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MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


martedì 21 gennaio 2014

In arrivo il prestito pensionistico


Da quanto affermato negli ultimi mesi dal Ministro del lavoro Giovannini, sarebbe allo studio del governo il cosiddetto “prestito pensionistico”, uno strumento  finalizzato a favorire la transizione, su base volontaria, dal lavoro alla pensione, fermi restando i requisiti dell’attuale normativa previdenziale.

Tale strumento andrebbe incontro a persone e a imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti in materia dalla legislazione vigente.

In una nota del ministero Giovannini ha dichiarato che, per evitare nuovi casi di esodati,  è allo studio  un provvedimento che consentirebbe, anche nelle aziende di piccole dimensioni, di  anticipare l'età pensionistica dei dipendenti  attraverso il contributo  da parte delle imprese.

Si tratta di una misura che non modificherebbe le regole pensionistiche attualmente esistenti, ma offrirebbe uno strumento aggiuntivo al quale si accederebbe su base volontaria, con il possibile coinvolgimento delle imprese, come attualmente avviene nei casi previsti dalla legge per le aziende di maggiori dimensioni.

Valerio Pollastrini

Nuove pagine informative dell’Inps su Facebook


L’Inps, attraverso il Messaggio del 20 gennaio 2014, ha reso nota l’apertura di due nuove pagine tematiche dell’Istituto su Facebook.

Inps per la Famiglia – La pagina è dedicata a coloro che si rivolgono all’Istituto per ottenere prestazioni a sostegno della famiglia ed ha lo scopo di informare sulle modalità di funzionamento del congedo di maternità, del congedo parentale, dei permessi per allattamento, dei voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting ed altro ancora.

E’ possibile accedere alla pagina da un  profilo Facebook, dal quale digitare in ricerca “Inps per la Famiglia” o andare direttamente su  https://www.facebook.com/INPS.PerLaFamiglia e cliccare su “Mi piace”.

Inps - Come pagare online -  La pagina fornisce informazioni sui servizi offerti dall’Istituto attraverso il Portale dei Pagamenti, lo sportello virtuale che raccoglie i diversi servizi per pagare bollettini online, stampare MAV o acquistare voucher per il lavoro occasionale accessorio.

E’ possibile accedere alla pagina da un  profilo Facebook,  dal quale digitare in ricerca “Inps – Come pagare online” o andare direttamente su https://www.facebook.com/INPS.ComePagareOnline e cliccare su “Mi piace”.

Le nuove pagine vanno ad affiancarsi alle altre già attivate dall’Istituto all’interno del social network e dedicate al riscatto della laurea, ai buoni lavoro, al lavoro domestico e al sistema contributivo.

Valerio Pollastrini

domenica 19 gennaio 2014

A rischio la pensione per gli iscritti alla gestione separata


Secondo le ultime stime, sono circa un milione i lavoratori che, al termine della loro vita lavorativa, pur avendo regolarmente versato  i contributi previdenziali, rischiano di non riuscire a maturare il diritto alla pensione.

I soggetti penalizzati  sono la quasi totalità dei lavoratori a progetto, i lavoratori autonomi occasionali, i collaboratori parasubordinati ed altre categorie di minor rilevanza che versano i loro contributi alla gestione separata Inps.

Il problema è strutturale e riguarda il c.d. “minimale contributivo”.

In sostanza, a costoro, ai fini pensionistici, viene accreditato un mese di contributi esclusivamente se percipienti  un reddito pari almeno a 1.295 euro al mese, e su questo versano i relativi contributi, la cui aliquota nel 2014 è salita al 28,72%.

Se, ad esempio, il reddito percepito ammonta  alla metà della cifra sopra indicata, tali soggetti per mettere insieme un mese di contributi dovranno lavorare due mesi.

A parte gli amministratori, la stragrande maggioranza dei soggetti che versano i contributi alla gestione separata non arriva a livelli di reddito pari o superiore al minimale e rischia, pertanto,  di versare contributi senza riuscire mai a maturare il diritto alla pensione. Ciò nonostante, l’aliquota contributiva che nei prossimi anni verrà richiesta a costoro, già  salita finora dal 10% al 28%,  è destinata ad arrivare al 33% entro il 2018. Contributi, come detto, probabilmente buttati.

