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MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


venerdì 9 gennaio 2015

Agevolate le assunzioni delle donne effettuate nel 2015

L’articolo 4, comma 11, della Legge n.92/2012 ha previsto un particolare incentivo per le assunzioni  di donne effettuate nell’ambito di settori o professioni caratterizzati da un tasso di disparità di genere superione del 25% rispetto al valore medio.

Nello specifico, in caso di assunzione con contratto a tempo determinato, i datori di lavoro avranno diritto ad una  riduzione  del  50  per  cento  dei contributi a carico dell’azienda per la durata massima di dodici mesi, che verranno prolungati a diciotto se il rapporto sarà  trasformato  a tempo indeterminato.

Qualora l'assunzione sia stata, invece, effettuata direttamente con contratto  a  tempo  indeterminato,  lo sgravio  spetterà  per diciotto mesi.

Con Decreto dello scorso 22 dicembre, il Ministero del Lavoro ed il Ministero delle Finanze hanno individuato i settori e le professioni ammessi allo sgravio per le assunzioni di donne lavoratrici effettuate nel corso del 2015.


Settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna superiore al valore medio di almeno il 25%

Settore
Agricoltura
Agricoltura
Industria
Costruzioni
Industrie estrattive
Acqua e gestione rifiuti
Industria energetica
Industria manifatturiera
Servizi
Trasporto e magazzinaggio
Informazione e comunicazione
Servizi generali della P.A.


Professioni caratterizzate da un tasso di disparità uomo-donna superiore al valore medio di almeno il 25 %
 

Professione
Sergenti, sovraintendenti e marescialli delle forze armate
Conduttori di veicoli, di macchinari mobili e di sollevamento
Artigiani e operai specializzati dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici
Ufficiali delle forze armate
Artigiani ed operai metalmeccanici specializzati e installatori e manutentori di attrezzature elettriche ed elettroniche
Truppa delle forze armate
Agricoltori e operai specializzati dell’agricoltura, delle foreste, della zootecnica, della pesca e della caccia
Conduttori di impianti industriali
Professioni tecniche in campo scientifico, ingegneristico e della produzione
Imprenditori, amministratori e direttori di grandi aziende
Ingegneri, architetti e professioni assimilate
Professioni non qualificate nella manifattura, nell’estrazione di minerali e nelle costruzioni
Specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali
Imprenditori e responsabili di piccole aziende
Artigiani ed operai della meccanica di precisione, dell’artigianato artistico, della stampa ed assimilati
Professioni non qualificate nell’agricoltura, nella manutenzione del verde, nell’allevamento, nella silvicoltura e nella pesca
Operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti al montaggio
Operatori di macchinari fissi in agricoltura e nell’industria alimentare
Artigiani ed operai specializzati delle lavorazioni alimentari, del legno, del tessile, dell’abbigliamento, delle pelli, del cuoio e dell’industria dello spettacolo
Membri dei corpi legislativi e di governo, dirigenti ed equiparati dell’amministrazione pubblica, nella magistratura, nei servizi di sanità, istruzione e ricerca e nello organizzazioni di interesse nazionale e sovranazionale
Specialisti della salute
Specialisti in scienze umane, sociali, artistiche e gestionali


Valerio Pollastrini

Addetto al call center: accertamento della natura del rapporto

Nella sentenza n.66 dell’8 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha avuto modo di riepilogare i criteri di valutazione per la corretta qualificazione del rapporto di lavoro degli operatori di call-center.

Nella pronuncia in commento, infatti, la Suprema Corte ha ricordato che il concreto espletamento delle prestazioni, rese  in orari giornaliero e settimanale predeterminati, a fronte di una retribuzione mensile, costituisce, di per sé, un quadro indiziario della subordinazione.

In particolare, gli ermellini hanno precisato che, per accertare l’effettiva natura del rapporto, il giudice del merito non può limitarsi ad affermare l’insussistenza formale dei più noti caratteri della subordinazione, quali la sottoposizione al potere gerarchico e disciplinare, i quali, invece, ben potrebbero desumersi proprio dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

Valerio Pollastrini

Situazione di stallo per i decreti attuativi del Jobs Act

Sul fronte dei decreti attuativi del Jobs Act si registra un inatteso ritardo.

