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venerdì 6 giugno 2014

Super bonus per l'agricoltura

Con il Decreto Legge Agricoltura-Ambiente, in questi giorni all'esame del Consiglio dei Ministri, sono in arrivo novità positive per il settore agricolo. I consumatori non dovranno più pagare direttamente in bolletta i costi dell'ammodernamento della rete idrica.

I gestori del servizio integrato dovranno infatti partecipare obbligatoriamente ad un Fondo di Garanzia delle opere idriche,  facendosi carico degli oneri del fondo, assicurando il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe.

Tuttavia, non si esclude  che i costi ricadranno infine sugli utenti finali.

Per i datori di lavoro agricoli, infine, sono in arrivo gli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato o a termine  di dipendenti con meno di 35 anni.

Valerio Pollastrini

Le norme sulla sicurezza tutelano anche i terzi

Nella sentenza n.22965 del 3 giugno 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che le norme antinfortunistiche, oltre  alla  salvaguardia dei dipendenti, sono rivolte anche alla tutela dei terzi che, per una qualsiasi legittima ragione, abbiano accesso ai locali aziendali in cui vi siano dei macchinari che possano  causare degli eventi dannosi.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva condannato i due  titolari di una società, ritenuti responsabili della morte di un lavoratore che, mentre si trovava all'interno di una trincea scavata sotto il muro perimetrale, era rimasto schiacciato dal crollo di una porzione della parete.

La pena era stata ridotta dalla  Corte di Appello, che  aveva parzialmente riformato la pronuncia di primo grado.

Uno degli imprenditori aveva adito la Cassazione, evidenziando l’incertezza della natura del rapporto del soggetto infortunato.

Investita della questione, la Suprema Corte ha  precisato che, ai fini della responsabilità aziendale per l’evento infortunistico, il ruolo effettivo rivestito dalla vittima  non assume alcun rilievo, risultando indifferente per la decisione se la stessa fosse  un lavoratore subordinato, un coadiuvante occasionale, un  autonomo o  uno spontaneo collaboratore mosso dal vincolo parentale con l’imputato.

Nella vicenda in commento, la vittima si trovava  all'interno della trincea per prepararla ad accogliere il calcestruzzo e, quindi, a prescindere dalla natura del suo rapporto, stava svolgendo un’attività lavorativa in favore dell’azienda.

La Cassazione ha poi ricordato che il cantiere,  così come gli altri  luoghi di pertinenza aziendale, non deve presentare pericoli per tutti coloro che vi  entrino in contatto e non solo per i lavoratori.

Di conseguenza, deve essere opportunamente preclusa, attraverso le idonee misure segreganti, l'accessibilità a luoghi e strutture in cui siano presenti fonti di rischio.

Le norme antinfortunistiche, infatti, non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ma sono rivolte anche alla salvaguardia dei terzi che, legittimamente, abbiano accesso alle strutture nelle quali vi siano macchine che, se non munite degli opportuni presidi antinfortunistici, possono essere causa di eventi dannosi.

In proposito, la Suprema Corte ha richiamato la disposizione di legge (1) che impone al datore di lavoro di assumere provvedimenti adeguati per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno.

Secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità (2), la norma appena richiamata dimostra che le disposizioni sulla prevenzione sono  emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro.

Ai fini della sussistenza della responsabilità dell’imprenditore, pertanto, qualora l’inosservanza  degli obblighi di sicurezza  costituisca la causa di un infortunio, poco importa se vittima dell’evento  sia un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione.

La Cassazione ha poi ricordato come, in tema di omicidio colposo,  l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche ricorra anche quando la vittima sia una persona estranea all'impresa.

Per quanto riguarda la sicurezza degli impianti, l'imprenditore riveste, infatti, una posizione di garanzia, non soltanto con riguardo ai lavoratori subordinati o ai soggetti a questi equiparati, ma, altresì, nei confronti di tutti coloro che possono comunque venire a contatto, o trovarsi ad operare, nell'area della loro operatività (3).

In virtù delle richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha concluso con il rigetto del ricorso, confermando, così, quanto disposto nella pronuncia di Appello.