Valerio Pollastrini

Assegni familiari concessi dai Comuni


Scade il 31 gennaio 2014 il termine per presentare la domanda per gli assegni familiari dei Comuni. Si tratta di una prestazione di sostegno al reddito concessa dai Comuni e pagata dall'Inps in favore delle famiglie con almeno 3 figli e redditi entro determinati limiti.

Si tratta di  un assegno mensile al nucleo familiare erogato per tredici mensilità e pagato con cadenza semestrale posticipata (entro il 15 luglio e il 15 gennaio) per i dati ricevuti almeno 45 giorni prima della scadenza del semestre.

Questo particolare assegno è destinato:

-         Ai cittadini italiani e dell’Unione europea residenti, nonché agli extracomunitari titolari dello status di rifugiati politici o di protezione sussidiaria o agli extracomunitari titolari di permesso CE per soggiornanti di lungo periodo;

-         Ai nuclei familiari con almeno 3 figli naturali, adottivi o in affido preadottivo di età inferiore ai 18 anni;

-         Ai nuclei familiari con risorse reddituali e patrimoniali non superiori a quelle previste dall’indicatore della situazione economica (I.S.E.) valido per l’assegno.

Per quanto riguarda l’ultimo requisito elencato, si segnala che, per l’anno 2013, il valore ISE di riferimento, per un nucleo familiare composto da cinque componenti, è di € 25.108,71.

L’importo dell’assegno annuale, se spettante in misura intera, è di  € 1.813,37 e può essere corrisposto in una o due soluzioni.

In riferimento al 2013 l’assegno è corrisposto integralmente, per un ammontare di € 139,49 mensili  per 13 mensilità, per un totale, come detto, di € 1813,37.

Il pagamento avverrà entro il 15 luglio ed il 15 gennaio successivi al periodo di presentazione della  domanda.

Sarà l’INPS ad effettuare il pagamento tramite bonifico, se in fase di domanda viene fornito l’IBAN, o direttamente allo sportello di un qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale, dopo aver ricevuto l’avviso di pagamento dall’INPS.

N.B. Gli assegni familiari dei comuni spettano anche se la famiglia usufruisce degli assegni per il nucleo familiare e non costituisce reddito ai fini fiscali e previdenziali.

La domanda va presentata direttamente al  Comune di residenza.

In ogni Comune dovrà, pertanto, essere predisposto un apposito sportello adibito alla ricezione e alla gestione di questo genere di pratiche. Alla domanda dovranno essere allegati uno stato di famiglia ed una certificazione I.S.E. aggiornata.

I soggetti interessati potranno comunque farsi assistere da un patronato abilitato.

Valerio Pollastrini

In arrivo nuove agevolazioni per l’assunzione di detenuti


Le leggi n. 193/2000 e n. 381/2001 prevedono alcuni vantaggi fiscali e contributivi in favore delle imprese pubbliche e private che assumono lavoratori detenuti per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni.

Con un nuovo Dm il Ministero della giustizia ha recentemente stanziato ulteriori 20 mln di euro per il 2013 e 10 mln annui dal 2014 per incrementare tali agevolazioni.

Per chi assumerà soggetti in stato di detenzione è previsto un credito d'imposta fino a 700 euro al mese e oneri contributivi ridotti all'80%, mentre  la durata delle agevolazioni è stata ampliata a due anni.

Il regolamento attuativo fissa il bonus mensile per ciascun detenuto assunto a 700 euro per il 2013 e a 350 euro dal 2014 in poi.

Nell'ipotesi di detenuti in semilibertà provenienti dalla detenzione, gli sgravi saranno, invece, pari a 350 e 300 euro.

L'importo degli aiuti dovrà essere parametrato sia alle giornate lavorative prestate sia all'orario di lavoro ed il credito d'imposta spetterà anche per le attività formative.

