Con la sentenza n.15922
del 25 giugno 2013, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sulla
corretta qualificazione di un rapporto di lavoro, dichiarando la nullità di un
contratto a progetto e la conseguente
trasformazione dello stesso in un rapporto di lavoro subordinato.
Il caso è quello di
una lavoratrice ed un’azienda che avevano sottoscritto una serie di contratti a progetto, l’ultimo
dei quali risolto dal committente con una semplice comunicazione verbale.
Nel contratto alla
lavoratrice venivano richieste, nello
specifico, le seguenti attività:
- promozione e vendita di succhi di frutta di un determinato
marchio;
- distribuzione di
depliants e di campioni per l’assaggio;
- illustrazione di
offerte promozionali;
- promozione ed eventuale
sottoscrizione con titolari di esercizi commerciali del contratto d’uso delle
frigo-vetrine di proprietà del committente, con obbligo di segnalazione di usi
difformi delle stesse.
La lavoratrice era
inoltre soggetta al rispetto delle seguenti, ulteriori, obbligazioni:
-
effettuare 18 “visite
clienti” al giorno per 18/19 giornate al mese;
-
vendere 70
cartoni di succo di frutta per ogni giornata lavorativa;
-
trasmettere all’azienda,
con cadenza quotidiana e settimanale, i dati di vendita.
In seguito al recesso
da parte del committente, la lavoratrice si era rivolta al Tribunale di Brescia
chiedendo, oltre al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato in
luogo di quello a progetto, la nullità
del licenziamento.
Dopo il rigetto della
domanda da parte del Tribunale, la decisione era stata invece integralmente
riformata dalla Corte di appello di Brescia che aveva disposto la conversione
dei diversi contratti di lavoro a progetto in altrettanti contratti di lavoro a tempo indeterminato,
con conseguente nullità del licenziamento orale. La Corte aveva quindi
condannato l’azienda a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni medio
tempore maturate, detratto l’aliunde perceptum, e al pagamento del risarcimento
del danno, quantificato in quattro mensilità.
Dopo la pronuncia di
appello, l’azienda ha proposto ricorso per cassazione.
Come ricordato dalla
Suprema Corte, il contratto di lavoro a
progetto è una particolare fattispecie di lavoro autonomo definita
dall’art. 61 del D.lgs. 276 del 2003. Per la corretta inclusione di un
contratto a progetto nell’alveo della categoria del lavoro autonomo è
indispensabile la sussistenza tra le
parti di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa,
prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici
determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il
progetto deve inoltre essere funzionalmente collegato ad un determinato
risultato finale.
La Corte di Appello
aveva ritenuto che l’attività svolta dalla lavoratrice consisteva fondamentalmente nel vendere un minimo di 70
cartoni di succo di frutta al giorno visitando diciotto clienti al giorno, per
l’oggetto e per le modalità con le quali doveva essere realizzata e che,
pertanto, non integrasse un lavoro
autonomo a “progetto”, ma un lavoro di natura subordinata.
La Cassazione ha
ritenuto corretta la valutazione del giudice di appello e ne ha confermato,
pertanto, la sentenza.
Valerio Pollastrini
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