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mercoledì 13 agosto 2014

Pareri contrastanti sulla proposta di abolizione dell’art.18

Lo scorso 11 agosto, a margine di una iniziativa contro la contraffazione, il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha invitato il Governo ad una revisione dell’art.18, auspicando l’inserimento delle modifiche nel Consiglio dei Ministri previsto per la fine del mese, nel quale verrà discusso il c.d. Decreto “SbloccaItalia”.

In particolare, Alfano ha auspicato l’eliminazione dei vincoli imposti dal richiamato articolo dello Statuto dei Lavoratori, ritenuti una delle cause dell’aumento costante della disoccupazione registrato nell’ultimo decennio, che, in alcune aree del sud ha raggiunto, per i giovani, un picco del 50%.

Il Ministro, in sostanza, ha proposto a Renzi un patto per superare entro i prossimi mille giorni l’articolo 18, ritenuto una barriera contro le nuove assunzioni, la cui permanenza nel nostro ordinamento sarebbe la causa dell’asse mantenuto in questi anni fra Pd e sindacati.

Sul punto è intervenuto anche Renato Brunetta, che, nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha suggerito una moratoria di tre anni per i neo-assunti, finalizzata ad introdurre nel nostro mercato del lavoro una maggiore flessibilità in uscita.

Di diverso avviso, invece, il Sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba, che, giudicando positivamente le recenti modifiche all’articolo 18 introdotte nel 2012 dalla Legge Fornero, ai microfoni di Popolare Network ha affermato di non ravvisare le ragioni che possano indurre ad un nuovo intervento sulla norma.

A sostegno della propria posizione, Bobba ha osservato che il monitoraggio del nuovo articolo 18 evidenzia che  più del 90% dei conflitti di lavoro di fronte al giudice si risolve con un risarcimento di tipo monetario. Ciò, sempre a detta del Sottosegretario, paleserebbe l’efficacia del testo predisposto dalla Fornero. Inoltre, per quanto riguarda la necessità di incrementare nel mercato le forme di flessibilità, come è noto, risulta già allo studio l'idea di introdurre una forma di contratto a tutele crescenti.

In un’intervista a La Stampa, il Ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha affermato che l'abolizione dell'articolo 18, non solo sarebbe un totem da abbattere della sinistra,  ma rappresenterebbe il segnale più importante che denoterebbe i cambiamenti intervenuti nel sistema italiano del lavoro.

Lupi ha poi proseguito sostenendo che l’esempio della Spagna e le 104mila nuove assunzioni registrate nei due mesi successivi al Decreto Poletti evidenzierebbero l’essenzialità di una totale flessibilità del mondo del lavoro  per la  creazione di occupazione.

Dal fronte sindacale, il Segretario Generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha risposto sul proprio profilo twitter che sarebbe inutile abolire l’articolo 18, dal momento che le aziende assumono con contratti a termine e false partite Iva. Di qui la proposta di abolire proprio il ricorso  a quest’ultime.

A dirsi contrario alla proposta di Alfano anche Cesare Damiano. Per il Presidente della Commissione Lavoro si tratterebbe, infatti, di una pretesa banale del centrodestra, finalizzata a ridurre tutele ai lavoratori,  rendendo più liberi i licenziamenti.

Da ultimo, si segnala l’intervento del Sottosegretario agli Estere, Benedetto Della Vedova, che, sul proprio profilo Facebook, ha dichiarato che  l’articolo 18, oltre a disincentivare l'utilizzo del contratto di lavoro standard, produrrebbe effetti pratici regressivi, rappresentando il simbolo dell'Italia che non sa cambiare, che non vuole adeguarsi alle sfide dell'economia di oggi e che vive ancore di retorica passatista.

Conclusioni – Lasciando da parte ogni valutazione di tipo  ideologico, a detta dello scrivente, l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, sovente proposta in caso di crisi, altro non sarebbe che l’ennesima “marchetta” politica in favore delle grandi aziende, le uniche oberate dalla norma in commento.

Pur potendo discutersi l’opportunità di conservare simili tutele in un contesto mondiale del mercato del lavoro spinto, oramai inesorabilmente, verso l’estrema flessibilità, ciò che è certo è che la crisi occupazionale italiana deriva essenzialmente dagli alti costi fiscali e previdenziali.

Chiunque, pertanto, sostenendo di voler risolvere la “questione lavoro”, dichiari intenti diversi da quelli finalizzati alla riduzione dei costi, fa solo demagogia spicciola.

Valerio Pollastrini

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