Novità positive anche per il credito d’imposta spettante  successivamente alla cessazione dello stato di detenzione che sarà aumentato di 6 mesi, fino a un massimo di 24, mentre la decontribuzione all'80% verso Inps e Inail durerà 18 mesi.

Il mancato gettito sarà rimborsato agli enti dal dipartimento amministrazione penitenziaria.

L’operatività delle nuove misure subirà però un ritardo in quanto il Consiglio di stato ha richiesto alcune modifiche sostanziali sul regime transitorio (parere n. 45/2014) ed il Ministero dovrà quindi rimettere mano al dm attuativo.

Allo stato attuale, infatti, risulta fissato il tetto massimo degli incentivi, ma non è chiaro come in concreto per ogni singola fattispecie venga determinata la misura del credito d'imposta. Lo schema di regolamento è stato altresì giudicato  «lacunoso» di un regime transitorio che disciplini i vari casi: rapporti di lavoro instaurati prima, durante e dopo il 2013.

Valerio Pollastrini

Nuova stretta sulle sanzioni per lavoro nero e irregolare


Il c.d. Decreto “Destinazione Italia” (1) ha recentemente modificato gli importi delle sanzioni previste in caso di lavoro nero e irregolare.

Il nuovo regime  è operativo dal 24 dicembre 2013, data di entrata in vigore del Decreto.

Si tratta di disposizioni che irrigidiscono ulteriormente l’apparato sanzionatorio, con l’aumento del 30% sia delle cd. Maxisanzioni, per le quali è stata esclusa la procedura di diffida di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004, che delle somme aggiuntive da versare per la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale. Le sanzioni amministrative previste per la violazione della durata media dell’orario di lavoro e della normativa sui riposi giornalieri ed i riposi settimanali sono state invece decuplicate.

La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, attraverso la lettera circolare del 27 dicembre 2013, indirizzata alle DRL e alle DTL, all’INPS e all’INAIL, ha reso noti i nuovi importi delle sanzioni  così come di seguito indicato:
 
-         Per la revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale è prevista ora la sanzione di 1.950,00 € nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare, mentre,  nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in relazione alle richieste di revoca del provvedimento effettuate dal 24 dicembre 2013, anche se riferite a condotte poste in essere prima di tale data, l’importo richiesto è ora pari a  3.250,00 €;

-         Per le violazioni in materia di impiego di lavoratori “in nero”, di durata media dell’orario di lavoro e di riposi giornalieri e settimanali poste in essere dal 24 dicembre, la notificazione dei relativi verbali e il calcolo dei relativi importi sanzionatori, sarà effettuata dopo la conversione in legge del D.L. n. 145/2013;

-         Le violazioni in materia di impiego di lavoratori “in nero”, di durata media dell’orario di lavoro e di riposi giornalieri e settimanali poste in essere prima del 24 dicembre saranno invece soggette alla disciplina sanzionatoria precedente a quella introdotta dal D. L. in commento.

Valerio Pollastrini


 
- Decreto Legge n.145/2013;

Buoni pasto: l’esenzione non aumenta


In materia lavoro si segnala l’ennesimo primato negativo del nostro Paese rispetto alle altre nazioni dell’Unione Europea.

Da oltre 15 anni, infatti, il valore dei buoni pasto che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente è rimasto ancorato a 5,29 € giornalieri, senza alcun adeguamento al costo della vita. Si tratta della soglia di esenzione da imposizione fiscale dei c.d. “Ticket Restaurant”.

La questione è stata oggetto dell’Interrogazione n.5-01804 dell’8 gennaio 2014 alla Camera dei deputati – Commissione Finanze, nella quale è stata fatta presente la disparita di trattamento riservata ai nostri lavoratori rispetto a quelli di altri Paesi, in particolare  Spagna e Francia.

Laconica la risposta del Sottosegretario all’Economia che, nel corso del question time, ha semplicemente affermato che per il momento non è previsto alcun aumento al valore dei buoni pasto esente da imposta IRPEF.

