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venerdì 25 aprile 2014

Vademecum sul Decreto Irpef

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 24 aprile è entrato in vigore il c.d. “Decreto Irpef”.

A partire dalla  busta paga di maggio, i lavoratori subordinati con un reddito compreso tra gli 8 ed i 24mila euro  riceveranno  il bonus mensile di 80,00 euro, per un totale, nel 2014, di  640,00 €.

Tra le altre disposizioni, la norma ha  istituito un Fondo destinato alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro, nel quale  confluiranno le risorse reperite dai tagli strutturali alla spesa pubblica.

Il bonus mensile
Per l’anno 2014, l’importo complessivo del bonus Irpef sarà di 640,00 €.

La prestazione verrà erogata in misura intera   solamente ai contribuenti inquadrati in un contratto di lavoro subordinato con redditi dagli 8 ai 24mila euro.

L’importo del bonus sarà progressivamente ridotto dai 24 ai 26 mila euro.

Rimangono, pertanto, esclusi i soggetti privi di reddito o con imponibile fiscale inferiore agli 8mila euro.

Per i prossimi anni, la norma prevede che il bonus verrà reso strutturale dalla legge di stabilità 2015.

I datori di lavoro potranno recuperare quanto erogato mensilmente a titolo di bonus attraverso la compensazione con le ritenute fiscali e previdenziali.

Il Fondo per la riduzione del costo del lavoro
Il Fondo, istituito per la riduzione della pressione fiscale e contributiva sul lavoro, avrà una dotazione di 1,93 miliardi in termini di saldo netto da finanziare e di 2,685 miliardi di euro in termini di indebitamento netto per il 2015, di 4,68 miliardi per il 2016, di 4,135 miliardi per il 2017, di 1,990 miliardi dal 2018.

Disposizioni per la Pubblica Amministrazione
Il decreto fissa a 240.000,00 € il tetto ai compensi per i dirigenti ed i manager pubblici, compresi i magistrati.

Previsto, inoltre, un limite all'utilizzo di consulenti e collaboratori. Nel 2014, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, non potranno essere conferiti  incarichi di consulenza se la spesa totale sostenuta per tali prestazioni supera quella per il personale.

Il tetto è pari al 4,2% per le Amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro e all’1,4% per le Amministrazioni con una spesa superiore a 5 milioni di euro.

Risultano escluse dalla limitazione in oggetto le Università, gli  Istituti di Formazione, gli Enti di ricerca e gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale.

Valerio Pollastrini

E’ subordinato il consulente inserito stabilmente nell'organizzazione aziendale

Nella sentenza n.9196 del 23 aprile 2014 la Corte di Cassazione ha ricordato che, per le funzioni dirigenziali, nonché per le attività prettamente intellettuali, la subordinazione può concretizzarsi anche attraverso semplici direttive di massima.

Il caso di specie è giunto al vaglio di legittimità dopo che la Corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale, aveva rigettato l’opposizione proposta dall’esercente di un supermercato contro la cartella esattoriale notificata dall’Inps in seguito al verbale ispettivo che aveva accertato la  sussistenza della subordinazione nel contratto di consulenza stipulato tra l’azienda ed un addetto alle mansioni di gestore e coordinatore.

La Corte territoriale aveva maturato la propria decisione dopo aver rilevato che, a proposito delle concrete modalità di esecuzione delle mansioni svolte, le dichiarazioni rese dal lavoratore nel corso dell’ispezione avevano evidenziato la presenza di  alcuni elementi sufficienti a dimostrare la natura subordinata del rapporto.

Il prestazioni del lavoratore, stabilmente inserito nell'organizzazione aziendale, erano risultate indispensabili  ed infungibili con quelle degli altri soci. La posizione del consulente era sovraordinata  rispetto al restante personale ed era connaturata dall’assenza di rischio e dalla continuità ed omogeneità del compenso.

L’azienda aveva proposto ricorso in Cassazione, dolendosi della mancata ammissione, da parte  del giudice di Appello, della prova testimoniale che avrebbe accertato la presenza nel rapporto di ulteriori elementi che avrebbero, invece, escluso la subordinazione.

La censura datoriale evidenziava che il lavoratore non era vincolato ad un orario prestabilito. Inoltre il consulente non era soggetto a turni di lavoro e non era tenuto a giustificare assenze o malattie, circostanza che risulterebbe dimostrata dalla circostanza che lo stesso,  impiegato anche presso altre aziende, per circa 10/20 volte aveva sopperito alla propria assenza provvedendo direttamente ad inviare un sostituto.

Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha ribadito che,  nonostante il lavoratore svolga le proprie mansioni con margini, più o meno ampi, di autonomia e di discrezionalità, quali quelli individuati nella specie, ciò non esclude la qualificazione subordinata  del rapporto, in quanto tali circostanze assumono carattere sussidiario ed una funzione meramente indiziaria.

Per l’accertamento della natura del rapporto, infatti, è risultata determinante la continua dedizione funzionale della energia lavorativa del consulente al risultato produttivo perseguito dall'imprenditore, che ne imponeva la presenza giornaliera presso il punto vendita e l'inserimento stabile nell'organizzazione aziendale.

In conclusione, la Cassazione ha ribadito che, ai fini della sussistenza della subordinazione,  non è necessario che il potere direttivo sia esercitato dal datore di lavoro attraverso ordini continui, dettagliati e strettamente vincolanti, né che risulti continuo e stringente il suo controllo sull'attività svolta dal lavoratore.

