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mercoledì 23 aprile 2014

I limiti dell’efficacia probatoria dei verbali ispettivi

Nella  sentenza n.4462 del 25 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito i limiti nei quali si esplica l’efficacia probatoria  del verbale ispettivo attestante l’omessa registrazione del dipendente da parte del datore di lavoro.

Il caso di specie è giunto dinnanzi alla Suprema Corte dopo che la Commissione Tributaria Regionale di Bologna aveva rigettato l’appello, proposto da una società nei confronti dell’Agenzia delle Entrate,  contro la pronuncia con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Rimini aveva accolto solo parzialmente il ricorso avverso l’avviso di irrogazione di sanzioni relative all’omessa registrazione sui libri paga e matricola di una dipendente, disponendo il ricalcolo delle sanzioni limitatamente al periodo compreso fra il 16 giugno 2002 ed il 26 agosto 2002.

L’azienda aveva adito la Cassazione, denunciando  in primis difetto di giurisdizione in relazione a  quanto enunciato dalla Corte Costituzionale (1) a proposito dell’incostituzionalità dell’art. 2 del D.Lgs. n.546/1992 nella parte in cui include nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie anche le controversie aventi ad oggetto le sanzioni amministrative di natura non tributaria comunque irrogate da uffici finanziari, poiché tale giurisdizione è consentita soltanto se il rapporto sottostante ha natura tributaria.

Nell’escludere il fondamento della censura, la Cassazione ha preliminarmente richiamato  il principio (2) in base quale i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda. Gli ermellini hanno ricordato come tale principio si riferisca esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità. Ciò, tuttavia,  ha valore purché sulla giurisdizione non si sia formato il giudicato o non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti.

La Suprema Corte ha però dichiarato come, dal momento che il giudice di primo grado, pronunciandosi nel merito, aveva implicitamente affermato la propria giurisdizione, senza che quest’ultima fosse stata contestata in appello, nel caso di specie trova applicazione l’altro principio, secondo il quale la relativa questione risulta ormai coperta da giudicato implicito (3).

Un altro motivo di doglianza era stata la conferma, da parte del giudice del merito, della data di assunzione della lavoratrice secondo a quanto riportato nel verbale di accertamento ispettivo dell’INPS.

Secondo il datore di lavoro, la pronuncia impugnata avrebbe trascurato che i verbali ispettivi, qualora non formino piena prova relativamente all’intero accertamento, non sarebbero idonei a provarne una singola parte, a maggior ragione quando l’azienda vi abbia fatto acquiescenza senza riserve, come nel caso in esame.

Ritenuta infondata anche questa contestazione, la Cassazione ha ribadito quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in merito  ai verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali, che, al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali,  fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata  non può essere estesa alla verità sostanziale delle dichiarazioni, ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (4).

Per quanto concerne la veridicità delle dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, inoltre, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento, addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non ricade (5).

Contrariamente a quanto sostenuto dall’azienda, pertanto, sussistendo soltanto nei limiti anzidetti l’idoneità probatoria dei verbali ispettivi, non può pretendersi che le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali debbano essere accolte o disattese nella loro interezza.

In base alle richiamate motivazioni, la Cassazione ha concluso  rigettando il ricorso, con conseguente condanna  dell’azienda al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 € per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Corte Cost., Sentenza n.130/2008;
(2)   - Cass.S.U., Sentenza n.19495 del 16 luglio 2008;
(3)   - Cass., Sentenza  n.19475/2012; Cass. S.U., Sentenza n.24883/2008; Cass., Sentenza n.19792/2001; Cass. S.U., Sentenza n.27531/2008;
(4)   - Cass.S.U., Sentenza n.12545/1992; Cass., Sentenza n.17355/2009;
(5)   - Cass., Sentenza n.1786/2000; Cass., Sentenza n.1786/1998; Cass., Sentenza n.6110/1998; Cass., Sentenza n.3973/1998; Cass., Sentenza n.6847/1987;

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