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venerdì 6 giugno 2014

Le norme sulla sicurezza tutelano anche i terzi

Nella sentenza n.22965 del 3 giugno 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che le norme antinfortunistiche, oltre  alla  salvaguardia dei dipendenti, sono rivolte anche alla tutela dei terzi che, per una qualsiasi legittima ragione, abbiano accesso ai locali aziendali in cui vi siano dei macchinari che possano  causare degli eventi dannosi.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva condannato i due  titolari di una società, ritenuti responsabili della morte di un lavoratore che, mentre si trovava all'interno di una trincea scavata sotto il muro perimetrale, era rimasto schiacciato dal crollo di una porzione della parete.

La pena era stata ridotta dalla  Corte di Appello, che  aveva parzialmente riformato la pronuncia di primo grado.

Uno degli imprenditori aveva adito la Cassazione, evidenziando l’incertezza della natura del rapporto del soggetto infortunato.

Investita della questione, la Suprema Corte ha  precisato che, ai fini della responsabilità aziendale per l’evento infortunistico, il ruolo effettivo rivestito dalla vittima  non assume alcun rilievo, risultando indifferente per la decisione se la stessa fosse  un lavoratore subordinato, un coadiuvante occasionale, un  autonomo o  uno spontaneo collaboratore mosso dal vincolo parentale con l’imputato.

Nella vicenda in commento, la vittima si trovava  all'interno della trincea per prepararla ad accogliere il calcestruzzo e, quindi, a prescindere dalla natura del suo rapporto, stava svolgendo un’attività lavorativa in favore dell’azienda.

La Cassazione ha poi ricordato che il cantiere,  così come gli altri  luoghi di pertinenza aziendale, non deve presentare pericoli per tutti coloro che vi  entrino in contatto e non solo per i lavoratori.

Di conseguenza, deve essere opportunamente preclusa, attraverso le idonee misure segreganti, l'accessibilità a luoghi e strutture in cui siano presenti fonti di rischio.

Le norme antinfortunistiche, infatti, non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ma sono rivolte anche alla salvaguardia dei terzi che, legittimamente, abbiano accesso alle strutture nelle quali vi siano macchine che, se non munite degli opportuni presidi antinfortunistici, possono essere causa di eventi dannosi.

In proposito, la Suprema Corte ha richiamato la disposizione di legge (1) che impone al datore di lavoro di assumere provvedimenti adeguati per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno.

Secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità (2), la norma appena richiamata dimostra che le disposizioni sulla prevenzione sono  emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro.

Ai fini della sussistenza della responsabilità dell’imprenditore, pertanto, qualora l’inosservanza  degli obblighi di sicurezza  costituisca la causa di un infortunio, poco importa se vittima dell’evento  sia un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione.

La Cassazione ha poi ricordato come, in tema di omicidio colposo,  l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche ricorra anche quando la vittima sia una persona estranea all'impresa.

Per quanto riguarda la sicurezza degli impianti, l'imprenditore riveste, infatti, una posizione di garanzia, non soltanto con riguardo ai lavoratori subordinati o ai soggetti a questi equiparati, ma, altresì, nei confronti di tutti coloro che possono comunque venire a contatto, o trovarsi ad operare, nell'area della loro operatività (3).

In virtù delle richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha concluso con il rigetto del ricorso, confermando, così, quanto disposto nella pronuncia di Appello.

Valerio Pollastrini


(1)   - Art.4, comma 5, lett. n), del  D.Lgs. n.626 del 19 settembre 1994;
(2)   – Cass., Sentenza n.11351 del  20 aprile 2005;
(3)   – Cass., Sentenza n.10842 del  7 febbraio 2008; Cass., Sentenza  n.7726/2002; Cass., Sentenza n.11360/2006;

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