Tale potere, può infatti realizzarsi anche per mezzo di direttive trasmesse in via programmatica o semplicemente impresse nella struttura aziendale, assumendo particolare rilevanza l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell'organizzazione dell'impresa.

Valerio Pollastrini

mercoledì 23 aprile 2014

I limiti dell’efficacia probatoria dei verbali ispettivi

Nella  sentenza n.4462 del 25 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito i limiti nei quali si esplica l’efficacia probatoria  del verbale ispettivo attestante l’omessa registrazione del dipendente da parte del datore di lavoro.

Il caso di specie è giunto dinnanzi alla Suprema Corte dopo che la Commissione Tributaria Regionale di Bologna aveva rigettato l’appello, proposto da una società nei confronti dell’Agenzia delle Entrate,  contro la pronuncia con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Rimini aveva accolto solo parzialmente il ricorso avverso l’avviso di irrogazione di sanzioni relative all’omessa registrazione sui libri paga e matricola di una dipendente, disponendo il ricalcolo delle sanzioni limitatamente al periodo compreso fra il 16 giugno 2002 ed il 26 agosto 2002.

L’azienda aveva adito la Cassazione, denunciando  in primis difetto di giurisdizione in relazione a  quanto enunciato dalla Corte Costituzionale (1) a proposito dell’incostituzionalità dell’art. 2 del D.Lgs. n.546/1992 nella parte in cui include nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie anche le controversie aventi ad oggetto le sanzioni amministrative di natura non tributaria comunque irrogate da uffici finanziari, poiché tale giurisdizione è consentita soltanto se il rapporto sottostante ha natura tributaria.

Nell’escludere il fondamento della censura, la Cassazione ha preliminarmente richiamato  il principio (2) in base quale i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda. Gli ermellini hanno ricordato come tale principio si riferisca esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità. Ciò, tuttavia,  ha valore purché sulla giurisdizione non si sia formato il giudicato o non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti.

La Suprema Corte ha però dichiarato come, dal momento che il giudice di primo grado, pronunciandosi nel merito, aveva implicitamente affermato la propria giurisdizione, senza che quest’ultima fosse stata contestata in appello, nel caso di specie trova applicazione l’altro principio, secondo il quale la relativa questione risulta ormai coperta da giudicato implicito (3).

Un altro motivo di doglianza era stata la conferma, da parte del giudice del merito, della data di assunzione della lavoratrice secondo a quanto riportato nel verbale di accertamento ispettivo dell’INPS.

Secondo il datore di lavoro, la pronuncia impugnata avrebbe trascurato che i verbali ispettivi, qualora non formino piena prova relativamente all’intero accertamento, non sarebbero idonei a provarne una singola parte, a maggior ragione quando l’azienda vi abbia fatto acquiescenza senza riserve, come nel caso in esame.

Ritenuta infondata anche questa contestazione, la Cassazione ha ribadito quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in merito  ai verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali, che, al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali,  fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata  non può essere estesa alla verità sostanziale delle dichiarazioni, ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (4).

Per quanto concerne la veridicità delle dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, inoltre, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento, addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non ricade (5).

Contrariamente a quanto sostenuto dall’azienda, pertanto, sussistendo soltanto nei limiti anzidetti l’idoneità probatoria dei verbali ispettivi, non può pretendersi che le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali debbano essere accolte o disattese nella loro interezza.

In base alle richiamate motivazioni, la Cassazione ha concluso  rigettando il ricorso, con conseguente condanna  dell’azienda al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 € per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Corte Cost., Sentenza n.130/2008;
(2)   - Cass.S.U., Sentenza n.19495 del 16 luglio 2008;
(3)   - Cass., Sentenza  n.19475/2012; Cass. S.U., Sentenza n.24883/2008; Cass., Sentenza n.19792/2001; Cass. S.U., Sentenza n.27531/2008;
(4)   - Cass.S.U., Sentenza n.12545/1992; Cass., Sentenza n.17355/2009;
(5)   - Cass., Sentenza n.1786/2000; Cass., Sentenza n.1786/1998; Cass., Sentenza n.6110/1998; Cass., Sentenza n.3973/1998; Cass., Sentenza n.6847/1987;

Le modifiche apportate dalla Camera al Decreto Lavoro

Il Decreto Legge n.34/2014, recante le  disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (1), ha incassato la fiducia alla Camera dopo gli emendamenti approvati dalla Commissione Lavoro.

Per la definitiva conversione in legge, si dovrà attendere, probabilmente, il prossimo 20 maggio, data nella quale è prevista la discussione in Senato.

Le principali modifiche apportate al testo originario della norma riguardano i contratti a termine. Il nuovo testo ha introdotto la conversione in contratto a tempo indeterminato per le assunzioni a termine effettuate in eccedenza rispetto al limite  del 20% dei precari, sul totale dei dipendenti con il posto fisso. 

I datori di lavoro inadempienti potranno comunque evitare le conseguenze  dello sforamento del suddetto limite, rientrando nei parametri entro il  31 dicembre 2014.

Sempre a proposito dei rapporti a termine, la possibilità di prorogare il contratto “acausale” è stata ridotta da 8 a 5 volte, purché nel limite complessivo di  36 mesi.

Nell’ambito dell’apprendistato, si segnala una modifica con la quale è stata eliminata la misura che, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge, era stata accolta con maggior favore.

L’istituto, finalizzato ad agevolare l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani con meno di 29 anni, negli ultimi anni aveva registrato una notevole battuta di arresto, causata, principalmente, della farraginosità delle procedure richieste per l’espletamento della formazione esterna dei lavoratori.

