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venerdì 17 gennaio 2014

Illegittima apposizione del termine e risoluzione consensuale per mutuo consenso


La Corte di Cassazione nella sentenza n.28117 del 17 dicembre 2013 ha ribadito che l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso deve essere accertata con particolare rigore e, ove non attestata da un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivocabile che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto.

La Suprema Corte, a proposito del giudizio promosso per il riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato per una illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, ha più volte affermato che affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (1).

La semplice inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro (2).

A proposito del decorso del tempo, infatti, una recente pronuncia della Suprema Corte (3) ha precisato che si tratta di un dato di per sé neutro.

Per quanto riguarda la percezione del t.f.r., la Cassazione ha più volte ribadito che sia l’accettazione del t.f.r. che la mancata offerta della prestazione, non rappresentano circostanze indicative di un intento risolutorio, trattandosi di comportamenti  non interpretabili come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (4). Discorso analogo, a detta della Suprema Corte, vale per la condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (5).

Nel caso di specie la Corte di Appello aveva disatteso i principi sopra indicati fondando la propria decisione soltanto sulla, pur prolungata, inerzia del lavoratore, sulla mancanza di contestazione al momento della cessazione del contratto, nonché sull’avvenuta restituzione del libretto di lavoro e sull’accettazione senza riserva del t.f.r..

La Cassazione ribadisce pertanto che l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso deve essere accertata con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivocabile che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso, essendo a tal fine prive di univoco valore sintomatico in tal senso, oltre all’illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di attività lavorativa, nonché la restituzione del libretto di lavoro al lavoratore e le stesse circostanze del versamento e dell’accettazione senza riserva, da parte del medesimo, di competenze economiche.

Valerio Pollastrini

  

(1)   - v. Cass. 10 novembre 2008, n. 26935, id. 28 settembre 2007, n. 20390, 17 dicembre 2004, n. 23554, nonché più di recente Cass. 18 novembre 2010, n. 23319, 11 marzo 2011, n. 5887, 4 agosto 2011, n. 16932;

(2)   - v. anche Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070 e, fra le altre, da ultimo Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279;

(3)   - Cass. 12 aprile 2012, n 5782;

(4)   - cfr., Cass., n. 15628/2001;

(5)   - cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005;

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