Se il provvedimento sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti risulta ancora in standby, il decreto attuativo sulla Naspi è ancora in attesa dell’approvazione da parte della  Ragioneria Generale dello Stato.

Si ricorda, inoltre, che, ottenuto il via libera dalle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, i due decreti dovranno tornare in Consiglio dei Ministri per il varo definitivo, a cui seguiranno la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l'entrata in vigore prevista per il giorno successivo.

Più problematica, allo stato attuale, è la situazione relativa al decreto sul riordino degli ammortizzatori sociali, per il quale la Ragioneria ha mosso alcuni rilievi sulla copertura finanziaria.

Per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, infatti, il governo ha previsto una spesa di 2,2 miliardi, basandosi sulle previsioni del tasso di disoccupazione stimate nel Def, pari, rispettivamente, al 12,5% per il 2015, al 12,1%  per il 2016 ed all’11,6% per il 2017.

A non convincere i tecnici della Ragioneria sono proprio le stime sul 2017, in relazione alle quali è stato paventato il timore che le risorse prefissate non siano sufficienti per assicurare la copertura della Naspi, atteso l’ampliamento progressivo della platea dei beneficiari prevista  nel corso del triennio.

Valerio Pollastrini

mercoledì 7 gennaio 2015

Mancato rispetto delle direttive aziendali per ragioni fisiche

Nella sentenza n.27240/2014, la Corte di Cassazione ha precisato che determinate ragioni di carattere fisico consentono al dipendente di disattendere  le direttive aziendali sulla postura corretta per l’espletamento della prestazione.

Nel caso di specie, una lavoratrice era stata licenziata per aver violato le indicazioni con le quali l'azienda l’aveva invitata a svolgere le proprie mansioni in posizione eretta.

A causa delle sue particolari condizioni fisiche, infatti, la donna, pur svolgendo interamente i compiti assegnatigli, era stata costretta ad alternare  la posizione eretta a quella seduta.

Proprio in considerazione dello stato fisico della lavoratrice, la Corte di Appello di Brescia aveva ritenuto illegittimo il recesso, avendo altresì appurato, attraverso le prove testimoniali, che le mansioni rese dalla stessa potevano essere svolte correttamente anche in posizione seduta.

Avverso questa sentenza, conclusasi con la condanna dell’azienda  a reintegrare in servizio la  dipendente ed a corrisponderle le retribuzioni nel frattempo maturate, la società aveva adito la Cassazione.

Nel confermare quanto disposto dalla Corte territoriale, gli ermellini hanno precisato che l’impugnata pronuncia risultava fondata anche sulle risultanze di una consulenza tecnica medico legale d'ufficio che aveva ribadito la possibilità di svolgere in maniera corretta le predette mansioni anche stando seduti.

Di conseguenza, la Cassazione ha concluso negando  che nella condotta posta in essere dalla lavoratrice  potessero ravvisarsi gli estremi per il suo licenziamento.

Valerio Pollastrini

Trasmissibile agli eredi il diritto agli arretrati degli assegni familiari del lavoratore deceduto

Nell’ordinanza n.27382 depositata il 23 dicembre 2014, la Corte di Cassazione ha precisato che il diritto agli assegni familiari si trasmette agli eredi anche se il lavoratore defunto non li abbia mai richiesti all'Inps.

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte ha confermato quanto disposto dal Tribunale del merito, che aveva accolto la domanda degli eredi nonostante la parente deceduta non avesse mai presentato la domanda per il pagamento degli assegni per il nucleo familiare a cui, in ogni caso, aveva diritto.

Investiti della questione, gli ermellini hanno ricordato che per maturare il diritto al trattamento  in commento all’assicurato è richiesto il solo possesso dei requisiti di legge.

Si tratta di un diritto che, pertanto, sorge indipendentemente dalla presentazione della relativa domanda, la cui funzione è unicamente quella di avviare la procedura di liquidazione.

Da ciò discende, a detta della Cassazione, che  qualora l’avente diritto alla prestazione previdenziale muoia senza aver presentato l’apposita istanza all’Inps,  detta omissione non può essere considerata una sua rinuncia agli assegni.