Valerio Pollastrini

venerdì 17 gennaio 2014

L’incidente durante il rientro dalle ferie non costituisce infortunio in itinere


Nella sentenza n.475 del 13 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha escluso che i danni provocati al lavoratore dall’incidente accaduto durante il ritorno dalle ferie possano rientrare nella fattispecie indennizzabile dell’infortunio sul lavoro in itinere.

Il caso di specie è quello di un lavoratore che aveva agito nei confronti dell’Inail chiedendo la costituzione di una rendita in relazione ad un incidente stradale occorsogli mentre ritornava dalle ferie annuali, sostenendo che tale incidente dovesse essere qualificato  come “infortunio in itinere”.

Sia il tribunale di primo grado che la Corte di Appello avevano rigettato il ricorso del lavoratore.

La Corte territoriale aveva osservato che il  DPR n. 1124/1965, disciplina applicabile all’epoca dell’incidente, non fornisce una definizione di incidente in itinere e quindi risultava necessario fare riferimento alla nozione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità.

In sostanza si doveva verificare se il sinistro si fosse verificato lungo il percorso normalmente seguito dall’infortunato per recarsi al lavoro o tornare nella propria abitazione.

Il ricorrente aveva fissato il proprio domicilio in un determinato luogo, conservando però la propria residenza anagrafica presso la casa di famiglia.

L’incidente non si era quindi verificato nel normale tragitto dalla casa di normale abitazione sino allo stabilimento ove operava. Non rilevava che l’evento fosse avvenuto al ritorno delle ferie perché non era stata offerta la prova dell’impossibilità di utilizzare un mezzo pubblico e neppure la necessità di scegliere le ore notturne per compiere il tragitto.

In queste scelte (mezzo privato e ore notturne) vi era stato un rischio elettivo che rendeva l’evento non indennizzabile.

Appariva irrilevante, inoltre, che il datore di lavoro fosse a conoscenza di tali spostamenti in quanto il rapporto previdenziale non era disponibile tra le parti; in ogni caso il lavoratore era libero di scegliere modalità e tempi di percorso.

In seguito alla sentenza di Appello il lavoratore si era quindi rivolto alla Corte di Cassazione.

Il ricorrente ricordava innanzitutto la  sussistenza della tutela assicurativa per tutti gli infortuni lungo il normale iter di andata e ritorno dalla casa di abitazione al luogo di lavoro, nonché per gli eventi occorsi al termine del periodo feriale, stante il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie.  La residenza storica del ricorrente era sempre stata quella indicata ed il tragitto automobilistico era stato autorizzato dal datore di lavoro, mentre  la scelta dell’orario notturno era stata operata per evitare il caldo.

La Cassazione ha precisato come  la Corte di Appello avesse correttamente ritenuto applicabile alla controversia la normativa vigente al momento in cui si era verificato l’incidente e, altrettanto correttamente, aveva ricostruito la giurisprudenza di legittimità formatasi sul DPR n. 1124/1965 che non conteneva una definizione esplicita dell’infortunio in itinere, accertando che l’evento non potesse qualificarsi effettivamente come in itinere, dal momento che lo stesso si era verificato non lungo il tragitto che ordinariamente il ricorrente percorreva per recarsi dalla propria abitazione al posto di lavoro, visto che lui stesso aveva fissato il proprio domicilio in luogo diverso rispetto alla residenza anagrafica.

Al momento dell’incidente il ricorrente non stava tornando dalla casa di normale abitazione e la circostanza per cui la residenza anagrafica era rimasta presso la casa di famiglia appariva irrilevante, visto che non era questa la normale abitazione e che, quindi, il percorso ordinariamente seguito per andare a lavorare era diverso da quello seguito il giorno dell’incidente.

Appare non controverso che il lavoratore quel giorno stesse tornando dalle ferie, ma la Corte territoriale aveva accertato che era stata scelta una fascia oraria non giustificata e non razionale per lo spostamento in questione  per cui vi era stato un rischio elettivo, assunto senza alcuna razionalità e necessità dallo stesso lavoratore, fatto che escludeva la copertura antinfortunistica.

