Per
la validità dell’impugnazione, è necessario, infatti, che la comunicazione sia
preceduta da apposita procura o da un atto di ratifica rilasciati dal soggetto
interessato.
Nel
caso di specie, la Suprema Corte ha confermato l’irrilevanza delle osservazioni
con le quali il ricorrente aveva dedotto la sicura riferibilità alla sua
volontà dell'impugnativa sottoscritta dal solo legale.
La
Suprema Corte ha infatti ricordato che l’atto di impugnazione può essere emesso
anche da un rappresentante del lavoratore, purché investito del relativo potere
attraverso un’apposita procura rilasciata in forma scritta in data certa ed
anteriore alla scadenza del termine di decadenza.
Quello
in oggetto si configura infatti come un atto unilaterale tra vivi a contenuto
patrimoniale, al quale debbono applicarsi le disposizioni che regolano i
contratti, tra le quali, la norma di cui all'art. 1392 cod. civ., che estende
alla procura la forma prescritta per il contratto che dovrà essere concluso dal
rappresentante.
La
retroattività della ratifica, sancita
dalla richiamata disposizione
codicistica, risulta incompatibile con
gli atti unilaterali che devono essere compiuti entro un termine perentorio e
con gli atti interruttivi della prescrizione. L’esigenza della certezza richiesta dalla fissazione
dei termini prescrizionali e per quelli di decadenza non sono infatti conciliabili
con l'instaurazione di una situazione di pendenza suscettibile di protrarsi in
maniera indeterminata, ben oltre la loro scadenza.
Accertata
l’assenza di una preventiva procura scritta, la Cassazione ha ritenuto non
valida l'impugnazione del licenziamento promossa dal difensore del lavoratore.
Valerio
Pollastrini
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