La
Suprema Corte ha motivato la propria decisione in considerazione dell’assodato
dato di fatto che la gestione dei neonati impone delle cure parentali che,
inevitabilmente, si ripercuotono sul lavoro, riducendone i tempi di impiego.
Nel
caso di specie la donna aveva contestato l’atto emesso dall’Agenzia delle
Entrate, rilevando che l’infarto subito dal marito e le cure dedicate al
bambino in seguito al recente parto, avevano inciso negativamente sulla sua
attività lavorativa.
Ignorando
le controdeduzioni prodotte dalla
lavoratrice, l’Ufficio aveva emesso ugualmente
l’atto impositivo.
Nei
primi due gradi di giudizio, sia la Commissione Tributaria Provinciale che la
Commissione Tributaria Regionale, avevano però accolto il ricorso della
professionista.
Contro
tali pronunce, l’Agenzia delle Entrate
aveva adito la Cassazione, lamentando, in particolare, la circostanza che il
figlio della contribuente sarebbe nato in realtà l’anno precedente rispetto a
quello dell’accertamento.
A
proposito di tale doglianza, la Suprema Corte ha precisato come nella sentenza
emessa dalla Commissione Tributaria Regionale, era stato riportato che il
figlio fosse nato nel 2002, stesso anno dell’accertamento, e che l’Agenzia, non aveva precisato nel
ricorso dove e come, in sede di merito,
l’Ufficio avesse indicato un diverso anno di nascita del bambino.
La
Cassazione ha quindi concluso rigettando il ricorso.
Valerio
Pollastrini
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