Di conseguenza, in simili casi il diritto agli assegni per il nucleo familiare deve ritenersi già acquisito nel patrimonio del defunto e, come tale, trasmissibile agli eredi, i quali, pertanto, hanno la possibilità di presentare la relativa domanda all’Istituto Previdenziale.

Valerio Pollastrini

lunedì 5 gennaio 2015

Licenziamento per soppressione del posto di lavoro e obbligo di repechage

Nell’Ordinanza del 27 ottobre 2014, il Tribunale di Roma ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad una dipendente a causa della soppressione della sua posizione lavorativa, nonostante, un mese prima del recesso, l’azienda avesse assunto un altro soggetto per l’espletamento di mansioni analoghe.

Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva licenziato  l’addetta all’ufficio paghe, adducendo, quale ragione del recesso, la soppressione dell’intero reparto.

Nel contestare la veridicità della motivazione, la donna aveva convenuto in giudizio l’azienda, lamentando che, quand’anche la predetta esternalizzazione fosse realmente avvenuta, circostanza, tra l’altro, contestata nella lettera con la quale aveva impugnato il recesso, il datore di lavoro avrebbe dovuto  offrirle un impiego in posizioni alternative all’interno dell’azienda.

Investito della questione, il Tribunale ha preliminarmente accertato la reale sussistenza della riorganizzazione aziendale, circostanza confermata da un contratto di outsourcing con il quale il datore di lavoro aveva affidato ad un terzo la gestione del servizio.

Ciò rilevato, il giudice ha quindi affrontato la questione inerente al supposto obbligo di repechage, ricordando come il datore di lavoro che intenda licenziare per giustificato motivo oggettivo abbia l’onere di provare di non potere adibire il dipendente ad una mansione diversa da quella per la quale era stato assunto, anche inferiore, qualora trovasse il consenso dell’interessato.

In simili casi, l’onere probatorio del datore di lavoro, concernendo un fatto negativo, deve essere assolto dimostrando l’esistenza di correlativi fatti positivi, come, ad esempio, la circostanza che, al tempo del recesso, i residui posti di lavoro fossero stabilmente occupati o che, dopo il licenziamento, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione, intendendosi come tale un’assunzione a tempo indeterminato.

Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, è proprio la durata del contratto instaurato con il nuovo assunto ad assumere rilevanza.

Nella vicenda in commento, infatti, il Tribunale ha optato per la legittimità del recesso proprio perché il nuovo lavoratore era stato assunto con un contratto a tempo determinato.

Parimenti irrilevante, inoltre, è stato ritenuto il mancato repechage, poiché il datore, benché all’epoca dell’instaurazione del nuovo rapporto fosse consapevole della sua esigenza organizzativa, non poteva proporre anche alla ricorrente un’assunzione a termine, quale alternativa al licenziamento.

Valerio Pollastrini

La nuova disciplina dei licenziamenti

Lo schema di decreto legislativo approvato lo scorso 24 dicembre dal Consiglio dei Ministri in applicazione del Jobs Act, oltre alla regolamentazione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, ha configurato la nuova disciplina sui licenziamenti, che sarà applicabile ai rapporti instaurati dopo la data di entrata in vigore della norma.

Ambito di applicazione
Rispetto al passato,  destinatari del nuovo regime sui licenziamenti   saranno  tutti i datori di lavoro, imprenditori e non, e, dunque, anche  partiti politici, sindacati, nonché le istruzioni religiose.

Per quanto riguarda le tutele approntate in favore dei dipendenti, permane, tuttavia, la consueta distinzione legata ai requisiti dimensionali prevista dallo Statuto dei Lavoratori.

Aziende con più di 15 dipendenti
Licenziamenti discriminatori - Nelle ipotesi di recesso discriminatorio, nullo o intimato oralmente, sarà ancora applicabile la c.d. “tutela reale”, in aggiunta alla quale i lavoratori con contratto a tutele crescenti avranno diritto ad un indennizzo commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del recesso sino a quello della effettiva reintegrazione, da cui, però, andrà dedotto “l’aliunde perceptum”, vale a dire il compenso eventualmente percepito per lo svolgimento di altra attività  nel periodo di estromissione.