La Cassazione ha richiamato quindi la giurisprudenza di legittimità (1) in base alla quale l’incidente in questione non potesse rientrare tra quelli definibili come in itinere perché non occorso nel normale spostamento tra abitazione e luogo di lavoro e perché accaduto in orari non collegabili necessariamente con l’orario di lavoro (l’incidente è delle 0,20 mentre il ricorrente doveva riprendere il lavoro alle ore 8 del giorno successivo), secondo circostanze in cui risulta evidente l’imprudenza del lavoratore con l’assunzione incontestabile di un rischio elettivo.

Per la Suprema Corte,  la motivazione addotta nella  sentenza di merito appare congrua, logicamente coerente e conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Il lavoratore lamentava inoltre che la scelta del percorso dovesse ritenersi ragionevole perché dettata dall’esigenza di   andare a trovare la famiglia. La motivazione della sentenza di Appello, a suo dire, risultava carente in ordine all’effettiva residenza del ricorrente, alla indispensabilità nell’utilizzazione mezzo privato ed infine in ordine alla ragionevolezza della scelta di viaggiare di notte.

La Cassazione, sul punto, ha escluso ogni fondamento della domanda del ricorrente, ricordando che la Corte territoriale avesse già congruamente e logicamente valutate le circostanze dell’incidente che portavano ad escludere che lo stesso fosse accaduto nell’ordinario percorso tra l’abitazione del lavoratore (nel senso di luogo ove lo stesso dimorava abitualmente) e il posto di lavoro.

La Corte ha anche sottolineato come la scelta dell’orario notturno fosse del tutto ingiustificabile secondo ordinari criteri di prudenza.

Sulla base di tali presupposti, la Cassazione ha rigettato il ricorso e, in considerazione della complessità della vicenda e della difficile ricostruzione della fattispecie, ha ritenuto sussistenti  giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.


Valerio Pollastrini

 

(1)   - cfr. Cass. n. 13376/2008;

Illegittima apposizione del termine e risoluzione consensuale per mutuo consenso


La Corte di Cassazione nella sentenza n.28117 del 17 dicembre 2013 ha ribadito che l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso deve essere accertata con particolare rigore e, ove non attestata da un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivocabile che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto.

La Suprema Corte, a proposito del giudizio promosso per il riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato per una illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, ha più volte affermato che affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (1).

La semplice inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro (2).

A proposito del decorso del tempo, infatti, una recente pronuncia della Suprema Corte (3) ha precisato che si tratta di un dato di per sé neutro.

Per quanto riguarda la percezione del t.f.r., la Cassazione ha più volte ribadito che sia l’accettazione del t.f.r. che la mancata offerta della prestazione, non rappresentano circostanze indicative di un intento risolutorio, trattandosi di comportamenti  non interpretabili come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (4). Discorso analogo, a detta della Suprema Corte, vale per la condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (5).

Nel caso di specie la Corte di Appello aveva disatteso i principi sopra indicati fondando la propria decisione soltanto sulla, pur prolungata, inerzia del lavoratore, sulla mancanza di contestazione al momento della cessazione del contratto, nonché sull’avvenuta restituzione del libretto di lavoro e sull’accettazione senza riserva del t.f.r..

La Cassazione ribadisce pertanto che l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso deve essere accertata con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivocabile che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso, essendo a tal fine prive di univoco valore sintomatico in tal senso, oltre all’illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di attività lavorativa, nonché la restituzione del libretto di lavoro al lavoratore e le stesse circostanze del versamento e dell’accettazione senza riserva, da parte del medesimo, di competenze economiche.