Tale condizione, eliminata nel testo originale del Decreto, è stata ripristinata attraverso la nuova formulazione.

Le aziende, pertanto, continueranno ad essere costrette a sottoporre gli apprendisti alla formazione pubblica obbligatoria, seppure sia stato precisato che i datori di lavoro saranno esonerati dall’onere, qualora le Regioni, tenute ad erogare il modulo formativo,  non informino delle modalità di trasmissione delle competenze entro  45 giorni dalla comunicazione dell’ instaurazione del rapporto,

Si segnala, infine, la reintroduzione del vincolo della forma scritta per il  “piano formativo on the job”, anche se la norma specifica che la redazione possa avvenire  in maniera sintetica e semplificata.

Valerio Pollastrini


(1)   – c.d. “Decreto Lavoro”;

Il bonus di 80 euro con le retribuzioni di maggio

A partire dalle competenze del mese di maggio, i lavoratori subordinati con un imponibile fiscale tra gli 8mila ed i 26 mila euro riceveranno in busta paga l’annunciato bonus previsto per la riduzione del  c.d. cuneo fiscale in favore dei dipendenti a basso reddito.

 
Il Decreto Legge varato lo scorso 18 aprile, per il momento, ha inspiegabilmente escluso dai beneficiari del credito di imposta coloro che guadagnano meno di 8 mila euro, per i quali il Governo ha però dichiarato l’intenzione di introdurre più avanti misure strutturali.

Il bonus, corrispondente ad 80,00 € mensili, sarà corrisposto dai datori di lavoro, circostanza che esclude per i contribuenti  la possibilità di compensare il relativo credito in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Le aziende potranno recuperare direttamente  dal monte delle ritenute fiscali quanto erogato ai dipendenti beneficiari del provvedimento in commento. In caso di incapienza, per la compensazione i datori di lavoro potranno utilizzare anche i contributi previdenziali.

L’importo totale del credito Irpef, fissato per il 2014 nella misura di 620,00 € annui, a partire dal 2015 verrà innalzato alla soglia di  950,00 €.

Valerio Pollastrini

Danno alla vita sessuale in seguito ad infortunio

Nella sentenza n.386 del 19 novembre 2013-10 gennaio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato il diritto della moglie di un dipendente al risarcimento del danno alla vita sessuale causati dai postumi di un infortunio sul lavoro patito dal marito.

Il caso in commento era già stato posto all’attenzione della Suprema Corte che, con la sentenza n.14822 del 20007, aveva  cassato - con rinvio alla Corte di Appello di Roma - la sentenza con la quale il Tribunale di Latina, in riforma della sentenza di prime cure emessa dal Pretore della stessa sede, aveva condannato Estrusione Italia S.p.A. al pagamento  di complessivi 75.000,00 €, in favore della moglie di un dipendente che  in seguito alle conseguenze di un infortunio sul lavoro aveva patito dei danni nella sfera sessuale.

L'annullamento era stato disposto perché il Tribunale aveva fondato la propria decisione sulla documentazione depositata in appello dalla donna , senza pronunciarsi sull'eccezione di tardività della loro produzione sollevata da Estrusione Italia S.p.A..

In sede di rinvio, la Corte di Appello di Roma  aveva rigettato l'eccezione di tardività della produzione dei documenti predetti e nel merito aveva confermato la liquidazione dei danni contenuta nella summenzionata sentenza del Tribunale di Latina, richiamandone le motivazioni.

Estrusione Italia S.p.A.,  fallita nelle more del processo di legittimità, aveva nuovamente ricorso  per Cassazione, contestando la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui era stato ritenuto che i documenti fossero stati già ritualmente depositati in prime cure unitamente al ricorso introduttivo di lite, mentre - ad avviso della società ricorrente - nel precedente giudizio di legittimità era stato accertato il contrario, tanto che l'annullamento era stato disposto proprio affinché il giudice del rinvio si pronunciasse sull'eccezione di tardività.

A detta della ricorrente, la Corte di Appello non avrebbe dovuto ammettere tale produzione nemmeno per l'asserita indispensabilità ai fini del decidere, proprio perché il deposito della documentazione era avvenuto solo dopo la proposizione dell'atto di gravame - in occasione della costituzione di nuovo difensore  -  senza che la difesa di la donna avesse in alcun modo giustificato la propria precedente inerzia.

L’azienda aveva inoltre lamentato che l'impugnata sentenza avesse accolto la domanda risarcitoria in base a documenti insufficienti a comprovarla, atteso che proprio alla luce della CTU prodotta, espletata nel giudizio civile tra l'infortunato e la società datrice di lavoro, non risultava un danno alla vita sessuale stricto sensu, essendosi invece ipotizzata una mera impossibilità di procreare (aspermia), destinata, tra l’altro, a regredire nel tempo. 

Inoltre, sempre a detta del datore di lavoro, la donna non aveva dimostrato di volere altri figli, né aveva provato la permanenza della patologia riportata dal marito, dal quale - per altro - era separata da anni.

Infine,  il danno morale, oltre a non essere stato provato, sarebbe stato  liquidato in maniera arbitraria in assenza di idonei parametri.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha innanzitutto premesso l'irrilevanza, ai fini del giudizio, della sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società ricorrente, poiché nel giudizio di Cassazione, dominato dall'impulso d'ufficio, il sopravvenuto fallimento  non determina l'interruzione del processo (1).

La Cassazione ha poi rilevato che da un'attenta lettura della summenzionata sentenza n.14822 del 2007  la Suprema Corte non avesse affatto accertato la reale tardività della produzione dei documenti asserita dall'odierna ricorrente, ma si era limitata a cassare la sentenza del Tribunale di Latina per omessa pronuncia sull'eccezione di tardività sollevata da Estrusione Italia S.p.A..