In ogni caso, la misura di questo risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità

Per tutto il periodo di estromissione e sino all’effettivo reintegro, il datore di lavoro sarà tenuto al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Tuttavia, in sostituzione della reintegrazione, il dipendente avrà la possibilità di porre fine al rapporto di lavoro optando per un'indennità, esente da contribuzione previdenziale, corrispondente a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

L’opzione, però, dovrà essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia giudiziale o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

Licenziamenti illegittimi - Nelle ipotesi di recesso illegittimo, quando, cioè, il licenziamento sia stato intimato  in assenza effettiva di un giustificato motivo o di una giusta causa, il lavoratore potrà richiedere unicamente un risarcimento del danno, il cui importo,  che in ogni caso non potrà essere inferiore a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, risulterà progressivamente aumentato in relazione all’anzianità di servizio, secondo i seguenti parametri: 

Durata del rapporto
Indennizzo
Da 1 a 2 anni
4 mensilità
3 anni
6 mensilità
4 anni
8 mensilità
5 anni
10 mensilità
6 anni
12 mensilità
7 anni
14 mensilità
8 anni
16 mensilità
9 anni
18 mensilità
10 anni
20 mensilità
11 anni
22 mensilità
12 anni
24 mensilità
Fino a 15 anni
24 mensilità

Per le frazioni di anno di anzianità, dette indennità saranno riproporzionate, mentre,  le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni, varranno come mese intero.

Vizi formali e procedurali  - Eventuali vizi formali, come  la mancata indicazione della motivazione ad oggetto del licenziamento, o procedurali, quali il mancato rispetto della procedura di contestazione disciplinare  prevista dall’art.7 della Legge n.300/1970, non inficeranno l’estinzione del rapporto.

In simili casi, infatti, il  datore di lavoro dovrà corrispondere al dipendente la sola indennità, esente da tasse e contributi, pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, che, comunque, non potrà essere inferiore a 2 e superiore a 12 mensilità.

Aziende con meno di 15 dipendenti
Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, commi 8 e 9,  della Legge n.300/1970, ovvero presenti una forza lavoro inferiore a 15 dipendenti, l'ammontare di tutti gli importi ed indennizzi sopra riportati sarà dimezzato. In ogni caso, le indennità risarcitorie non potranno superare il limite massimo di sei mensilità.

Tuttavia, anche  queste aziende saranno gravate dall’onere della reintegrazione nei casi di licenziamento nullo o discriminatorio.

La conciliazione
In aggiunta alle ordinarie ipotesi transattive, lo schema del decreto ha configurato una nuova procedura di conciliazione, applicabile in tutti i casi di licenziamento illegittimo.

Entro i termini previsti per  l’impugnazione stragiudiziale del recesso, infatti, il datore di lavoro potrà  offrire al dipendente un importo, esente da Irpef e contributi, pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. Detto importo, comunque, non potrà essere inferiore a due e  superiore a diciotto mensilità.

Accettando l’offerta, il lavoratore porrà definitivamente fine al rapporto, rinunciando, parimenti, all’impugnazione del licenziamento, ove già proposta.

Tale procedura dovrà essere esperita innanzi alle commissioni di conciliazione o nelle altre sedi già previste dalla legge.

Revoca del licenziamento
Entro quindici giorni dalla comunicazione con la quale il dipendente abbia impugnato il recesso, il datore di lavoro avrà la possibilità di revocare il licenziamento, evitando così il rischio di subire un’eventuale condanna risarcitoria.

Esercitata la revoca, il rapporto di lavoro si considererà ripristinato senza soluzione di continuità, con conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nelle more della sua reintegrazione in servizio.

Appalti
In caso di successione nello stesso appalto di diversi datori di lavoro, ai fini del calcolo delle indennità e degli importi sopra individuati, l’anzianità di servizio del dipendente dovrà essere computata in relazione all’intero periodo nel quale sia stato impiegato nell’attività appaltata.

Valerio Pollastrini

Ammortizzatori sociali: le novità attese nel 2015

Sul fronte degli ammortizzatori sociali, si annuncia un 2015 ricco di novità.

Lo schema del decreto attuativo del Jobs Act, infatti, ha disposto la modifica di istituti consolidati, quali mobilità, cassa integrazione in deroga e indennità di disoccupazione, ed ha introdotto un nuovo sostegno economico in favore dei collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata dell'Inps.

