge n.76 del 28 giugno 2013, c.d. Decreto lavoro, si segnala l’introduzione della limitazione temporale di 400 giorni nell’arco di tre anni per la validità dei contratti di lavoro a chiamata.

La nuova norma persegue  lo scopo di ridurre  l’utilizzo eccessivo di questa fattispecie contrattuale e percorre la linea restrittiva segnata della precedente riforma Fornero che ha imposto alle aziende l’obbligo di comunicare preventivamente alla Direzione territoriale del lavoro la chiamata del lavoratore.

Il nuovo vincolo introdotto dal governo Letta dispone che le prestazioni di lavoro intermittente di un singolo dipendente non possono superare  le 400 giornate in un triennio.

Nel caso di superamento di questa soglia, il contratto a chiamata verrà assimilato ad un'assunzione stabile a tempo indeterminato, con tutti i diritti e le conseguenze che ne conseguono.

Valerio Pollastrini