La Corte di Cassazione nella sentenza
n.28117 del 17 dicembre 2013 ha ribadito che l’eventuale risoluzione del
rapporto per mutuo consenso deve essere accertata con particolare rigore e, ove
non attestata da un atto formale, deve risultare da un comportamento
inequivocabile che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla
prosecuzione del rapporto.
La Suprema Corte, a proposito del giudizio promosso
per il riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato per una illegittima apposizione al contratto di un termine finale
ormai scaduto, ha più volte affermato che affinché possa configurarsi una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata -
sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali
circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (1).
La semplice inerzia del lavoratore dopo
la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a
ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso mentre
grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare
le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle
parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro (2).
A proposito del decorso del tempo,
infatti, una recente pronuncia della Suprema Corte (3) ha precisato
che si tratta di un dato di per sé neutro.
Per quanto riguarda la percezione del
t.f.r., la Cassazione ha più volte ribadito che sia l’accettazione del t.f.r.
che la mancata offerta della prestazione, non rappresentano circostanze indicative
di un intento risolutorio, trattandosi di comportamenti non interpretabili come tacita dichiarazione
di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (4). Discorso
analogo, a detta della Suprema Corte, vale per la condotta di chi sia stato
costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro
per cause diverse dalle dimissioni (5).
Nel caso di specie la Corte di Appello
aveva disatteso i principi sopra indicati fondando la propria decisione
soltanto sulla, pur prolungata, inerzia del lavoratore, sulla mancanza di
contestazione al momento della cessazione del contratto, nonché sull’avvenuta
restituzione del libretto di lavoro e sull’accettazione senza riserva del
t.f.r..
La Cassazione ribadisce pertanto che
l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso deve essere accertata
con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare
da un comportamento inequivocabile che evidenzi il completo disinteresse di
entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso, essendo a tal fine
prive di univoco valore sintomatico in tal senso, oltre all’illegittima
apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di
attività lavorativa, nonché la restituzione del libretto di lavoro al
lavoratore e le stesse circostanze del versamento e dell’accettazione senza
riserva, da parte del medesimo, di competenze economiche.
Valerio Pollastrini
(1) - v. Cass. 10 novembre 2008, n.
26935, id. 28 settembre 2007, n. 20390, 17 dicembre 2004, n. 23554, nonché più
di recente Cass. 18 novembre 2010, n. 23319, 11 marzo 2011, n. 5887, 4 agosto
2011, n. 16932;
(2) - v. anche Cass.
2 dicembre 2002, n. 17070 e, fra le altre, da ultimo Cass. 1 febbraio 2010, n.
2279;
(3) - Cass. 12
aprile 2012, n 5782;
(4) - cfr., Cass.,
n. 15628/2001;
(5) - cfr. Cass. n.
839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005;
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