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sabato 10 agosto 2013

Quando il venditore è in realtà un lavoratore subordinato


Con la sentenza n.15922 del 25 giugno 2013, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sulla corretta qualificazione di un rapporto di lavoro, dichiarando la nullità di un contratto  a progetto e la conseguente trasformazione dello stesso in un rapporto di lavoro subordinato.
Il caso è quello di una lavoratrice ed un’azienda che avevano sottoscritto  una serie di contratti a progetto, l’ultimo dei quali risolto dal committente con una semplice comunicazione verbale.
Nel contratto alla lavoratrice venivano  richieste, nello specifico, le seguenti attività:
- promozione e  vendita di succhi di frutta di un determinato marchio;
- distribuzione di depliants e di campioni per l’assaggio;
- illustrazione di offerte promozionali;
- promozione ed eventuale sottoscrizione con titolari di esercizi commerciali del contratto d’uso delle frigo-vetrine di proprietà del committente, con obbligo di segnalazione di usi difformi delle stesse.
 
La lavoratrice era inoltre soggetta al rispetto delle seguenti, ulteriori, obbligazioni:
-         effettuare 18 “visite clienti” al giorno per 18/19 giornate al mese;
-         vendere 70 cartoni di succo di frutta per ogni giornata lavorativa;
-         trasmettere all’azienda, con cadenza quotidiana e settimanale, i dati di vendita.
 
In seguito al recesso da parte del committente, la lavoratrice si era rivolta al Tribunale di Brescia chiedendo, oltre al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato in luogo di quello a progetto,  la nullità del licenziamento.
Dopo il rigetto della domanda da parte del Tribunale, la decisione era stata invece integralmente riformata dalla Corte di appello di Brescia che aveva disposto la conversione dei diversi contratti di lavoro a progetto  in altrettanti contratti di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente nullità del licenziamento orale. La Corte aveva quindi condannato l’azienda a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni medio tempore maturate, detratto l’aliunde perceptum, e al pagamento del risarcimento del danno, quantificato in quattro mensilità.
Dopo la pronuncia di appello, l’azienda ha proposto ricorso per cassazione.
Come ricordato dalla Suprema Corte,  il contratto di lavoro a progetto  è una particolare  fattispecie di lavoro autonomo definita dall’art. 61 del D.lgs. 276 del 2003. Per la corretta inclusione di un contratto a progetto nell’alveo della categoria del lavoro autonomo è indispensabile la  sussistenza tra le parti di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve inoltre essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale.
La Corte di Appello aveva ritenuto che l’attività svolta dalla lavoratrice consisteva  fondamentalmente nel vendere un minimo di 70 cartoni di succo di frutta al giorno visitando diciotto clienti al giorno, per l’oggetto e per le modalità con le quali doveva essere realizzata e che, pertanto,  non integrasse un lavoro autonomo a “progetto”, ma un lavoro di natura subordinata.
La Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di appello e ne ha confermato, pertanto, la sentenza.

 
Valerio Pollastrini

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