Valerio Pollastrini

  

(1)   - v. Cass. 10 novembre 2008, n. 26935, id. 28 settembre 2007, n. 20390, 17 dicembre 2004, n. 23554, nonché più di recente Cass. 18 novembre 2010, n. 23319, 11 marzo 2011, n. 5887, 4 agosto 2011, n. 16932;

(2)   - v. anche Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070 e, fra le altre, da ultimo Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279;

(3)   - Cass. 12 aprile 2012, n 5782;

(4)   - cfr., Cass., n. 15628/2001;

(5)   - cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005;

Il rifiuto di svolgere parte della prestazione non rientra nel diritto di sciopero


Nella sentenza n.23528 del 16 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha affermato che il rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione per una data unità di tempo non integrale e che riguardi solo uno o più tra i compiti che lo stesso è tenuto a svolgere non può rientrare nel legittimo esercizio del  diritto di sciopero.

La Corte di Appello di Brescia, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare di sei giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione adottata da Poste Italiane Spa nei confronti di un lavoratore che il 12 ed il 22 agosto 2005 si era rifiutato di sostituire un collega assente nell’ambito della prestazione di lavoro di portalettere.

La Corte di merito aveva affermato, in sintesi, che il rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni da parte del lavoratore non poteva costituire  esercizio legittimo del diritto di sciopero.

Il dipendente si era quindi rivolto alla Corte di  Cassazione, rilevando preliminarmente di  aver richiesto al datore di lavoro di essere sentito a sua discolpa, unitamente al suo rappresentante sindacale, presso la sede di lavoro e durante l’orario lavorativo, ma la sua audizione era stata invece disposta dall’azienda ad oltre 100 Km di distanza. Ciò avrebbe comportato, a detta del ricorrente, la violazione del diritto di difesa sancito dall’art.7 dello Statuto dei Lavoratori.

Sul punto la Suprema Corte ha ricordato, in tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, che, ai sensi della legge 20 maggio 1970, n.300, art.7, comma 2, il lavoratore è libero di discolparsi nelle forme da lui prescelte, oralmente o per iscritto, con l’assistenza o meno di un rappresentante sindacale. Ove il lavoratore eserciti il proprio diritto chiedendo espressamente di essere “sentito  a difesa” nel termine previsto dallo stesso art.7, comma 5, il datore di lavoro ha l’obbligo della sua audizione, senza che tale istanza sia sindacabile dal datore di lavoro in ordine alla effettiva idoneità difensiva.
Nella specie, la Cassazione ha però confermato la decisione della Corte Territoriale, per la quale  la convocazione del dipendente – il quale prestava servizio a Cremona – presso la direzione regionale risorse umane di Milano non fosse irragionevole, afflittiva o menomasse il diritto di difesa, considerato peraltro che presso tale direzione aveva sede l’organo preposto alla gestione dell’intero procedimento disciplinare e che la stessa dichiarazione a discolpa veniva ad essere “recepita senza intermediari dall’organismo preposto all’eventuale irrogazione della sanzione”.

A proposito del rifiuto della prestazione lavorativa per il 22 agosto 2005, la Suprema Corte ne ha confermato l’illegittimità, atteso che in tale data l’organizzazione sindacale cui il ricorrente aderiva non aveva proclamato lo sciopero.

Gli ermellini sottolineano inoltre che, anche in presenza di una astensione dal lavoro proclamata, è il caso dell’assenza del 12 agosto 2005, il rifiuto di rendere uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere è parimenti ingiustificato.

In proposito la Cassazione ha più volte affermato, con orientamento costante, che, in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con un quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono di per sé illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta (1).

In sostanza,  quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere costituisce una fattispecie estranea al  diritto di sciopero. È il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza (2).

Per tali ragioni la Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore e ne ha disposto la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 100,00 € per esborsi e 2.500,00 € per compensi professionale, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini


(1)   - Cass. n.548/2011; Cass. n.12977/2011; Cass. n.12978/2011; Cass. n.12979/2011 e Cass. n.20273/2011;

(2)   - Cass. 28 marzo 1986 n.2214;

mercoledì 15 gennaio 2014

Fondo casalinghe – Nuove modalità di presentazione delle domande


Con il Messaggio n.21118 del 24 dicembre 2013 l’Inps ha annunciato l’introduzione di nuove modalità di presentazione delle domande di iscrizione al “Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari”, comunemente indicato come “Fondo casalinghe”.