Dunque, nulla vietava al giudice di rinvio di accertare autonomamente se i documenti de quibus fossero stati effettivamente già prodotti in prime cure e, poi, semplicemente ridepositati nel corso del giudizio di appello, come espressamente affermato dall'impugnata sentenza.

In proposito, la Corte del merito aveva evidenziato che tali documenti fossero stati depositati in ottemperanza all'ordinanza emessa dal Tribunale di Latina, che aveva rilevato la mancanza del fascicolo dell’appellante negli atti già formalmente depositati.

Non ponendo il ricorso questione alcuna di erronea ricostruzione del fascicolo di parte, la Cassazione ha confermato che la documentazione in questione fosse stata correttamente depositata in primo grado.

A proposito della questione risarcitoria, la Corte di legittimità ha ricordato che il danno morale e quello sessuale e alla vita di relazione rientrano pur sempre nell'ampia ed omnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale, il quale non può essere suddiviso in ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. Va tenuto presente che la l’esistenza di tali fattispecie può essere presunta anche in base a mere massime di esperienza (2),  in particolare se basate sui rapporti personali fra coniugi, come nel caso di specie, salva restando la possibilità di prova contraria.

Quanto alle obiezioni relative ad una pretesa separazione fra l'odierna controricorrente ed il marito, nonché quelle concernenti la scelta di non avere altri figli, gli ermellini hanno rilevato l’estraneità di simili doglianze al giudizio di legittimità, in quanto richiedenti accertamenti di fatto.

In ordine  alla liquidazione dei danni la Cassazione ha poi ricordato  come la stessa, in assenza di parametri legislativi a riguardo, non può che avvenire in via equitativa.

Tornando alla specifica doglianza aziendale, la Cassazione ha ritenuto che l'impugnata sentenza non avesse proceduto ad una liquidazione arbitraria del danno.

I giudici del rinvio avevano infatti espressamente fornito una motivazione per relationem a quella già espressa dalla citata sentenza del Tribunale di Latina.

 
In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha condannato l’azienda al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.500,00 € per compensi professionali, in 100,00 € per esborsi, oltre accessori come per legge.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Cass., sentenza  n.17450 del 17 luglio 2013; Cass., sentenza  n.8685 del 31 maggio 2012; Cass., sentenza  n.14786 del 5 luglio 2011; Cass. S.U., sentenza  n.17295 del 14 novembre 2003;
(2)   - Cass.S.U., sentenza n.26972 dell’11 novembre 2008;

lunedì 21 aprile 2014

I primi chiarimenti Inps sulle modifiche in materia di contratto a termine e di apprendistato

Con il Messaggio n.4152 del 17 aprile 2014, l’Inps ha diramato le prime istruzioni  operative sulle modifiche introdotte dal  Decreto Legge n.34/2014 agli istituti del contratto a termine e dell’apprendistato.

Riguardo alle disposizioni  concernenti il procedimento di attestazione della regolarità contributiva  (DURC) e le agevolazioni contributive connesse ai contratti di solidarietà difensivi ex lege n. 863/84, l’Istituto ha precisato che le opportune indicazioni saranno fornite  dopo l’emanazione dei relativi decreti attuativi.

Nella nota l’Inps ha ricordato che, in attesa della fine del percorso parlamentare con il quale la norma sarà convertita in legge, il Decreto Legge n.34/2014 è attualmente in vigore e, pertanto, le disposizioni in esso contenuto producono effetti immediati sui rapporti di lavoro.

L’Istituto ha dunque ritenuto opportuno un primo intervento chiarificatore che, come indicato nella premessa del Messaggio, attiene esclusivamente alla materia contributiva.

Contratti a tempo determinato
A far data dal 21 marzo 2014, il Decreto Legge ha eliminato l’obbligo delle ragioni giustificatrici del contratto a tempo determinato.

Conseguentemente, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato è ora sempre consentita, purché la durata complessiva del rapporto - comprensiva di eventuali proroghe - non superi i trentasei mesi.

La nuova previsione, che sostanzialmente generalizza la fattispecie del c.d. "contratto acausale", è stata inoltre estesa anche al contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Nel Messaggio l’Inps ha compiuto un’analisi sulla portata della modifica inerente ai contratti a tempo determinato con riguardo al contributo addizionale Aspi.

Si tratta della percentuale aggiuntiva di contribuzione, pari all’1,40%, imposta dalla Riforma Fornero a carico dei datori di lavoro per i rapporti di lavoro  a termine. Maggiorazione non dovuta per le assunzioni a tempo determinato effettuate per la sostituzione di lavoratori assenti.

In relazione al citato regime di esenzione, il Messaggio ha  precisato che, ai fini della sua operatività, i datori di lavoro dovranno continuare ad indicare la particolare tipologia di assunzione e, pertanto, nonostante  sia venuta meno la causale ai fini della legittimità del contratto a tempo determinato, ove quest’ultimo venga stipulato in relazione ad una sostituzione, i datori di lavoro dovranno continuare a compilare il flusso UniEmens secondo le indicazioni contenute nell’allegato tecnico, valorizzando l’elemento <Qualifica3> con il previsto codice A.

A proposito dello sgravio contributivo in favore delle assunzioni di dipendenti in sostituzione di lavoratori in congedo di maternità, in base al quale le aziende con meno di venti dipendenti, in caso di assunzione di dipendenti a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, possono usufruire di una riduzione contributiva del 50%, l’Inps ha chiarito che le nuove disposizioni sul contratto di lavoro a termine non incidono sull’operatività del beneficio.

