In
merito alla legittimità di un licenziamento disciplinare, la Corte di
Cassazione, con la sentenza n.15926 del 25 giugno 2013, ha ribadito il principio della necessaria proporzionalità
tra la condotta contestata al lavoratore e la sanzione irrogata dall’azienda.
Il datore di lavoro può far ricorso alla pena espulsiva solo in presenza di una
violazione così grave da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario tra
azienda e dipendente nella gestione del rapporto di lavoro.
Il caso
è quello di un dipendente di Fiat Group Automobiles Spa licenziato per aver
ricevuto un omaggio da parte di un
fornitore senza avere informato i superiori.
Il
lavoratore, impiegato di VI° livello, incaricato di preparare i progetti di
disinvestimento relativi a macchinari ed attrezzature, aveva accettato nello
specifico un’agenda contenente al suo interno cinque buoni di benzina per un
valore complessivo di 50 euro, con ciò violando, a detta del datore di lavoro, i
doveri di diligenza e di fedeltà all’azienda, prescritti dagli articoli 2104 e
2105 cod. civ.
A nulla
era valsa, nel corso dell’iter disciplinare che aveva preceduto il
licenziamento, la difesa del lavoratore che, dopo aver ricordato che nel corso di oltre
30 anni di servizio non aveva mai ricevuto una sanzione, aveva obiettato che l’omaggio in questione rientrasse tra i doni natalizi
che i fornitori erano soliti recapitare a funzionari e dirigenti in totale
trasparenza.
I primi due gradi di giudizio
Il
lavoratore si era quindi rivolto al
Giudice del lavoro lamentando l’illegittimità del licenziamento subito. Il
Tribunale, dopo aver accolto integralmente le richieste del dipendente,
aveva disposto l’annullamento del
licenziamento, con condanna dell’azienda
alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro ed al conseguente pagamento
del risarcimento del danno.
Nel
secondo grado di giudizio la Corte di Appello di Torino aveva però successivamente
riformato integralmente la decisione di primo grado, ritenendo legittimo il
licenziamento.
Il
lavoratore aveva pertanto proposto ricorso per cassazione.
La pronuncia della Cassazione
La
Suprema Corte ha accolto il ricorso del
lavoratore, sconfessando la precedente pronuncia della Corte territoriale.
La
Corte d’Appello aveva giudicato il comportamento contestato al lavoratore idoneo a ledere irreparabilmente il rapporto
di fiducia con il datore di lavoro, in considerazione della mancata
segnalazione del fatto ai superiori, della modalità di erogazione del regalo,
della natura dell’oggetto (facilmente occultabile), nonché del disvalore
ambientale da ascrivere alla condotta stessa in virtù della posizione
professionale del lavoratore e del potenziale carattere diseducativo del suo
comportamento per gli altri dipendenti. Tutto ciò, indipendentemente dal modesto valore economico del dono.
Tali motivazioni
non sono state condivise dalla Cassazione che le ha ritenute non conformi ai
principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità che
impongono, per vagliare la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, una
valutazione del complessivo
comportamento del prestatore. La condotta oggetto di contestazione deve infatti
essere esaminata sia nel suo contenuto
oggettivo, ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al
vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle
mansioni espletate, sia nella sua portata soggettiva, e, quindi, con
riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in
essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo
dell’agente.
La
Suprema Corte conferma, in particolare, che il giudizio di proporzionalità della
sanzione del licenziamento all’illecito
commesso deve essere effettuato sulla base della valutazione della gravità
dell’inadempimento imputato al lavoratore in tutti i suoi connotati oggettivi e
soggettivi. L’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta quindi
giustificata solamente in presenza di un notevole violazione degli obblighi
contrattuali, tale da non consentire la
prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.
La
Cassazione ha osservato che nel caso in esame la Corte territoriale ha effettuato la
valutazione della condotta addebitata al
lavoratore ai fini del licenziamento senza prenderne adeguatamente in
considerazione il complessivo comportamento, sia nel suo contenuto oggettivo,
sia nella sua portata soggettiva e senza, conseguentemente, aver motivato in
modo adeguato e corretto la propria decisione sulla ritenuta idoneità del
comportamento stesso a giustificare la massima sanzione espulsiva.
In sostanza,a
detta della Corte, il giudice di appello non ha adeguatamente contestualizzato
il fatto, ponendo in rilievo le modalità dell’erogazione, ossia buoni benzina nascosti in una agenda, e la
natura dell’oggetto, facilmente occultabile, mentre, al contempo ha erroneamente
considerato di minore importanza la circostanza che si fosse trattato di un
dono natalizio, che lo stesso fornitore, così come altri, era solito recapitare
a funzionari e dirigenti dell’azienda “alla luce del sole”, cosa avvenuta, tra
l’altro, nei confronti di tutto il team del lavoratore licenziato.
A tale
ultimo riguardo, la Corte territoriale aveva attribuito rilievo determinante
alle “dimensioni” del dono, rispetto ai soliti “panettoni e bottiglie di
spumante” regalati ad altri dipendenti – senza però considerare che un simile
argomento avrebbe potuto essere utilizzato ove il regalo di piccole dimensioni
fosse stato realmente prezioso, mentre appare del tutto improprio nella specie,
visto che il valore del regalo oggetto di contestazione non è dissimile a
quello dei doni “più ingombranti”, genericamente richiamati dalla Corte
territoriale.
Nel dare
particolare importanza alla posizione del lavoratore all’interno dell’organico
aziendale, la Corte di Appello aveva sottolineato che il
lavoratore, impiegato di VI livello con la qualifica di “Specialista di
Gestione Iniziative dell’Ente Ingegneria di Produzione”, comportante le
mansioni di “preparazione dei progetti di disinvestimento macchinari e
attrezzature”, si trovava ai massimi livelli della categoria impiegatizia e godeva
di un margine di relativa discrezionalità e di autonomia nell’indicazione dei
fornitori e nella valutazione del loro operato.
La
Corte territoriale non ha posto però in rilievo i seguenti elementi:
-
in oltre trenta anni di lavoro alle dipendenze
della Fiat Group Automobiles il lavoratore licenziato non aveva ricevuto alcuna
sanzione;
-
il
margine di discrezionalità riconosciuto al lavoratore era solo “relativo”;
-
quand’anche il lavoratore avesse goduto di una notevole autonomia, il valore venale del
dono avrebbe dovuto considerarsi del tutto inidoneo ad infondere il “sospetto
di tendere a realizzare una captatio benevolentiae quanto meno
imbarazzante”.
Queste
erronee premesse hanno indotto la Corte di Appello ad affermare che la
ricezione di un regalo, senza averlo indicato ai superiori, a prescindere dal
modesto valore economico, dovesse considerarsi lesivo della fiducia riposta nel
lavoratore da parte del datore di lavoro.
Dopo
questa lunga disamina, la Cassazione ha concluso che la Corte d’Appello, sulla base di una inadeguata
ricostruzione del complessivo comportamento del lavoratore, ha effettuato una
erronea valutazione della proporzionalità della condotta addebitabile al
lavoratore – in realtà consistente soltanto nella sola mancata segnalazione ai superiori
della ricezione del dono e, come tale, meritevole di una sanzione meno grave del licenziamento.
Valerio
Pollastrini
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