Valerio Pollastrini


(1)   - Art.4, comma 5, lett. n), del  D.Lgs. n.626 del 19 settembre 1994;
(2)   – Cass., Sentenza n.11351 del  20 aprile 2005;
(3)   – Cass., Sentenza n.10842 del  7 febbraio 2008; Cass., Sentenza  n.7726/2002; Cass., Sentenza n.11360/2006;

Se l’Inail non riconosce l’infortunio l’assenza del lavoratore rientra nel periodo di comporto

Nella sentenza n.12563 del 4 giugno 2014, la  Corte di Cassazione ha chiarito le conseguenze del mancato riconoscimento, da parte dell’Inail, della riconducibilità della malattia lamentata dal dipendente ai postumi di un precedente infortunio sul lavoro.

Nel caso di specie,  un dipendente, rientrato in servizio dopo un periodo di assenza qualificata   come  infortunio sul lavoro, si era nuovamente assentato per malattia, producendo un certificato medico che asseriva il collegamento dell’evento morboso  al pregresso infortunio.

L’Inail, rispondendo ad uno specifico interpello proposto dall’azienda, aveva respinto la  richiesta del lavoratore, affermando, in sostanza, che il periodo di ricaduta non fosse riconducibile all’evento infortunistico già indennizzato.

Il datore di lavoro aveva quindi considerato la nuova assenza come  una malattia comune e, dal momento che con la stessa risultava superato il periodo di comporto, aveva licenziato il dipendente.

Dopo che la Corte di Appello ne aveva rigettato la domanda, il lavoratore aveva adito la Cassazione, contestando all’azienda la violazione  dell’obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto.

A suo dire, infatti, il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, avrebbe dovuto comunicargli  l’approssimarsi della maturazione del periodo di comporto, oltre alla possibilità di usufruire del periodo di aspettativa non retribuita prevista dal Contratto Collettivo, ovvero della riqualificazione della causa di assenza.

Investita della questione, la Suprema Corte ha preliminarmente osservato che il lavoratore avrebbe potuto desumere l’effettiva qualificazione dell’assenza - non riconducibile al pregresso infortunio – anche da ulteriori elementi, come i certificati di assenza per malattia comune inviati dallo stesso, la sottoposizione  alle visite di controllo domiciliari da parte dei medici incaricati dall’Inps e la mancata erogazione dell’indennità INAIL.

La Cassazione ha poi ritenuto priva di rilievo giuridico la censura del ricorrente inerente alla mancata comunicazione del mancato riconoscimento  da parte dell'INAIL della riconducibilità dell’assenza per malattia all’infortunio pregresso.

Dalla normativa di riferimento (1), infatti, non si evince alcun obbligo di informativa a carico del datore di lavoro sull’imminenza della scadenza del periodo di comporto o sull’offerta di un periodo di aspettativa consentito dalla normativa contrattuale collettiva applicabile.

Per la Suprema Corte, dunque,  in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non ha l'onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto per malattia, consentendo allo stesso di esercitare l’eventualmente facoltà di richiedere tempestivamente un periodo di aspettativa.

Per tutte le  richiamate ragioni la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

(1)   - artt.52 e 53 del T.U. 1124/65;

Condannato per peculato il dipendente pubblico sorpreso in ufficio a navigare su siti porno

Nella sentenza n.23352 del 4 giugno 2014, la Cassazione ha stabilito che il dipendente pubblico sorpreso durante l’orario di lavoro  a navigare su siti porno a pagamento dal Pc dell’ufficio commette il reato di peculato d’uso.

Per la Suprema Corte il  reato di specie  risulta configurato anche nel caso in cui tale condotta sia  occasionale e  non arrechi un danno di particolare entità  alla Pubblica Amministrazione.

La vicenda in commento è quella del  bidello di una scuola che, durante lo svolgimento del suo servizio, aveva effettuato una sessantina di accessi ad internet su siti hot a pagamento.

La questione è giunta all’attenzione della Cassazione dopo che la Corte di  Appello aveva condannato il lavoratore a due anni di reclusione e all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, ritenendolo responsabile  di peculato d’uso (1).

Si tratta del reato che si configura nell’appropriazione, da parte di un pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, della cosa mobile o del denaro che ha in disponibilità, al solo scopo di farne temporaneo utilizzo  per poi restituirlo immediatamente.

In particolare, il giudice del merito  aveva condannato bidello poiché si era appropriato dell’energia necessaria per accedere dal Pc della scuola  ai siti pornografici a pagamento, per una spesa complessiva di 660,00 €.