Di conseguenza, ai fini dell’accesso e della fruizione dell’agevolazione spettante, i datori di lavoro interessati dovranno continuare ad utilizzare la prassi in uso.

Apprendistato
La modifica più rilevante introdotta dal  Decreto Legge  n.34/2014 riguarda l’abrogazione di tutte le norme che subordinavano l’assunzione di nuovi apprendisti alla conferma di una percentuale dei rapporti in essere.

L’eliminazione si riferisce sia alla soglia legale per le aziende con oltre 9 dipendenti, che prevedeva l’obbligo di stabilizzazione del 50% dei rapporti di apprendistato cessati nei 24 mesi antecedenti (1), che a quella prevista dalla contrattazione collettiva per i datori di lavoro con un organico inferiore alle 9 unità.

Riguardo agli aspetti di carattere previdenziale, l’Inps ha ricordato che il comma 30 dell’articolo 2 della legge n.92 del 28 giugno 2012 prevede che il contributo addizionale ASpI dell’ 1,40%  debba essere restituito ai datori di lavoro in caso di trasformazione a tempo indeterminato di rapporti a termine, nonché nel’eventualità della stabilizzazione del rapporto, purché intervenuta entro sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a temine.

Nel merito di tale incentivo, da più parti è stato richiesto se, ai fini dell’operatività della norma, la restituzione possa trovare applicazione anche nelle ipotesi in cui l’assunzione successiva avvenga con contratto di apprendistato.

Dopo gli opportuni approfondimenti e considerato l’impianto normativo di riferimento, il Messaggio chiarisce che l’applicabilità della disposizione in oggetto sembra di possibile applicazione anche con riguardo all’apprendistato.

Per le modalità di recupero del contributo addizionale dell’1,40%, i datori di lavoro dovranno dunque utilizzare  il già previsto codice causale "L810" - avente il significato di "recupero contributo addizionale art.2, co. 30 L.92/2012" - istituito nell’elemento <CausaleAcredito> di <AltreACredito> di <DatiRetributivi> di Denuncia Individuale del flusso UniEmens.

In merito alla possibilità di instaurare legittimamente contratti di apprendistato con soggetti che abbiano precedentemente prestato la loro attività lavorativa presso il medesimo datore di lavoro, l’Istituto ha invece richiamato le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro con la risposta ad interpello n.8/2007 e con la Circolare n.5/2013.

Contrariamente a quanto dichiarato  nella premessa del Messaggio,  l’Inps è però intervenuto anche su aspetti estranei alla materia contributiva, fornendo un’interpretazione del Decreto Legge n.34/2014 del tutto fuorviante rispetto al contenuto della norma.

L’Istituto ha infatti affermato che con l’entrata in vigore del Decreto, il piano formativo individuale dell’apprendista non deve più necessariamente essere redatto per iscritto, mentre, con riguardo all’apprendistato professionalizzante, la formazione esterna è divenuta facoltativa. A proposito dell’apprendistato finalizzato all’acquisizione di una qualifica o di un diploma professionale, la norma consente ora alle aziende  di erogare al lavoratore un compenso ridotto fino alla soglia del 35% durante le ore di formazione.

Ciò che lascia aperti numerosi dubbi, è l’affermazione  che “il piano formativo individuale dell’apprendista non deve più necessariamente essere redatto per iscritto”.

Si tratta di un’interpretazione che sembra travalicare il contenuto del Decreto Legge, il quale, invece, stabilisce (2) che in sede contrattuale è necessaria la forma scritta del contratto stesso e del patto di prova, vale a dire che, in sede contrattuale, non è più necessario sottoscrivere il piano formativo.

Il senso della locuzione utilizzata dal legislatore appare del tutto diverso rispetto all’interpretazione fornita dall’Inps.

Il Decreto, infatti, non sembra aver cancellato la necessità di un documento che descriva il percorso formativo dell’apprendista, ma ne ha più semplicemente cancellato l’obbligatorietà in coincidenza con la stipulazione tra le parti del  contratto, momento nel quale, come detto, è richiesta solo  la forma scritta del contratto e del patto di prova.

Se l’obbligo di redazione del piano formativo individuale fosse davvero venuto meno, il legislatore avrebbe dovuto provvedere alla cancellazione  del primo comma dell’art. 7 del D.Lgs n.167/2011, in base al quale “ qualora a seguito di attività di vigilanza sul contratto di apprendistato in corso di esecuzione emerga un inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali adotterà un provvedimento di disposizione….” .

Nel lasciare immutato il sistema di accertamento specificatamente riferito al piano formativo, con relativa sanzione in caso di inadempimento,  appare evidente che il Decreto impone ugualmente che  tale documento debba essere redatto per iscritto,  al di là della possibilità di non sottoscriverlo durante la stipulazione del contratto.

La norma non abrogata e quindi tutt’ora vigente, prevede inoltre che la disciplina del contratto di apprendistato sia rimessa esclusivamente “ ad accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale…”. Da ciò è possibile dedurre che nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda, ora come nel futuro, l’adozione del piano formativo, a prescindere da quanto disposto dal Decreto Legge, il suddetto piano  deve essere obbligatoriamente redatto, anche se in un momento diverso da quello della stipulazione del contratto.

Secondo l’interpretazione dell’Inps,  i datori di lavoro potrebbero invece assumere apprendisti senza alcuna determinazione di un percorso formativo.

