Nel
caso di specie, il Tribunale aveva condannato i due titolari di una società, ritenuti responsabili
della morte di un lavoratore che, mentre si trovava all'interno di una trincea
scavata sotto il muro perimetrale, era rimasto schiacciato dal crollo di una
porzione della parete.
La
pena era stata ridotta dalla Corte di
Appello, che aveva parzialmente
riformato la pronuncia di primo grado.
Uno
degli imprenditori aveva adito la Cassazione, evidenziando l’incertezza della natura
del rapporto del soggetto infortunato.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha precisato
che, ai fini della responsabilità aziendale per l’evento infortunistico, il
ruolo effettivo rivestito dalla vittima non
assume alcun rilievo, risultando indifferente per la decisione se la stessa fosse un lavoratore subordinato, un coadiuvante
occasionale, un autonomo o uno spontaneo collaboratore mosso dal vincolo parentale
con l’imputato.
Nella
vicenda in commento, la vittima si trovava all'interno della trincea per prepararla ad
accogliere il calcestruzzo e, quindi, a prescindere dalla natura del suo rapporto,
stava svolgendo un’attività lavorativa in favore dell’azienda.
La
Cassazione ha poi ricordato che il cantiere,
così come gli altri luoghi di
pertinenza aziendale, non deve presentare pericoli per tutti coloro che vi entrino in contatto e non solo per i
lavoratori.
Di
conseguenza, deve essere opportunamente preclusa, attraverso le idonee misure
segreganti, l'accessibilità a luoghi e strutture in cui siano presenti fonti di
rischio.
Le
norme antinfortunistiche, infatti, non sono dettate soltanto per la tutela dei
lavoratori, ma sono rivolte anche alla salvaguardia dei terzi che, legittimamente,
abbiano accesso alle strutture nelle quali vi siano macchine che, se non munite
degli opportuni presidi antinfortunistici, possono essere causa di eventi
dannosi.
In
proposito, la Suprema Corte ha richiamato la disposizione di legge (1) che impone al
datore di lavoro di assumere provvedimenti adeguati per evitare che le misure
tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o
deteriorare l'ambiente esterno.
Secondo
l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità (2), la norma
appena richiamata dimostra che le disposizioni sulla prevenzione sono emanate nell'interesse di tutti, anche degli
estranei al rapporto di lavoro.
Ai
fini della sussistenza della responsabilità dell’imprenditore, pertanto, qualora
l’inosservanza degli obblighi di
sicurezza costituisca la causa di un infortunio,
poco importa se vittima dell’evento sia
un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una
persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso
causale con l'accertata violazione.
La
Cassazione ha poi ricordato come, in tema di omicidio colposo, l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche
ricorra anche quando la vittima sia una persona estranea all'impresa.
Per
quanto riguarda la sicurezza degli impianti, l'imprenditore riveste, infatti,
una posizione di garanzia, non soltanto con riguardo ai lavoratori subordinati
o ai soggetti a questi equiparati, ma, altresì, nei confronti di tutti coloro
che possono comunque venire a contatto, o trovarsi ad operare, nell'area della
loro operatività (3).
In
virtù delle richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha concluso con il
rigetto del ricorso, confermando, così, quanto disposto nella pronuncia di
Appello.
Valerio
Pollastrini
(1)
-
Art.4, comma 5, lett. n), del D.Lgs. n.626
del 19 settembre 1994;
(2)
–
Cass., Sentenza n.11351 del 20 aprile
2005;
(3)
–
Cass., Sentenza n.10842 del 7 febbraio 2008;
Cass., Sentenza n.7726/2002; Cass.,
Sentenza n.11360/2006;
Nessun commento:
Posta un commento