Proponendo ricorso in Cassazione, il lavoratore aveva  sostenuto che  un comportamento occasionale, produttivo di un danno insignificante sul piano patrimoniale non costituirebbe peculato,  in quanto l’utilizzo della rete internet per fini non istituzionali non sarebbe riconducibile al concetto di appropriazione di cosa mobile o di energia elettrica.

Nel confermare quanto disposto nella pronuncia di Appello, la Suprema Corte ha ribadito che la condotta dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d’ufficio per fini personali, al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della Pubblica Amministrazione o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio.

A tal fine, gli ermellini hanno  aggiunto inoltre che le modeste  conseguenze economiche scaturite da una simile condotta risultano penalmente irrilevanti.

La Cassazione ha proseguito confermando la  qualifica di incaricato di pubblico servizio rivestita dal bidello, in quanto, oltre alle ordinarie  prestazioni di carattere meramente materiale,  lo stesso svolge anche mansioni di vigilanza, sorveglianza degli alunni, guardiania e custodia dei locali, che  implicano la conoscenza e l’applicazione delle relative normative scolastiche.

Si tratta di funzioni che  presentano aspetti collaborativi, complementari ed integrativi delle funzioni pubbliche devolute ai capi di istituto e agli insegnanti in materia di sicurezza, ordine e disciplina all’interno dell’area scolastica e, quindi, idonei a qualificare il lavoratore addetto come soggetto incaricato di pubblico servizio.

Valerio Pollastrini
 

(1)   – fattispecie di reato prevista dal comma 2 dell’art.314 c.p.;

Dimissioni in bianco

Nel nostro Paese, quello delle dimissioni in bianco, è un fenomeno che, assai diffuso in passato, negli ultimi anni si è progressivamente ridotto.

In merito alla proposta di legge, sottoposta in questi giorni al vaglio della Commissione Lavoro del Senato, che introduce, a pena di nullità,  il nuovo l’obbligo di rassegnare le dimissioni su un modello pre-compilato, una recente indagine, a cura della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, ha evidenziato  che questa pratica risulta ormai talmente residuale da non giustificare  ulteriori oneri burocratici a carico di  dipendenti ed aziende.

Il 67% degli intervistati ritiene che tale fenomeno non giustifichi l’introduzione di un nuovo adempimento, mentre il 19%  ha dichiarato che ulteriori procedure  potrebbero essere limitate ai soli casi di dimissioni rese in prossimità del matrimonio e della maternità o paternità.

Anche il 12% che si è detto favorevole tende, in ogni caso, a considerare il provvedimento in commento   come un incremento della  burocrazia.

Giova ricordare che, attualmente, è già in vigore un sistema di convalida delle dimissioni che ne ha ridotto drasticamente  i possibili abusi. La nuova legge, inoltre, comporterebbe per lo Stato maggiori costi, dovuti all’emissione, all’approvvigionamento e all’ organizzazione della procedura.

La norma riguarderebbe la Pubblica Amministrazione, i lavoratori occasionali, i lavoratori subordinati, i  soci delle cooperative, gli autonomi, i collaboratori a progetto e gli  associati in partecipazione.

Valerio Pollastrini

mercoledì 4 giugno 2014

Modello 730/2014 per i soggetti privi del sostituto d’imposta

Il D.L. n.69 del  21 giugno 2013 (1) ha introdotto la possibilità di utilizzare il Modello 730 anche  per i contribuenti che, al momento della presentazione, risultino privi di un sostituto d’imposta.

Con la risoluzione n. 57/E del 7 maggio 2014, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti a beneficio dei soggetti sopra indicati, diramando il seguente elenco  dei contribuenti che potranno utilizzare il Modello 730 in assenza di un sostituto d’imposta:

-         Titolari di rapporti di lavoro dipendente a tempo determinato che non comprende almeno i mesi di giugno e luglio;
-         Badanti, colf, giardinieri, collaboratori familiari e altri addetti alla casa;
-         Titolari di  rapporti di lavoro dipendente svolto all’estero in zone di frontiera per  un datore  non residente in Italia;
-         Titolari di borse di studio e di assegni, premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale;
-         Titolari di assegni periodici;
-         Titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che non comprende almeno i mesi di giugno e luglio.