Sulla base delle riportate incongruità di quanto affermato dall’Istituto con il tenore letterale del Decreto, si consiglia alle azienda di continuare a redigere per iscritto il piano formativo dell’apprendista, quantomeno in via prudenziale.

Valerio Pollastrini


(1)   - limite ridotto al 30% nei primi tre anni di applicazione della legge n. 92/2012;
(2)   – in modifica dell’art.2 del Decreto Legislativo n.167 del 14 settembre 2011;

Al via la riduzione degli stipendi pubblici

Dal 1° maggio 2014 saranno operativi il taglio sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici e la riduzione dei compensi per consulenze e collaborazioni esterne.

Il Decreto Legge di applicazione della “spending review”, attualmente al vaglio  del Consiglio dei Ministri, fissa in 239.181,00 €, corrispondenti al valore dell’assegno spettante al Presidente della Repubblica, il limite invalicabile per le retribuzioni pubbliche.

La decurtazione dei compensi, oltre  i dirigenti pubblici, dovrebbe riguardare tutti coloro che  ricevono retribuzioni o emolumenti a carico della finanza pubblica nell'ambito di rapporti di lavoro  subordinato o autonomo, con pubbliche amministrazioni o società partecipate.

Il tetto dell'appannaggio del Presidente della Repubblica sarà applicato anche in caso di cumulo di più incarichi, pure se occasionali, e sarà esteso ai componenti dei consigli di amministrazione, nonché agli organi di direzione e controllo delle amministrazioni obbligate al taglio.

Dunque, i dirigenti titolari degli incarichi di massimo rilievo, come i segretari generali dei ministeri, i capi dipartimento o i lavoratori ad essi assimilati non potranno mai ricevere  un trattamento economico superiore al suddetto limite.

Il Decreto prevede, inoltre, una diversa modulazione del massimo retributivo secondo tre fasce di reddito, relative rispettivamente:

-         ai  dirigenti di prima fascia con incarichi non apicali;
-         ai dirigenti di seconda fascia;
-         ai dirigenti i cui incarichi siano assimilabili;

Quanto alla specifica determinazione del limite retributivo, per ciascuna delle citate tipologie dirigenziali il tetto dell’assegno spettante al capo dello Stato sarà diversamente ridotto.

Per il futuro, eventuali incrementi del compenso del Presidente della Repubblica si tradurranno in un innalzamento dei tetti stipendiali solo se recepiti dalla contrattazione collettiva.

Entro 30 giorni dall’entrata in vigore del Decreto Legge in commento, e comunque a partire dal primo maggio, anche le retribuzioni in favore dei componenti degli organi costituzionali, come Parlamento e Corte Costituzionale, e gli organi di autogoverno della magistratura saranno adeguate secondo i nuovi parametri.

La norma, sembra inoltre  prospettare un taglio anche per i dirigenti c.d. “a contratto” reclutati dai dipendenti in aspettativa o fuori ruolo della medesima amministrazione conferente l'incarico. Costoro non potranno ricevere un trattamento economico complessivamente superiore a quello in godimento, incrementato del 25%.

Ai fini previdenziali, le riduzioni dei trattamenti retributivi dovrebbero operare con riferimento all'anzianità contributiva maturata a decorrere dalla vigenza del Decreto.

Valerio Pollastrini

Se il datore è insolvente il Tfr è garantito dall’Inps anche senza fallimento

Nella sentenza n.7585 del 1° aprile 2011 la Corte di Cassazione ha chiarito che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il pagamento del trattamento di fine rapporto maturato dal dipendente deve essere erogato dal Fondo di Garanzia dell’Inps, anche se non sussiste tecnicamente il fallimento del datore di lavoro ma questi si dimostri insolvente.

Per la  Suprema Corte, in caso di insolvenza  nel pagamento del trattamento di fine rapporto,  l’INPS deve sostituirsi al datore di lavoro anche nel caso in cui non sia possibile pronunciare concretamente il fallimento dell’azienda.

In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, il comma 5 dell’articolo 2 della legge 297/82  sancisce che,  qualora il datore di lavoro  non adempia all’erogazione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale, il lavoratore  può chiedere all’apposito Fondo istituito presso l’Inps il pagamento della prestazione, sempre che, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti.

Il caso in commento è giunto all’attenzione delle Cassazione, dopo il discorde parere enunciato nei primi due gradi di giudizio. Dopo che il Tribunale, in assenza  della dichiarazione di fallimento da parte del datore di lavoro inadempiente, aveva escluso l’intervento del Fondo in favore  di una lavoratrice, la Corte di Appello aveva invece accolto la domanda della ricorrente.

Confermando quanto disposto dalla Corte territoriale, la Cassazione ha esteso la tutela in oggetto anche nei   casi di insolvenza accertati con modalità ed in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali.

Valerio Pollastrini

Ad Imola un’agenzia per il collocamento degli italiani all’estero

Sono sempre di più gli italiani disposti a trasferirsi all’estero in cerca di lavoro.

La “T-Island” di Imola, azienda specializzata nel reclutamento di personale per aziende straniere, dal primo marzo 2014 ha già ricevuto oltre 500 curricula.

I candidati tipo  hanno in media 36 anni e possono vantare un'esperienza lavorativa di almeno di 6 anni.

Le domande ricevute dall’Agenzia riguardano sia  competenze professionali di alto livello, come ingegneri o medici, che  quelle per le quali non è richiesto un particolare titolo di studio, come cuochi o panettieri.