La nuova indennità per Co.co.co. e Co.co.pro.
Per quanto riguarda i lavoratori a progetto,  in attesa della modifica dei contratti di collaborazione che troverà posto in uno dei prossimi decreti delegati, è stata introdotta, per il solo 2015, la “Dis-Coll”, il nuovo sussidio  che sostituirà la c.d. “una tantum”, stabilizzata nel 2013 dalla passata Riforma Fornero.

La Dis-Coll sarà pari al 75% del reddito mensile, qualora questo risulti  uguale o inferiore a 1.195,00 €, mentre, se superiore, l'indennità sarà aumentata fino al raggiungimento del tetto massimo di 1.300,00 €.

La nuova indennità di disoccupazione
Dopo soli due anni dalla sua entrata a regime, l’Aspi, che resterà in vigore fino al prossimo mese di maggio, verrà sostituita dalla “Naspi”, la nuova indennità di disoccupazione che, a partire dal 2017, prenderà il posto anche dell’indennità di mobilità.

Per i lavoratori con meno di 50 anni la durata di questa nuova indennità passerà dagli 8 mesi dell’Aspi a complessivi 10 mesi, per gli over-55 l’aumento sarà da 14 a 16 mesi, mentre per  quelli con un’età compresa tra  i 50 ed i 55 continuerà ad essere pari ad  un anno.

A partire dal 2017, inoltre, la durata massima del sussidio salirà progressivamente  fino a raggiungere i 2 anni  e sarà svincolata dal parametro dell'età anagrafica del richiedente.

Potranno accedere alla Naspi, i dipendenti rimasti privi di impiego che, l’anno prima abbiano lavorato almeno 18 giorni e che nei 4 anni precedenti possano vantare 13 settimane di contribuzione.

L'importo massimo dell’indennità sarà leggermente più alto di quello dell'Aspi, 1.300,00 €  a fronte dei 1.166,00 del 2014, e dopo i primi mesi la riduzione sarà del 3% invece che del 15%.

Per poter fruire  del trattamento, i beneficiari della Naspi dovranno però impegnarsi nella ricerca attiva di un nuovo impiego, attraverso le modalità che verranno fissate in un decreto di prossima emanazione, e partecipare a mirati corsi di formazione e riqualificazione.

Cassa Integrazione in deroga
Altra novità di rilievo per il 2015 è quella relativa alla riduzione, da 11 a 5 mesi, della durata massima della Cig in deroga, destinata a scomparire alla fine di dicembre, lasciando il posto alle prestazioni dei fondi bilaterali di solidarietà.

Valerio Pollastrini

sabato 3 gennaio 2015

E’ discriminatorio il licenziamento intimato in ragione del raggiungimento di una determinata età

Nella sentenza n.13161 del 14 ottobre 2014, il Tribunale di Roma ha ritenuto nullo il recesso intimato ad un dirigente in seguito al raggiungimento dei 65 anni di età, in quanto espressione di un peggiore trattamento rispetto a quello ricevuto dai lavoratori più giovani presenti in azienda.

Nella pronuncia in commento, il giudice del lavoro ha accolto il ricorso proposto da un dirigente avverso l’Ordinanza con la quale lo stesso Tribunale capitolino ne aveva rigettato l’impugnativa del recesso intimatogli in ragione del raggiungimento del 65° anno di età.

Nel dichiarare la nullità del licenziamento, il giudicante ha ordinato la reintegrazione in servizio del lavoratore, con conseguente condanna della società resistente al pagamento  di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra.

Il Tribunale ha così deciso in quanto la ragione addotta per il licenziamento consisteva esclusivamente nel raggiungimento  di una determinata età anagrafica.

Nella lettera con cui era stato intimato il recesso, infatti, il datore di lavoro aveva richiamato soltanto la clausola del contratto collettivo che lo autorizzava  a rescindere il rapporto per ragioni legate all’età.

Secondo il giudice, tuttavia,  un simile recesso costituirebbe un atto di discriminazione diretta ai danni del dirigente,  rispetto ad un altro dipendente più giovane  inquadrato nella stessa posizione.

Si tratta di un’interpretazione resa in virtù del combinato disposto di più norme,  in primis, l’articolo 15 dello Statuto del Lavoratori, ai sensi del quale deve considerarsi nullo qualunque patto o atto diretto a licenziare un lavoratore per ragioni anagrafiche.