Qualora dal 730 scaturisse un debito a carico dei richiamati contribuenti, il soggetto adibito all’assistenza fiscale dovrà trasmettere telematicamente la delega di versamento, utilizzando i servizi  resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate, oppure, consegnando al contribuente, entro il decimo giorno che precede la scadenza prevista per il  pagamento,  la delega di versamento compilata, consentendo a quest’ultimo di effettuare  il pagamento in via telematica, oppure in contanti in banca, presso uffici postali o  gli altri esercizi abilitati.

Nel caso in cui le risultanze della dichiarazione evidenziassero un credito, sarà invece  il Fisco ad erogarne direttamente l’importo al contribuente, attraverso un accredito in C/C, che dovrà essere indicato nel 730.

Nella nota in commento, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il Modello 730 potrà essere  presentato in forma congiunta anche se entrambi i coniugi fossero privi di un sostituto d’imposta in grado di effettuare il conguaglio nei tempi previsti. A tal fine è però necessario che  nel modello del primo dichiarante sia indicato un reddito di lavoro dipendente o assimilato a quello di lavoro dipendente.  Si tratta di una condizione non richiesta  per il secondo dichiarante.

Il contribuente che avesse cessato il rapporto di lavoro nel periodo intercorrente tra la data di  presentazione del  730 originario e quella del 27 ottobre potrà  presentare il modello  integrativo, contrassegnato dal codice 1, barrando  la casella “MOD 730 Dipendenti senza sostituto”. In tal caso il rimborso sarà effettuato dall’Agenzia delle Entrate.

Nel caso in cui il soggetto privo di sostituto d’imposta, che   avesse presentato il Modello 730 nei tempi ordinari, possa avvalersi di un nuovo sostituto entro il 27 ottobre, potrà utilizzare il modello integrativo per ottenere da quest’ultimo il rimborso.

Valerio Pollastrini


(1)   - convertito, con modificazioni, dalla Legge n.98 del 9 agosto 2013;

Apprendistato in azienda per gli studenti delle scuole superiori

Con l’emanazione del Decreto attuativo del programma sperimentale 2014-2016, siglato dai Ministeri dell'Istruzione, del Lavoro e dell'Economia, da settembre si potrà ricorrere  all’istituto dell’apprendistato anche per  gli studenti del quarto e del quinto anno delle scuole superiori.

Le aziende interessate dovranno  stipulare una convenzione con l’istituto scolastico.

Per formalizzarne l’adempimento, il datore di lavoro dovrà prima sottoscrivere  un protocollo d'intesa con il Miur, il Ministero del Lavoro e la Regione, nel quale dovranno essere  specificati i seguenti dati:

-         gli indirizzi di studio coinvolti;
-         i criteri per individuare scuole e studenti;
-         le modalità per assicurare ai giovani l'eventuale rientro nei percorsi ordinari;
-         il numero minimo di ore da svolgere sul posto di lavoro;
-         i criteri per il monitoraggio e la valutazione della sperimentazione.

Il Decreto chiarisce inoltre che, per poter instaurare il rapporto con lo studente, l'impresa dovrà risultare in regola con le prescrizioni sulla sicurezza e possedere le capacità occupazionali previste dalle norme sull'apprendistato.

Per l’apprendista-studente dovrà essere redatto un piano formativo personalizzato, recante i percorsi di studio e di lavoro, e dovrà essere approntato  un sistema di monitoraggio, nel quale saranno impegnati, congiuntamente, il tutor aziendale, designato dall'impresa, ed il tutor scolastico, individuato tra gli insegnanti del consiglio di classe in possesso di competenze adeguate.

L’impresa è inoltre chiamata a farsi carico delle specifiche attività formative in favore dell’apprendista.

Le scuole potranno utilizzare fino al 35% dell'orario annuale delle lezioni per l'interazione tra apprendimento in aula ed esperienza di lavoro.

I periodi di apprendistato svolti dallo studente saranno valutati e certificati e varranno come crediti ai fini dell'ammissione all'esame di Stato, nell’ambito del quale, la terza prova scritta dovrà essere predisposta dalla Commissione, tenendo conto dello specifico percorso sperimentale seguito dagli allievi, anche avvalendosi, senza oneri per la finanza pubblica,  della presenza del tutor aziendale come esperto.

Valerio Pollastrini

Accertamento dell’interposizione illegittima di manodopera

Nella sentenza n.12357 del 3 giugno 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che, per verificare la configurazione della supposta interposizione illegittima di manodopera, è indispensabile accertare se il datore  formale assolva unicamente alla gestione amministrativa del rapporto di lavoro con il dipendente, senza organizzare concretamente le  modalità di esecuzione delle prestazioni di quest’ultimo.

