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sabato 3 gennaio 2015

E’ discriminatorio il licenziamento intimato in ragione del raggiungimento di una determinata età

Nella sentenza n.13161 del 14 ottobre 2014, il Tribunale di Roma ha ritenuto nullo il recesso intimato ad un dirigente in seguito al raggiungimento dei 65 anni di età, in quanto espressione di un peggiore trattamento rispetto a quello ricevuto dai lavoratori più giovani presenti in azienda.

Nella pronuncia in commento, il giudice del lavoro ha accolto il ricorso proposto da un dirigente avverso l’Ordinanza con la quale lo stesso Tribunale capitolino ne aveva rigettato l’impugnativa del recesso intimatogli in ragione del raggiungimento del 65° anno di età.

Nel dichiarare la nullità del licenziamento, il giudicante ha ordinato la reintegrazione in servizio del lavoratore, con conseguente condanna della società resistente al pagamento  di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra.

Il Tribunale ha così deciso in quanto la ragione addotta per il licenziamento consisteva esclusivamente nel raggiungimento  di una determinata età anagrafica.

Nella lettera con cui era stato intimato il recesso, infatti, il datore di lavoro aveva richiamato soltanto la clausola del contratto collettivo che lo autorizzava  a rescindere il rapporto per ragioni legate all’età.

Secondo il giudice, tuttavia,  un simile recesso costituirebbe un atto di discriminazione diretta ai danni del dirigente,  rispetto ad un altro dipendente più giovane  inquadrato nella stessa posizione.

Si tratta di un’interpretazione resa in virtù del combinato disposto di più norme,  in primis, l’articolo 15 dello Statuto del Lavoratori, ai sensi del quale deve considerarsi nullo qualunque patto o atto diretto a licenziare un lavoratore per ragioni anagrafiche.

L’articolo 3 della Legge n.108/1990, invece, dispone la nullità del licenziamento discriminatorio indipendentemente dalla motivazione addotta, mentre l’articolo 2 del D.Lgs. n.216/2003 ritiene sussistente una discriminazione diretta ogniqualvolta “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale”, una persona venga trattata meno favorevolmente di un’altra in situazione analoga.

In base al quadro normativo appena riepilogato, il Tribunale ha quindi osservato che la disposizione di cui all’art.22 del CCNL dei Dirigenti industriali, la quale consente la risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente qualora questi sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia oppure abbia superato i 65 anni di età, non sarebbe idonea a derogare il divieto di discriminazione per età e a consentire trattamenti differenziati, attesa la natura “indisponibile” dei diritti del lavoratore tutelati dal legislatore.

Sul punto, il Tribunale ha precisato, inoltre, che la citata disposizione contrattuale sarebbe legittima solamente nel caso in cui richiedesse che,  al momento del licenziamento,  il dirigente abbia conseguito  i requisiti per la pensione di vecchiaia.

Tale clausola, invece, autorizzando trattamenti differenziati in ragione dell’età senza alcuna garanzia ai fini dell’accesso alla pensione di vecchiaia, deve ritenersi  nulla.

Valerio Pollastrini

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