L’articolo 3 della Legge n.108/1990, invece, dispone la nullità del licenziamento discriminatorio indipendentemente dalla motivazione addotta, mentre l’articolo 2 del D.Lgs. n.216/2003 ritiene sussistente una discriminazione diretta ogniqualvolta “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale”, una persona venga trattata meno favorevolmente di un’altra in situazione analoga.

In base al quadro normativo appena riepilogato, il Tribunale ha quindi osservato che la disposizione di cui all’art.22 del CCNL dei Dirigenti industriali, la quale consente la risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente qualora questi sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia oppure abbia superato i 65 anni di età, non sarebbe idonea a derogare il divieto di discriminazione per età e a consentire trattamenti differenziati, attesa la natura “indisponibile” dei diritti del lavoratore tutelati dal legislatore.

Sul punto, il Tribunale ha precisato, inoltre, che la citata disposizione contrattuale sarebbe legittima solamente nel caso in cui richiedesse che,  al momento del licenziamento,  il dirigente abbia conseguito  i requisiti per la pensione di vecchiaia.

Tale clausola, invece, autorizzando trattamenti differenziati in ragione dell’età senza alcuna garanzia ai fini dell’accesso alla pensione di vecchiaia, deve ritenersi  nulla.

Valerio Pollastrini

Occupazione: Italia sotto la media Ue

Secondo l’analisi diffusa in questi giorni dal Centro Studi di Confindustria, relativa al periodo 2007/2013, il numero degli occupati nel nostro Paese si attesta ben al di sotto della media registrata nell’Unione Europea.

L’unico elemento positivo è l’aumento, pari ad 1,1 milioni, dei soggetti impiegati con età compresa tra i 55 ed i 64 anni,  frutto, però,  delle conseguenze della  riforma Fornero che, nel 2011, ha ritardato ulteriormente l’uscita dal mercato del lavoro.

Il confronto con le altre nazioni europee ha evidenziato che l’Italia, finora uno dei Paesi con le più basse età pensionabili,  61,4 anni per gli uomini e 61,1 per le donne, nel 2060 toccherà il vertice dell’Unione con 66,8-66,7 anni.

Se nel terzo trimestre del 2007 il tasso di occupazione degli over 55 si attestava al 34,2%, nello stesso periodo del 2014 il dato, pari al 46,9%,  ha registrato un aumento di 12,7 punti percentuali.

Per quanto riguarda l’incremento del tasso di occupazione dei lavoratori “anziani”, l’Italia si colloca al quarto posto. Con un +8,9 punti percentuali, infatti, il nostro Paese si attesta alle spalle di  Germania (+12,2), Polonia (+10,9) e Paesi Bassi (+9,2).

Si tratta di dati che, tuttavia, non ribaltano il trend negativo, basti il confronto del nostro tasso di disoccupazione, pari al 42,7%, contro il 59,8% del Regno Unito, il 60,1% dei Paesi Bassi, il 61,7% della Danimarca, il 63,5% della Germania ed il 73,6%  della Svezia.

I risultati più sconfortanti, però, sono quelli che riguardano i giovani.  Il numero dei lavoratori tra i 25 ed i 34 anni è diminuito, infatti, di 11,2 punti percentuali. Il tasso occupazionale di questi soggetti è sceso dal 70,3% al 59,1%.

Con -9,9 punti percentuali, si tratta della quarta diminuzione più alta registrata in Europa,  dopo quelle di Grecia (-18,8 punti), Spagna (-16,6) ed Irlanda (-10,6).

Valerio Pollastrini

Tfr in busta paga? Si avvicina il momento della scelta

Dal 1° marzo 2015 i lavoratori subordinati potranno esercitare l’opzione per ricevere in busta paga l’importo mensile del trattamento di fine rapporto (1).

I soggetti interessati sono i dipendenti del settore privato in servizio da almeno sei mesi presso il datore di lavoro erogante, i quali, per esercitare l’opzione predetta, avranno tempo fino  al 30 giugno 2018.

Gli unici esclusi saranno gli agricoli ed i lavoratori domestici, nonché le aziende sottoposte a procedure concorsuali e quelle in crisi (2).