Nella vicenda in commento, sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano accolto il ricorso con il quale un lavoratore, chiamando in giudizio due società, aveva avanzato la sussistenza del suo rapporto alle dipendenze con la prima di esse.

La Corte territoriale aveva accertato come il lavoratore, formalmente alle dipendenze di un’azienda, nell’esecuzione di alcuni servizi appaltati ad altra società, aveva ricevuto direttive dal personale di quest'ultima, eseguendo le proprie prestazioni nei locali di essa, insieme ai dipendenti di questa e con beni e strumenti di proprietà della medesima.

Per il giudicante, le suddette circostanze palesavano  un’illecita interposizione di manodopera.

Investita della questione, la Cassazione ha ricordato come, in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, la giurisprudenza di legittimità sia concorde nel ritenere configurato  il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (1) nel caso in cui  l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo a carico del datore di lavoro formale solamente i compiti di gestione amministrativa del rapporto, come, ad esempio, l’erogazione della retribuzione o la pianificazione delle ferie,  senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.

La Suprema Corte ha poi aggiunto che, per la configurazione dell’interposizione vietata, non è necessario  che l'impresa appaltatrice risulti fittizia, in quanto, l’eventuale  estraneità dell’appaltatore all'organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell'esecuzione dell'appalto, assorbe  ogni questione relativa al rischio economico ed all’autonoma organizzazione del medesimo.

Tornando al caso di specie, la Corte di Appello, attenendosi ai suddetti  principi, aveva congruamente argomentato che le risultanze istruttorie avessero accertato come l'organizzazione e le direttive del lavoro che il dipendente doveva eseguire fossero state impartite dal personale della società utilizzatrice,  integrando così la fattispecie dell'illecita interposizione nella prestazione.

Per tale ragione, la Cassazione ha respinto il ricorso, confermando quanto disposto dalla sentenza del merito.

Valerio Pollastrini


(1)   – reato previsto dall’art.1 della legge n.1369 del 23 ottobre 1960;

La condotta imprudente del dipendente non esclude la responsabilità dell’infortunio in capo al datore di lavoro

Nella sentenza n.22247 del 29 maggio 2014, la Corte di Cassazione, aderendo all’orientamento particolarmente restrittivo della giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che l’infortunio del dipendente, causato dalla sua condotta imprudente, non esime il datore di lavoro dalle proprie responsabilità.

Il caso in commento è quello del legale rappresentante di una società di costruzioni, ritenuto colpevole, sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello, per il decesso di un dipendente che, privo di mezzi di protezione individuali, era caduto da un ponteggio, reso pericoloso dalla mancanza di parapetti su due lati.

Al datore di lavoro era stata inoltre contestata la mancata adibizione di personale preposto alla vigilanza sul rispetto delle norme di sicurezza.

Ricorrendo in Cassazione, l’imputato aveva permesso che la vittima, sebbene sconsigliata da un collega,  per liberarsi delle parti smontate gettandole al suolo, aveva volontariamente disatteso le norme precauzionali, rimuovendo i tubolari posti a protezione del castello aereo.

Secondo il ricorrente, la condotta, assunta dal lavoratore  in aperto contrasto con le istruzioni ricevute,  aveva causato un evento eccezionale ed imprevedibile, per via dell’ abnorme deviazione della vittima dall’ordinario profilo comportamentale.

Conseguentemente, sarebbe   illogica e priva di supporti l'affermazione con la quale la Corte territoriale aveva escluso che una simile imprudenza fosse  imprevedibile.

In sostanza, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se l’infortunio mortale, causato dalla condotta abnorme del dipendente, fosse ugualmente prevedibile da parte del datore di lavoro.

Come già precisato in passato (1), la Cassazione ha ricordato che la colpa del lavoratore  non esime l’imprenditore dalle proprie responsabilità.

Il rapporto di causalità tra la violazione e la morte o le lesioni del dipendente  può essere escluso unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore, la cui imprudenza, nel causare l’infortunio, si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti per la sua stranezza e imprevedibilità.

In sostanza, per assolvere il datore di lavoro da ogni responsabilità, è necessario che la volontaria condotta assunta dall’infortunato sia  radicalmente ed ontologicamente lontana dalle azioni ipotizzabili e, quindi, prevedibili.