La “T-Island” ha aperto contatti con 76 aziende straniere, la cui dislocazione varia tra quattro continenti. A quanto pare, sembra, ad esempio, che gli infermieri italiani siano molto ricercati negli Emirati Arabi, mentre negli Stati Uniti è molto forte la richiesta dei nostri  medici.

Valerio Pollastrini

Esclusa la responsabilità del datore di lavoro per il danno procurato al dipendente dal sovraccarico di lavoro

Nella sentenza n.8804 del 15 aprile 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito  che la sola insorgenza della malattia del dipendente durante il rapporto di lavoro non è sufficiente ad attestare la responsabilità del datore per la violazione degli obblighi imposti dall'art. 2087 cod. civ., richiedendosi, a tal fine, che l'evento sia ricollegabile ad un comportamento colposo dell'imprenditore che, per negligenza, abbia determinato le condizioni dalle quali sia scaturita l'infermità.

Il caso giunto all’esame della Suprema Corte è quello di un dipendente della Regione che aveva ritenuto l’infarto subito una conseguenza del sovraccarico di lavoro, delle vessazioni di un superiore gerarchico configuranti "mobbing" e della sottoposizione a procedimenti penali collegati all'attività lavorativa, in seguito archiviati, e, pertanto riconducibile,   ex art. 2087 c.c., alla responsabilità dell’Ente.

Dopo il rientro sul posto di lavoro dopo un'assenza per malattia, non avendo l’Ente provveduto sottoporlo ad accertamenti medici  di controllo, il lavoratore si era sottoposto a due diverse visite presso la USL, che ne avevano accertato un'invalidità del 50% .

Accertata la sua diminuzione della capacità lavorativa, il ricorrente aveva rifiutato  il collocamento in mansioni inferiori propostogli dal datore di lavoro, il quale, successivamente, lo aveva dispensato dal servizio e  collocato illegittimamente a riposo anzitempo per inabilità fisica.

Per tali motivi il dipendente si era rivolto al giudice del lavoro, chiedendo la condanna della Regione al risarcimento dei danni biologico, da lucro cessante, da mobbing, morale, nonché quello alla vita di relazione.

All'esito della prova testimoniale, anche in virtù del parere espresso dalla disposta Ctu medico-legale, il Tribunale aveva però rigettato il ricorso. Successivamente, la sentenza di primo grado  era stata confermata dalla Corte di Appello.

Investita della questione, la Cassazione ha affermato che la Corte di merito  avesse correttamente argomentato che, per la valutazione di responsabilità datoriale nella determinazione dei danni, non sia richiesta un’indagine sull'assolvimento degli adempimenti imposti dal D.Lgs 626 a titolo generale e preventivo. L’analisi deve invece riguardare il rispetto degli obblighi di tutela e prevenzione posti a carico del datore di lavoro nei confronti del singolo dipendente.

Nel caso in esame, dall’istruttoria non erano emerse  delle modifiche al processo produttivo che avrebbero imposto una revisione del documento di valutazione dei rischi.

La patologia che aveva determinato l'assenza del dipendente era risultata, infatti, di natura multifattoriale e dunque non automaticamente ricollegabile a specifiche caratteristiche di pericolosità intrinseche nell'attività svolta.

In assenza di evidenze epidemiologiche, di segnalazioni o indicazioni da parte dei lavoratori interessati,  la Cassazione ha escluso che, in forza di legge, possa essere imposto al datore di lavoro una specifica analisi del documento di valutazione sui rischi delle possibili cause del correlato stress da lavoro.

Inoltre la Corte d'Appello aveva correttamente escluso la supposta responsabilità dell’Ente dopo averne accertato una condotta conforme al dovere di protezione del dipendente, perfezionata attraverso l’assegnazione del ricorrente  a nuovi compiti, rimodulati dopo la visita della Commissione medica ed in considerazione di quanto da essa accertato, con la revoca degli incarichi di responsabilità.

Nel rispetto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte ha poi ribadito che la responsabilità del datore di lavoro per la violazione degli obblighi sanciti dall'art. 2087 cod. civ. non ricorre per la sola insorgenza della malattia del lavoratore durante il rapporto di lavoro, richiedendosi, altresì, che l'evento sia ricollegabile ad un comportamento colposo dell'imprenditore che, per negligenza, abbia determinato uno stato di cose produttivo dell'infermità.

Valerio Pollastrini

sabato 19 aprile 2014

I contratti a tempo indeterminato saranno più convenienti di quelli a termine

Nel corso di un “videoforum” trasmesso da Repubblica.it, il Ministro del lavoro Giuliano Poletti ha reso nota l’intenzione di rimodulare gli oneri contributivi dei contratti a tempo indeterminato, che, secondo i propositi, dovrebbero attestarsi su un valore inferiore almeno del 10% rispetto a quello dei contratti a termine.

Attualmente, infatti,  la maggiorazione contributiva prevista per i rapporti a tempo determinato è solamente dell'1,4%.

Le disposizioni contenute nel Jobs Act, prevedono un “restyling” delle diverse fattispecie contrattuali,  che tenga conto della necessità di utilizzare i contratti temporanei per  lavori stagionali  ed i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, salvaguardando l’equilibrio dei costi per  le varie ipotesi.

Ricordando come l’apposita Legge Delega si trovi ora al vaglio del Parlamento, il Ministro ha affermato che il Senato, già in possesso del testo, potrebbe già avviare il lavoro di istruttoria.

Ricevuta l’approvazione dalle Camere, il Governo ha stimato che nei 6 mesi successivi riuscirà a chiudere la partita.

Se tutti i termini venissero rispettati, le misure contenute nel  Jobs Act dovrebbero dunque essere operative entro i primi sei mesi del 2015.