In sostanza, con questa modalità di erogazione il Tfr diverrà un'integrazione del compenso mensile, assoggettata al sistema di tassazione ordinaria ed esente da contribuzione previdenziale ed assistenziale.

L’opzione in commento, tuttavia,  rischia di modificare le scelte effettuate in passato dai lavoratori, in quanto la monetizzazione mensile del trattamento di fine rapporto potrà riguardare anche la quota già destinata al fondo pensione complementare.

In ogni caso, la decisione  potrà essere modificata fino al 30 giugno 2018.

Valerio Pollastrini

1)      – Ai sensi dell’articolo 1, comma 26, della Legge n.190/2014;
2)      – Ai sensi dell'articolo 4 della Legge n.297/1982;

Stabilizzati gli 80 euro in busta paga

Come ampiamente annunciato, la Legge di Stabilità 2015 (1) ha disposto la definitiva istituzionalizzazione del bonus Irpef di 80 euro.

Si tratta dell’agevolazione introdotta, in via sperimentale, lo scorso mese di maggio in favore dei lavoratori subordinati e di altri soggetti titolari di alcuni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Nel prossimo anno, in sostanza, il bonus conserverà la stessa struttura di quello erogato nel 2014 e, pertanto, sia i pensionati che i lavoratori autonomi continueranno ad esserne esclusi.

In totale, la misura annuale del credito sarà pari a 960,00 €, a patto però che il reddito complessivo del soggetto beneficiario non superi i 24mila euro.

In presenza di un reddito complessivo  superiore a detta soglia ma inferiore  a 26mila euro, il credito spetterà, infatti, per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 26mila, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 2mila euro.

Dal momento che, per fruire del bonus è necessario, altresì, che l'imposta lorda risulti superiore alla detrazione per redditi di lavoro dipendente ed assimilati,  il credito non spetterà ai soggetti incapienti.

Nel settore privato, gli 80 euro verranno attribuiti automaticamente dai datori di lavoro, i quali potranno recuperarne l’importo portandolo in compensazione sul modello F24.

Diversamente, per gli Enti Pubblici e  le Amministrazione dello Stato, esclusi dalla  compensazione tramite F24, è stata introdotta la possibilità di recuperare il credito attraverso una corrispondente riduzione delle ritenute e dei contributi previdenziali.

Valerio Pollastrini


1)      – Legge n.190 del 23 dicembre 2014;

Il nuovo Isee 2015 disponibile sul sito dell'Inps

A seguito della riforma dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, l’Inps ha predisposto sul proprio portale una nuova area tematica dedicata esclusivamente al rilascio del nuovo ISEE 2015. E’ quanto si apprende nella Circolare n.171, diramata dall’Istituto Previdenziale lo scorso 18 dicembre.

Dal  2 gennaio, pertanto, la nuova versione dell’ISEE è  disponibile sul sito  www.inps.it,  nell’area “Servizi online”.

Rispetto al modello precedente, il nuovo ISEE  presenta differenze sostanziali,  in quanto, oltre ad analizzare in modo più analitico la situazione familiare del richiedente, non potrà più essere utilizzato  per ogni richiesta.

A seconda delle finalità, infatti, saranno necessari formati diversi del modello, che, dunque, avrà una configurazione specifica  per l’iscrizione all’Università dei figli o per la richiesta di accesso alle prestazioni socio-sanitarie.

In altre circostanze, come, ad esempio, a seguito di un licenziamento, sarà poi possibile richiedere un nuovo ISEE di tipo corrente, grazie al quale la situazione del contribuente potrà essere evidenziata in maniera più fedele.

In questa prospettiva, pertanto, l’applicazione che l’Inps ha dedicato al nuovo ISEE 2015 sul portale istituzionale  è suddivisa nelle tre seguenti sezioni:

-         area di acquisizione;

-         area per la gestione delle dichiarazione acquisite;

-         area per la consultazione degli ISEE acquisiti.

Dal menu principale, inoltre, sarà possibile accedere alle ulteriori aree  “Novità”, “Guide e Modulistica per orientare i cittadini e gli operatori di CAF”, “Enti pubblici e previdenziali”.

Per maggiori informazioni, si consiglia di prendere visione del testo integrale della Circolare in commento:


Valerio Pollastrini