L’Istituto ha chiarito che, nell’ambito del potenziamento dei servizi telematici all’utenza, le domande di iscrizione al fondo dovranno essere inviate esclusivamente in via telematica, previa identificazione con PIN, attraverso uno dei seguenti canali:

-         sito Internet dell’ Istituto www.inps.it;

-         Contact Center Multicanale - numero gratuito 803.164 (da rete fissa) o numero 06 164164 (da telefono cellulare, con tariffazione stabilita dal proprio gestore);

-         Patronato.

Presentazione della domanda direttamente dal sito Internet
La sezione dedicata alla presentazione della domanda di iscrizione al “Fondo casalinghe” è disponibile sul sito internet dell’Istituto www.inps.it, nella sezione SERVIZI ONLINE attraverso il seguente percorso: Per tipologia di utente – Cittadino – Fondo previdenza casalinghe - iscrizione.

Nel Messaggio, l’Istituto ha chiarito che per accedere al servizio è richiesta l’autenticazione tramite PIN rilasciato dall’Istituto, CNS (Carta Nazionale dei Servizi) rilasciata da una Pubblica Amministrazione ai sensi del DPR 117/04 o mediante altro dispositivo (smart card, chiavetta USB) contenente “certificato digitale di autenticazione personale” rilasciato da apposito ente certificatore rispondente agli standard definiti per la CNS.

 
Questo servizio consente al cittadino di presentare online la domanda di iscrizione al Fondo. L’utente verrà guidato a sottoscrivere le indispensabili dichiarazioni sostitutive e l’informativa sul trattamento dei dati personali.

Al termine dell’operazione l’utente potrà salvare e stampare la ricevuta della domanda effettuata, contenente un riepilogo dei dati inseriti, il numero di protocollo attribuito dall’Istituto e la data di invio.

La domanda assumerà efficacia dalla conclusione con esito positivo del servizio online.

Presentazione della domanda tramite Contact Center
Per assicurare l’accesso al servizio anche ai soggetti che non hanno la possibilità o facilità di utilizzo degli strumenti informatici, l’Inps ha previsto, in alternativa, la disponibilità della comunicazione telefonica, attraverso il Contact Center Multicanale - numero gratuito 803.164 (da rete fissa) o numero 06 164164 (da telefono cellulare, con tariffazione stabilita dal proprio gestore) - che provvederà all’acquisizione della domanda, previa identificazione del soggetto dichiarante.

L’identificazione del soggetto dichiarante tramite PIN e codice fiscale sarà necessaria anche per le successive comunicazioni effettuate utilizzando il Contact Center.

 
Presentazione della domanda tramite Patronato
Il servizio è stato reso disponibile anche per i Patronati.

L’accesso sarà possibile attraverso il sito internet dell’Istituto www.inps.it, nella sezione SERVIZI ONLINE, con il seguente percorso: Per tipologia di utente – Patronati – Servizi per i patronati - Fondo previdenza casalinghe: iscrizione.

Gli operatori dei Patronati vi potranno accedere inserendo il proprio codice operatore, il PIN associato rilasciato dall’Istituto e il codice fiscale del cittadino richiedente.

In questo caso verrà richiesta la dichiarazione esplicita del possesso di una specifica delega ad operare rilasciata al Patronato dall’utente.

Accoglimento immediato della domanda
Al termine della compilazione da parte del soggetto abilitato, la domanda verrà acquisita automaticamente dalla procedura.

In assenza di condizioni ostative all’iscrizione al fondo, la domanda verrà dunque accolta automaticamente.

Dopo aver ricevuto il provvedimento di accoglimento della richiesta, corredato dai primi bollettini di c/c postale predisposti per il  pagamento, l’utente appena iscritto potrà iniziare i versamenti.

Valutazione posticipata della domanda
Nell’eventualità che non siano soddisfatti tutti i requisiti necessari all’accoglimento immediato, la domanda verrà posta in stato “da verificare”, cosa che consentirà all’Istituto di  espletare gli ulteriori controlli.