Valerio Pollastrini

La maternità giustifica lo scostamento dagli studi di settore

Con l’Ordinanza n.8706 del 15 aprile 2014, la Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento dell’accertamento spiccato a carico di una professionista neo-mamma per lo scostamento del reddito dichiarato dallo studio di settore.

La Suprema Corte ha motivato la propria decisione in considerazione dell’assodato dato di fatto che la gestione dei neonati impone delle cure parentali che, inevitabilmente,  si ripercuotono  sul lavoro, riducendone i tempi di impiego.

Nel caso di specie la donna aveva contestato l’atto emesso dall’Agenzia delle Entrate, rilevando che l’infarto subito dal marito e le cure dedicate al bambino in seguito al recente parto, avevano inciso negativamente sulla sua attività lavorativa.

Ignorando le  controdeduzioni prodotte dalla lavoratrice, l’Ufficio aveva  emesso ugualmente l’atto impositivo.

Nei  primi due gradi di giudizio, sia la  Commissione Tributaria Provinciale che la Commissione Tributaria Regionale, avevano però accolto il ricorso della professionista.

Contro tali pronunce,  l’Agenzia delle Entrate aveva adito la Cassazione, lamentando, in particolare, la circostanza che il figlio della contribuente sarebbe nato in realtà l’anno precedente rispetto a quello dell’accertamento.

A proposito di tale doglianza, la Suprema Corte ha precisato come nella sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale, era stato riportato   che il figlio fosse nato nel 2002, stesso anno dell’accertamento,  e che l’Agenzia, non aveva precisato nel ricorso  dove e come, in sede di merito, l’Ufficio avesse indicato un diverso anno di nascita del bambino.

La Cassazione ha quindi concluso rigettando il ricorso.

Valerio Pollastrini

In assenza di procura, l’impugnazione del licenziamento non può essere sottoscritta dal solo legale

Nella sentenza n.8197 dell’8 aprile 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che la lettera per l’impugnazione del licenziamento, non può recare la sola  firma dell’avvocato del lavoratore.

Per la validità dell’impugnazione, è necessario, infatti, che la comunicazione sia preceduta da apposita procura o da un atto di ratifica rilasciati dal soggetto interessato.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato l’irrilevanza delle   osservazioni con le quali il ricorrente aveva dedotto la sicura riferibilità alla sua volontà dell'impugnativa sottoscritta dal solo legale.

La Suprema Corte ha infatti ricordato che l’atto di impugnazione può essere emesso anche da un rappresentante del lavoratore, purché investito del relativo potere attraverso un’apposita procura rilasciata in forma scritta in data certa ed anteriore alla scadenza del termine di decadenza.

Quello in oggetto si configura infatti come un  atto unilaterale tra vivi a contenuto patrimoniale, al quale  debbono  applicarsi le disposizioni che regolano i contratti, tra le quali, la norma di cui all'art. 1392 cod. civ., che estende alla procura la forma prescritta per il contratto che dovrà essere concluso dal rappresentante.

La  retroattività della ratifica, sancita dalla  richiamata disposizione codicistica, risulta incompatibile con gli atti unilaterali che devono essere compiuti entro un termine perentorio e con gli atti interruttivi della prescrizione.  L’esigenza della certezza richiesta dalla fissazione dei termini prescrizionali e per quelli di decadenza non sono infatti conciliabili con l'instaurazione di una situazione di pendenza suscettibile di protrarsi in maniera indeterminata, ben oltre la loro scadenza.

Accertata l’assenza di una preventiva procura scritta, la Cassazione ha ritenuto non valida l'impugnazione del licenziamento promossa dal difensore del lavoratore.

Valerio Pollastrini

Decreto Lavoro – Le novità apportate dopo l’esame degli emendamenti

La Commissione Lavoro della Camera ha concluso in questi giorni l'esame dei circa 300 emendamenti  promossi sul D.L. n.34/2014 (1),  che, ricordiamo, ha recentemente introdotto  le prime disposizioni del c.d. Jobs Act.

Il testo è ora all’esame dell’aula, che si concluderà al Senato  con la probabile questione di fiducia posta dal Governo.

In particolare, è stato approvato  l’emendamento promosso dal Partito Democratico, che  ha ridotto le possibilità di proroga per i contratti a termine che,  sempre nell'arco di 36 mesi, passeranno da 8 a 5 volte.

In materia di contratti a tempo determinato e di apprendistato, è stato disposto che le  modifiche introdotte dal Decreto avranno validità  solamente per i rapporti costituiti successivamente alla sua entrata in vigore.

Un altro emendamento ha poi previsto per il datore che abbia in corso rapporti di lavoro a termine comportanti il superamento del limite del 20 % dei dipendenti a tempo indeterminato, la possibilità di adeguarsi  entro il 31 dicembre 2014. In caso contrario, successivamente alla scadenza del termine, l’azienda non potrà stipulare nuovi contratti a tempo determinato fino a quando il richiamato limite percentuale non risulti rispettato.

Per quanto riguarda gli aspetti sanzionatori, i lavoratori a termine assunti in violazione della citata quota del 20% dei dipendenti con il posto fisso,  verranno  considerati a tempo indeterminato sin dalla data di inizio del rapporto.

La Commissione ha infine approvato un  emendamento in base al quale,  al momento della stipulazione di un contratto a termine,  il datore di lavoro avrà l’obbligo di informare per iscritto il lavoratore del suo diritto di precedenza in caso di successive assunzioni a tempo indeterminato.

Valerio Pollastrini


(1)   – c.d. Decreto Lavoro;