La Suprema Corte ha però escluso che tali circostanze esimenti si fossero verificate nel caso di specie.

La norme sulla sicurezza impongono, infatti, al datore di lavoro l’obbligo d'impedire prevedibili imprudenti condotte dei dipendenti, attraverso l’utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l'uso obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, la predisposizione di personale di vigilanza che impedisca l'accesso a procedure pericolose.

A detta dei giudici di legittimità, se l’azienda avesse rispettato le suddette prescrizioni, la vittima non avrebbe rimosso  i tubolari e la protezione su uno dei lati della struttura, per liberarsi con maggiore facilità dei materiali gettandoli al suolo.

Per tale ragione la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del datore di lavoro.

Valerio Pollastrini


(1)   – Cass., Sentenza n.23292 del  28 aprile 2011;

Rimodulazione dell’assegno di mantenimento in seguito all’eredità ricevuta dall’ex coniuge

Nell’Ordinanza n.11797 del 27 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nonostante durante il matrimonio la ex coniuge avesse   rinunciato al lavoro per dedicarsi alla cura della  famiglia, qualora beneficiasse successivamente di un'eredità, l'assegno di mantenimento può essere rivisto o anche revocato.

La questione è giunta all’attenzione della Cassazione dopo che la Corte di Appello aveva condannato un uomo al pagamento di un assegno divorzile di 1.100,00 €, in aggiunta al contributo mensile di 600,00 €  per i figli.

Nell’adire la Suprema Corte, il ricorrente aveva contestato la mancata considerazione, da parte del  giudicante del merito, del raffronto tra i redditi ed i cespiti patrimoniali di entrambe le parti, rilevando che l’ex moglie poteva in realtà disporre di mezzi  propri, sufficienti a garantirle il mantenimento di un  tenore di vita analogo a quello goduto durante il  rapporto coniugale.

Il costanza di matrimonio, sia i figli che la ex  avevano infatti ricevuto dalla di lei madre la donazione della nuda proprietà di alcuni immobili, entrati nella loro piena disponibilità  per la successione ereditaria seguita  al decesso della donatrice. Dopo la separazione, l’ex coniuge aveva venduto alcuni di questi beni, ottenendo un  guadagno di 960.000,00 €.

Accogliendo il ricorso, la Cassazione ha specificato che, nonostante  la donna avesse rinunciato alla carriera per la famiglia, la cospicua eredità poteva consentirle, anche in mancanza di redditi lavorativi, un tenore di vita analogo, se non migliore, rispetto  a quello vissuto durante il matrimonio.

Secondo quanto più volte affermato  dalla giurisprudenza di legittimità (1), l'accertamento del diritto all'assegno divorzile deve essere effettuato attraverso la verifica dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello posseduto durante il matrimonio  che, presumibilmente, si sarebbe protratto  in caso di continuazione del rapporto.

In sostanza, il tenore di vita precedente deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali.

Sulla base delle richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha quindi concluso affermando che, nella determinazione dell'assegno di mantenimento, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale, perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Cass., Sentenza n.11686/2013; Cass., Sentenza n.23508/2010;

lunedì 2 giugno 2014

Agevolate anche ai fini Inail le assunzioni di donne e ultracinquantenni disoccupati

La Riforma Fornero (1) ha introdotto uno sgravio del 50% sui contributi previdenziali a carico dell’azienda  per le assunzioni effettuate dopo il 1° gennaio 2013 di soggetti disoccupati, donne o uomini con almeno 50 anni.

Nella Circolare n.28/2014 l’Inail ha chiarito che, ricorrendo i requisiti previsti dalla richiamata norma, la stessa riduzione trova applicazione anche per i premi assicurativi dovuti all’Istituto.

Nella nota è stato ricordato che le assunzioni agevolate in commento sono quelle di lavoratori over50, disoccupati da oltre 12 mesi, e quelle di donne di qualunque età, prive d’impiego da almeno 24 mesi, ovvero prive d’impiego da almeno sei mesi, se appartenenti a particolare aree geografiche.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Legge n.92/2012;

Sanzione unica in caso di più violazioni sull’igiene nel luogo di lavoro

Nella sentenza n.7342 del 17 febbraio 2014, la terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato che la violazione di più precetti, indicati nell'allegato IV del D.Lgs. n.81/2008,  relativi ai luoghi di lavoro e riconducibili ad una categoria omogenea di requisiti di sicurezza, deve essere considerata come unica omissione e quindi punita con una sola sanzione.