Al termine dell’istruttoria, in caso di accoglimento della domanda, il richiedente riceverà la comunicazione dell’esito della verifica tramite lettera ordinaria, mentre in caso di reiezione la comunicazione verrà inoltrata a mezzo in caso  raccomandata.

Servizi correlati
Nel Messaggio in commento l’Inps ha ricordato, infine, che nella homepage della procedura di presentazione telematica della domanda di iscrizione al Fondo saranno disponibili le ulteriori seguenti funzioni:

-         Informazioni utili : presentazione di un minimo di informazioni iniziali e link alla pagina internet dedicata al Fondo Casalinghe per gli approfondimenti;

-         Consultazione Domande: possibilità di monitoraggio delle domande già inoltrate all’INPS;

-         Appuntamento in sede: utility che richiama il servizio “Agenda Appuntamenti”;

-         Stampa del bollettino: preparazione del bollettino di c/c postale, in formato pdf, con i dati dell’assicurato e senza importo.

Valerio Pollastrini

 
Riepilogo redatto dall’Inps della disciplina del “Fondo casalinghe”

È il Fondo di previdenza, istituito dal 1.1.1997, per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari.

CHI SI PUÒ ISCRIVERE

Possono iscriversi al nuovo fondo di previdenza, i soggetti di entrambi i sessi e di età compresa fra quella prevista dalle norme sull’avviamento al lavoro (16 anni - 15 se è assolto l’obbligo scolastico) e i 65 anni di età se:

  • svolgono lavoro in famiglia non retribuito connesso con responsabilità familiari, senza vincoli di subordinazione;
  • non sono titolari di pensione diretta;
  • non prestano attività lavorativa dipendente o autonoma per la quale sussista l’obbligo di iscrizione ad altro ente o cassa previdenziale;
  • prestano attività lavorativa part-time se, in relazione all’orario e alla retribuzione percepita, si determina una contrazione delle settimane utili per il diritto a pensione.

QUANTO SI PAGA

L'importo dei versamenti è libero, tuttavia, versando almeno 25,82, euro verrà accreditato un mese di contribuzione.

L'Inps accrediterà per ogni anno tanti mesi di contributi quanti ne risultano dividendo l'importo complessivo versato nell'anno per 25,82 euro (se si versano in un anno 110 euro, ad esempio, i mesi accreditati saranno 4).

Il versamento può essere effettuato in qualsiasi momento dell'anno con bollettini di conto corrente postale che l'Inps invia a casa insieme alla lettera di accoglimento dell'iscrizione.

I contributi versati sono interamente deducibili dal reddito imponibile Irpef del dichiarante, anche per i familiari fiscalmente a carico.

PRESTAZIONE E REQUISITI

Spettano, a carico dell’Inps, le seguenti prestazioni:

  • pensione di inabilità, con almeno 5 anni di contributi, a condizione che sia intervenuta l'assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa
  • vecchiaia, a partire dal 57° anno di età, a condizione che siano stati versati almeno 5 anni (60 mesi) di contributi.
La pensione di vecchiaia:

  • viene liquidata solo se l'importo maturato risulta almeno pari all'ammontare dell'assegno sociale maggiorato del 20% (1,2 volte l'assegno sociale);
  • si prescinde dall’importo al compimento del 65° anno di età.
Non è prevista la concessione della pensione ai superstiti.

LA DOMANDA DI PENSIONE

Come per l’iscrizione la domanda può essere inviata esclusivamente attraverso il canale telematico.

QUANTO SPETTA

L’importo è determinato secondo il sistema di calcolo contributivo.

Le pensioni non sono integrabili al trattamento minimo.

ISCRIZIONE ALL’INAIL

Sono obbligati ad iscriversi i componenti del nucleo familiare, di età compresa fra i 18 e i 65 anni compiuti, che svolgono, in via esclusiva e non occasionale, attività in ambito domestico, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito, per la cura del proprio nucleo familiare.