Nel
caso di specie, il Tribunale di Roma pur dichiarando, in riforma della sentenza
del Giudice di Pace, il non luogo a
procedere nei confronti dell’allenatore della nazionale di Tae Kwon Doper, aveva condannato lo stesso a corrispondere alla parte civile il risarcimento
del danno.
La
Corte del merito, in particolare, aveva rilevato l’imprudenza, l’imperizia e la
negligenza poste in essere dall’imputato che, durante l'allenamento, aveva omesso
di far indossare il caschetto di protezione all’atleta che,scivolando a terra,
aveva sbattuto la testa, riportando una
frattura occipitale ed un'emorragia cerebrale.
Contro
questa pronuncia, l’allenatore aveva
ricorso in Cassazione e, contestando la ritenuta posizione di garanzia nei
confronti degli atleti, aveva dedotto che la persona offesa, cintura nera 1°
Dan e, come gli altri, maggiorenne e
professionista, fosse in possesso della capacità
di autodeterminarsi e di scegliere se indossare o meno il casco durante l’allenamento.
Investita
della questione, la Suprema Corte, nel confermare la sussistenza della
posizione di garanzia in capo all’allenatore di una disciplina sportiva, ha
rilevato come l'omessa adozione di accorgimenti e cautele, grazie ai quali
l'incidente non si sarebbe verificato, costituissero altrettante cause
dell'evento.
Pur
negando che la disciplina del "taekwondo" possa essere assimilata ai
c.d. "sport estremi", come, ad esempio, l'automobilismo, il
motociclismo o l'alpinismo, la Cassazione, tuttavia, ne ha sottolineato la
pericolosità in relazione ai connessi rischi per l'incolumità fisica degli atleti ed
ha concluso ribadendo che la posizione di garanzia di cui l'allenatore è
investito implica a suo carico l’obbligo di predisporre ogni strumento idoneo ad
impedire il verificarsi di eventi lesivi ai danni di coloro che praticano detto
sport.
Valerio
Pollastrini
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