Nella sentenza n.23528
del 16 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha affermato che il rifiuto del
lavoratore di rendere la prestazione per una data unità di tempo non integrale e
che riguardi solo uno o più tra i compiti che lo stesso è tenuto a svolgere non
può rientrare nel legittimo esercizio del diritto di sciopero.
La Corte di Appello di
Brescia, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto legittima la
sanzione disciplinare di sei giorni di sospensione dal servizio e dalla
retribuzione adottata da Poste Italiane Spa nei confronti di un lavoratore che
il 12 ed il 22 agosto 2005 si era rifiutato di sostituire un collega assente
nell’ambito della prestazione di lavoro di portalettere.
La Corte di merito
aveva affermato, in sintesi, che il rifiuto di esecuzione di una parte delle
mansioni da parte del lavoratore non poteva costituire esercizio legittimo del diritto di sciopero.
Il dipendente si era quindi
rivolto alla Corte di Cassazione,
rilevando preliminarmente di aver
richiesto al datore di lavoro di essere sentito a sua discolpa, unitamente al
suo rappresentante sindacale, presso la sede di lavoro e durante l’orario lavorativo,
ma la sua audizione era stata invece disposta dall’azienda ad oltre 100 Km di
distanza. Ciò avrebbe comportato, a detta del ricorrente, la violazione del
diritto di difesa sancito dall’art.7 dello Statuto dei Lavoratori.
Sul punto la Suprema
Corte ha ricordato, in tema di procedimento disciplinare a carico del
lavoratore, che, ai sensi della legge 20 maggio 1970, n.300, art.7, comma 2, il
lavoratore è libero di discolparsi nelle forme da lui prescelte, oralmente o
per iscritto, con l’assistenza o meno di un rappresentante sindacale. Ove il
lavoratore eserciti il proprio diritto chiedendo espressamente di essere
“sentito a difesa” nel termine previsto
dallo stesso art.7, comma 5, il datore di lavoro ha l’obbligo della sua
audizione, senza che tale istanza sia sindacabile dal datore di lavoro in
ordine alla effettiva idoneità difensiva.
Nella specie, la
Cassazione ha però confermato la decisione della Corte Territoriale, per la
quale la convocazione del dipendente –
il quale prestava servizio a Cremona – presso la direzione regionale risorse
umane di Milano non fosse irragionevole, afflittiva o menomasse il diritto di
difesa, considerato peraltro che presso tale direzione aveva sede l’organo preposto
alla gestione dell’intero procedimento disciplinare e che la stessa
dichiarazione a discolpa veniva ad essere “recepita senza intermediari
dall’organismo preposto all’eventuale irrogazione della sanzione”. A proposito del rifiuto della prestazione lavorativa per il 22 agosto 2005, la Suprema Corte ne ha confermato l’illegittimità, atteso che in tale data l’organizzazione sindacale cui il ricorrente aderiva non aveva proclamato lo sciopero.
Gli ermellini sottolineano
inoltre che, anche in presenza di una astensione dal lavoro proclamata, è il
caso dell’assenza del 12 agosto 2005, il rifiuto di rendere uno o più tra i compiti
che il lavoratore è tenuto a svolgere è parimenti ingiustificato.
In proposito la
Cassazione ha più volte affermato, con orientamento costante, che, in tema di
astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo
collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire,
oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria,
un collega assente, remunerandolo con un quota di retribuzione inferiore alla
maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da
tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma
costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono
di per sé illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro ai
dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta (1).
In sostanza, quando il rifiuto di rendere la prestazione
per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i
compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere costituisce una fattispecie
estranea al diritto di sciopero. È il
caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto
estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza (2).
Per tali ragioni la
Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore e ne ha disposto la condanna
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 100,00 € per
esborsi e 2.500,00 € per compensi professionale, oltre accessori di legge.
Valerio Pollastrini
(1)
-
Cass. n.548/2011; Cass. n.12977/2011; Cass. n.12978/2011; Cass. n.12979/2011 e
Cass. n.20273/2011;
(2)
-
Cass.
28 marzo 1986 n.2214;
Nessun commento:
Posta un commento