Nella
pronuncia in commento, il giudice del lavoro ha accolto il ricorso proposto da
un dirigente avverso l’Ordinanza con la quale lo stesso Tribunale capitolino ne
aveva rigettato l’impugnativa del recesso intimatogli in ragione del
raggiungimento del 65° anno di età.
Nel
dichiarare la nullità del licenziamento, il giudicante ha ordinato la
reintegrazione in servizio del lavoratore, con conseguente condanna della
società resistente al pagamento di
un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto,
dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra.
Il
Tribunale ha così deciso in quanto la ragione addotta per il licenziamento
consisteva esclusivamente nel raggiungimento di una determinata età anagrafica.
Nella
lettera con cui era stato intimato il recesso, infatti, il datore di lavoro
aveva richiamato soltanto la clausola del contratto collettivo che lo autorizzava a rescindere il rapporto per ragioni legate all’età.
Secondo
il giudice, tuttavia, un simile recesso
costituirebbe un atto di discriminazione diretta ai danni del dirigente, rispetto ad un altro dipendente più giovane inquadrato nella stessa posizione.
Si
tratta di un’interpretazione resa in virtù del combinato disposto di più norme,
in
primis, l’articolo 15 dello Statuto del Lavoratori, ai sensi del quale deve
considerarsi nullo qualunque patto o atto diretto a licenziare un lavoratore per
ragioni anagrafiche.
L’articolo
3 della Legge n.108/1990, invece, dispone la nullità del licenziamento
discriminatorio indipendentemente dalla motivazione addotta, mentre l’articolo
2 del D.Lgs. n.216/2003 ritiene sussistente una discriminazione diretta
ogniqualvolta “per religione, per
convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale”,
una persona venga trattata meno favorevolmente di un’altra in situazione
analoga.
In
base al quadro normativo appena riepilogato, il Tribunale ha quindi osservato
che la disposizione di cui all’art.22 del CCNL dei Dirigenti industriali, la
quale consente la risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente qualora
questi sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia oppure abbia
superato i 65 anni di età, non sarebbe idonea a derogare il divieto di
discriminazione per età e a consentire trattamenti differenziati, attesa la
natura “indisponibile” dei diritti del lavoratore tutelati dal legislatore.
Sul
punto, il Tribunale ha precisato, inoltre, che la citata disposizione
contrattuale sarebbe legittima solamente nel caso in cui richiedesse che, al momento del licenziamento, il dirigente abbia conseguito i requisiti per la pensione di vecchiaia.
Tale
clausola, invece, autorizzando trattamenti differenziati in ragione dell’età
senza alcuna garanzia ai fini dell’accesso alla pensione di vecchiaia, deve
ritenersi nulla.
Valerio
Pollastrini
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