Nel caso di specie, all’imprenditore erano state contestate le violazioni delle disposizioni riguardanti gli adempimenti previsti per gli spogliatoi e gli armadi per il vestiario, nonché quelli sull’ illuminazione naturale o artificiale dei luoghi di lavoro.

Il  Tribunale, con sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato il datore di lavoro alla pena di complessivi 5.400,00 € di ammenda, sommando al reato previsto per la mancata predisposizione in azienda di un locale appositamente destinato a spogliatoio (1) a quello disposto, invece, per l’assenza di luce naturale diretta proveniente dalle finestrature del soffitto (2), trovandosi l’area di lavoro interamente al disotto di un soppalco.

Avverso tale pronuncia il datore di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione, adducendo come unico motivo la violazione dell'art. 68, commi 1, lett. b), e 2 del D. Lgs. n. 81/2008, in quanto il giudice del merito, nel quantificare la pena finale, avrebbe proceduto alla somma aritmetica delle sanzioni applicate per ciascuna contravvenzione, non considerando che, in base al secondo comma della disposizione richiamata, esse avrebbero dovuto essere considerate come unica violazione, punita con la pena prevista dal comma 1, lett. b), del medesimo articolo.

Investita della questione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ed ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena.

La Suprema Corte ha  ricordato preliminarmente  come l’art. 68 del D.Lgs. n.81/2008 abbia stabilito al secondo comma che la violazione di più precetti, riconducibili alla categoria omogenea di requisiti di sicurezza relativi ai luoghi di lavoro di cui all'allegato IV, punti 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5, 1.6, 1.7, 1.8, 1.9, 1.10, 1.11, 1.12, 1.13, 1.14, 2.1, 2.2, 3, 4, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5 e 6.6, deve essere considerata un’unica inadempienza e, quindi, punita con la pena prevista dal comma 1, lettera b).

In ogni caso, in tale circostanza, in sede di contestazione l'organo di vigilanza è tenuto a precisare i diversi precetti violati,  fissando,  la sanzione nell'arresto da due a quattro mesi o nell'ammenda da 1.000,00 a 4.800,00 euro.

Dal quadro normativo di riferimento, emerge chiaramente che le violazioni contestate al ricorrente avessero riguardato alcuni requisiti di sicurezza ricompresi tra quelli contemplati dalla disposizione richiamata (3), relativi, rispettivamente, agli spogliatoi e armadi per il vestiario ed all'illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro,  per le quali il giudicante avrebbe dovuto irrogare un’unica sanzione (4).

Il Tribunale, invece, aveva considerato separatamente le due violazioni, applicando per una (5) la pena di 3.600,00 € di ammenda, poi ridotta per il rito  a 2.400,00 €, e, per l’altra (6), la pena dell'ammenda di  4.500,00 €, ridotta, sempre per il rito, a  3.000,00 €, pervenendo ad una pena finale di complessivi 5.400,00 €,  superiore, per giunta,  al limite edittale massimo di  4.800,00 €, indicato dall'art. 68 comma 1, lett. b) del D.Lgs. n.81/2008.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata, rinviando allo stesso  giudice del merito la corretta rideterminazione della pena.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - requisiti indicati al punto 1.12 dell'Allegato IV del D.Lgs. n.81/2008;
(2)   - requisiti indicati al punto 1.10.1 dello stesso Allegato  IV del D.Lgs. n.81/2008;
(3)   - più precisamente, quelli di cui ai punti 1.12 (capo a) e 1.10.1 (capo b) dell'Allegato IV del D. Lgs. n.81/2008;
(4)     - disposto di cui al comma 2 dell'art.68 del D.Lgs. n.81/2008;
(5)   – corrispondente al reato indicato al capo a) dell'imputazione;
(6)   – corrispondente al reato indicato al capo b) dell’imputazione;

Infortuni sul lavoro e malattie professionali – Le diverse domanda di revisione della rendita Inail

Nell’Ordinanza n.9687 del 6 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha ricordato come, in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, risultino connaturati da caratteri e presupposti distinti gli istituti della revisione per miglioramento o aggravamento delle condizioni di salute e quello della revisione per errore.

