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giovedì 13 febbraio 2014

I tempi per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro rientrano nell’orario retribuito

Nella sentenza n. 2837 del 7 febbraio 2014, la Corte di Cassazione ha ricordato gli elementi che consentono di collocare all’interno dell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione, i tempi necessari  per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro imposti ai dipendenti dal datore di lavoro.

Il caso in oggetto è quello di un addetto alla lavorazione di gelati e surgelati al quale veniva richiesto di presentarsi sul luogo di lavoro 15/20 minuti prima dell’inizio della prestazione per indossare tuta, scarpe antinfortunistiche, copricapo ed indumenti intimi aziendali.

Il lavoratore poteva timbrare  il cartellino, solo al termine delle operazioni di vestizione. Stessa cosa avveniva per la fase di svestizione  alla fine della giornata lavorativa.

Il dipendente si era rivolto al Giudice del lavoro, chiedendo che il tempo utilizzato per le operazioni propedeutiche all’inizio e alla fine dell’attività lavorativa, e quindi quelle di vestizione e svestizione, venisse ricondotto all’interno dell’orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione.

Dopo il rigetto del Tribunale, la Corte di Appello aveva accolto il ricorso del lavoratore.

Facendo ricorso a criteri medi di esperienza, la Corte territoriale aveva stimato la durata delle due diverse fasi giornaliere in dieci minuti ciascuna ed aveva utilizzato gli stessi parametri temporali per la quantificazione della retribuzione dovuta al dipendente.

Il datore di lavoro aveva quindi ricorso in Cassazione, adducendo, tra le motivazioni, quanto disposto dal Contratto Collettivo Nazionale applicabile che, imponendo all’azienda la destinazione di un locale ad uso spogliatoio, specifica che lo stesso debba rimanere chiuso durante l’orario di lavoro. L’ultimo inciso escluderebbe, pertanto, che i tempi destinati alla vestizione e svestizione rientrino nell’orario di lavoro.

Il datore di lavoro contestava inoltre la riconducibilità dell’obbligo di indossare indumenti adeguati e protettivi alle direttive aziendali, trattandosi, invece, di prescrizioni sancite da norme di legge.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte, rigettando il ricorso aziendale, ha precisato che per stabilire se un determinato periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre valutare se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione di quest'ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera.

Tale principio consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa (1)  ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale, ad esempio, può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria.

Configurandosi una simile situazione, il tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro deve essere retribuito.

Secondo la Cassazione, nel caso di specie l’analisi compiuta dalla Corte di Appello si era svolta nel pieno rispetto di questo principio.

La Corte territoriale aveva infatti accertato che le operazioni di vestizione e svestizione venivano eseguite all’interno dei locali aziendali prefissati e nei tempi delimitati non solo dalla timbratura del cartellino, ma anche dal limite di 29 minuti prima dell'inizio del turno.

Tali operazioni, inoltre, erano risultate  regolate da obblighi e divieti sanzionati disciplinarmente, stabiliti dal datore di lavoro e riferibili all'interesse aziendale, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti.

Gli Ermellini hanno concluso affermando che la determinazione  della durata del tempo in questione e la conseguente quantificazione della  controprestazione retributiva  era stata operata dal Giudice di Appello in via equitativa e con prudente apprezzamento che, poiché  adeguatamente motivato, risulta,  di fatto, incensurabile in Cassazione.

Valerio Pollastrini


(1)   - Art. 2104, comma 2, Cod.Civ.;


lunedì 10 febbraio 2014

Escluso un automatico diritto al risarcimento del danno per i mancati riposi

La Corte di Cassazione, nella sentenza n.26938 del 26 novembre 2013, ha stabilito che, per i dipendenti che volontariamente abbiano svolto una prestazione lavorativa consecutivamente per oltre sei giorni, non sussiste un diritto incondizionato al risarcimento del danno per riposo non goduto.

Nel caso in cui non venga debitamente provata  una lesione psico-fisica subita dai lavoratori, la volontarietà e la non obbligatorietà della prestazione resa escludono, infatti, qualsiasi tipo di risarcimento, patrimoniale ed esistenziale, oltre che biologico.

Il caso di specie è quello che ha riguardato alcuni autisti dell’Azienda Mobilità e Trasposti spa di Genova che, nell’arco di diversi anni, avevano svolto la propria attività lavorativa anche nei giorni dedicati al riposo settimanale, prestando così servizio per un periodo superiore ai sei giorni consecutivi.

Per via dei mancati riposi, i lavoratori si erano rivolti al Giudice del lavoro per il riconoscimento in loro favore del diritto al risarcimento del danno di tipo patrimoniale, esistenziale e biologico.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano però rigettato le domande dei lavoratori in base al presupposto che il lavoro straordinario era stato svolto nei giorni di riposo con la preventiva disponibilità ed il consenso dei dipendenti, i quali avevano percepito   il maggiore compenso previsto in  caso di lavoro al di fuori della normale giornata lavorativa.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha confermato, in sostanza, quanto disposto nei precedenti giudizi di merito.

La Cassazione ha chiarito che il diritto al risarcimento del danno sussiste nel caso di una perdita definitiva del riposo, vale a dire, nel caso in cui esso non venga  fruito neppure in un arco temporale maggiore di sette giorni.

La fattispecie della prestazione domenicale compensativa non può essere equiparata, a detta della Corte, a quella del riposo compensativo goduto oltre l’arco dei sette giorni. Un conto è, infatti, la definitiva perdita del riposo agli effetti sia dell’obbligazione retributiva che del risarcimento del danno per lesione di un diritto della persona, un altro è, invece,  il semplice ritardo della pausa di riposo, ipotesi, quest’ultima,  in cui  il compenso è dovuto a norma del comma 2 dell’art. 2126 c.c., che espressamente gli attribuisce natura retributiva.