Nel primo caso, la revisione, disposta in seguito ad un miglioramento o ad un aggravamento delle condizioni di salute dell'interessato, assolve alla funzione di adattare alla nuova situazione  l'importo della rendita corrisposta al lavoratore dall’Inail.

Nel secondo caso, invece, la revisione è disposta per correggere  l’iniziale errore di valutazione, effettuata sul presupposto che la concessione del beneficio rientrasse nei parametri di legge.

Nel caso in commento, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza del merito dopo aver rilevato che la  Corte di Appello di Ancona avesse confuso i presupposti alla base delle due diverse fattispecie, decidendo  in maniera illogica.

La Cassazione ha ribadito che la Corte territoriale, avrebbe dovuto accogliere o rigettare la domanda  formulata per l’aggravamento (1),  qualificando la richiesta secondo quanto disposto dalla normativa di riferimento.

Dal momento che l'Inail non aveva  contestato l'effettivo aggravamento delle condizioni di salute dell'istante, la Corte di Appello avrebbe dovuto accogliere la domanda del lavoratore  solamente se formulata per lamentare un errore di valutazione iniziale dell'amministrazione, e non, come nel caso di specie, per accertare una circostanza risultata pacifica.

Valerio Pollastrini


(1)   - Art.137 del D.p.r. 1124/1965;

Sgravi sui premi di risultato erogati nel 2013

Dal 2008, le somme erogate ai lavoratori per i premi di risultato, fissati dalla contrattazione aziendale o territoriale di secondo livello, possono beneficiare delle riduzioni del 25 % sui contributi aziendali e del 100 % su quelli a carico del dipendente.

La decontribuzione in commento, introdotta,  in via sperimentale per il triennio 2008/2010, dalla legge n.247/2007,  è stata resa  strutturale dalla Riforma Fornero del mercato del lavoro (1).

Per ottenere l’agevolazione per le somme corrisposte nel 2013, i datori di lavoro dovranno preventivamente inoltrare apposita richiesta all’Inps.

L’Istituto Previdenziale, oltre a  diffondere  le modalità operative, dovrà fissare il termine ultimo di presentazione delle istanze, a partire dal quale decorreranno i  60 giorni di tempo utili all’Inps per comunicare  alle imprese l’ammissione o il rifiuto allo sgravio.

Il Decreto Ministeriale del 14 febbraio 2014 ha chiarito che le aziende, nel caso in cui non avessero ancora depositato presso la Direzione Territoriale del Lavoro gli accordi di produttività, ai fini della decontribuzione, potranno adempiervi fino al  prossimo 30 giugno.

Valerio Pollastrini

(1)   Legge n. 92/2012;

In arrivo una nuova procedura telematica per il lavoro accessorio

Nel Messaggio n.5000 del 29 maggio 2014 l’Inps ha comunicato che, a partire dal prossimo mese di agosto, sarà operativa una nuova procedura telematica per l’impiego dei buoni lavoro. Si tratta delle modalità di inoltro delle domande di accesso e di gestione da parte dei soggetti che utilizzano i c.d. voucher.

Attraverso le modifiche verrà definita un procedura più semplice, utile, principalmente, ai committenti che gestiscono grandi volumi di voucher virtuali.

La nuova procedura  “FastPOA” consentirà una gestione organizzata per liste di lavoratori, con riferimento alle quali sarà possibile, con un’unica operazione, effettuare sia l'inserimento delle prestazioni di lavoro, che la rendicontazione di tutti i precedenti rapporti  relativi ai soggetti inseriti nella lista.

Attraverso alcune utility, inoltre, si potranno inserire  le tipologie di prestatori e i luoghi dove verranno svolte le prestazioni lavorative.

Per ottenere l'abilitazione alla nuova procedura è necessario inoltrare una mail in una delle caselle di posta dei referenti regionali del lavoro accessorio, reperibili sul sito istituzionale dell’Inps. Nella domanda dovranno essere indicati il codice fiscale/ partita IVA del committente e, per le persone giuridiche, l'eventuale codice fiscale del delegato.

Per accedere alla procedura “FasPOA” i committenti persone fisiche dovranno essere titolari di un proprio PIN, mentre i soggetti  delegati, oltre al  PIN, dovranno essere in possesso  di una delega ad operare.

Tutte le indicazioni operative per l'utilizzo della procedura sono disponibili sul sito www.inps.it.

Valerio Pollastrini