Valerio Pollastrini

Nuova funzione per la consultazione dei pagamenti delle prestazioni dell’Inps

Nel Messaggio n.2436 del 10 febbraio 2014 l’Inps ha annunciato l’integrazione dell’applicazione “Cassetto previdenziale del cittadino” con una nuova funzionalità che consente la consultazione dei dati di dettaglio dei pagamenti dei trattamenti di disoccupazione (indennità di disoccupazione ASpI e mini-ASpI, indennità di disoccupazione agricola, indennità di mobilità, indennità di disoccupazione ordinaria, ecc.).

Il nuovo strumento, si legge nella nota dell’Istituto, risponde all’esigenza di migliorare la  trasparenza e la fruibilità delle informazioni rivolte agli utenti.

Sia i cittadini che gli operatori Inps potranno accedere alla nuova funzione attraverso le seguenti modalità: 

-      il cittadino dovrà collegarsi al sito istituzionale “www.inps.it” e, previa identificazione tramite PIN, avrà così accesso al proprio Cassetto previdenziale; dal Cassetto dovrà selezionare, sul menù a sinistra, la voce “Prestazioni” e poi la sottovoce “Pagamenti”;

-      l’operatore INPS dovrà collegarsi al sito intranet dell’Istituto e selezionare, in successione, il menù “Processi”, la voce “Assicurato pensionato” e l’applicazione “Cassetto previdenziale del cittadino”; su tale applicazione dovrà effettuare la ricerca per codice fiscale o per dati anagrafici dell’assicurato di interesse e, una volta apparsa la schermata contenente il “Dettaglio soggetto”, dovrà selezionare, sul menù a sinistra, la voce “Prestazioni” e poi la sottovoce “Pagamenti”.

Una volta selezionata la sottovoce “Pagamenti”, in entrambi i casi apparirà il “Riepilogo dei pagamenti eseguiti”, vale a dire la lista, divisa per anno, dei pagamenti eseguiti in favore dell’assicurato.

Dal “Riepilogo dei pagamenti eseguiti”, selezionando la categoria di prestazione desiderata (relativa ad un determinato anno) verranno visualizzate le “Prestazioni in pagamento per l’anno xxxx”, vale a dire i dati di riepilogo dei pagamenti delle prestazioni comprese nella categoria medesima, eseguiti nel corso di quell’anno.

Infine, dalla schermata recante le “Prestazioni in pagamento per l’anno xxxx”, cliccando sul contenuto della sezione “Note” del singolo pagamento apparirà il “Dettaglio pagamenti”, cioè un prospetto che indica le singole voci che compongono l’importo in pagamento, del quale si riporta di seguito lo schema:

Beneficiario: xxxxxx xxxxxx 
Prestazione in pagamento: xxxxxx
Numero della domanda: xxxxxxxxxxxxx
Giorni erogati: xxx 
Periodo di riferimento: xx/x/xxxx - xx/x/xxxx 

 
Importo indennita': +  xxxxxx 
Trattenute sindacali: -  xxxxxx
Importo ANF: +  xxxxxx   
Tattenute IRPEF Anno Corrente: -  xxxxxx   
Netto Pagamento: +  xxxxxx

 
Valerio Pollastrini

Buonuscita a rate per i dipendenti pubblici

L’art.1, commi 484 e 485, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (1) ha introdotto alcune novità in merito alla corresponsione del Trattamento di fine rapporto  per i dipendenti pubblici, nonché per  gli altri dipendenti iscritti alle gestioni delle indennità di fine lavoro dell’Istituto (ex ENPAS e ex INADEL).

Nel Messaggio n.996/2014, l’Inps ha chiarito che i dipendenti pubblici che matureranno quest’anno la pensione per limiti di età o di servizio riceveranno il trattamento di fine rapporto o il trattamento di fine servizio dopo un anno.

Indipendentemente  dai requisiti, la buonuscita sarà erogata con le seguenti modalità:

a)     In unica soluzione per importi inferiori a 50 mila € (90 mila € fino all’anno scorso);

b)    In due rate annuali per gli importi compresi tra i limiti di cui al punto a) e 100 mila € (150 mila € fino all’anno scorso);

c)     In tre rate annuali per importi superiori a 100 mila €.

Valerio Pollastrini


(1)   - legge di stabilità 2014;

Venditori porta a porta autonomi

Fornendo i chiarimenti richiesti dall’Ordine dei Consulenti del Lavoro, con Interpello n.3 del 30 gennaio 2013 il Ministero del lavoro ha chiarito che l’attività di raccolta degli ordini, presso il domicilio del consumatore, da parte di un titolare di partita Iva, ove sia svolta senza subordinazione, con il possesso del tesserino di riconoscimento e nel rispetto degli altri requisiti di cui alla Legge n. 173/2005, non è soggetta alla presunzione prevista dall’articolo 69-bis del D. Lgs. n. 276/2003.

L’istante aveva chiesto se le prestazioni rese da questa tipologia di lavoratori potessero o meno essere ricomprese nella più ampia categoria delle “altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo” assoggettabili alle previsioni contenute nell’art. 69 bis  del D.Lgs. n. 276/2003.

La disciplina dettata dalla Legge n.173/2005 considera la “vendita diretta a domicilio” come:

 a) la forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi, di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, effettuate tramite la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio del consumatore finale o nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago;

b) incaricato alla vendita diretta a domicilio, colui che, con o senza vincolo di subordinazione, promuove, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio;

c) impresa o imprese, l'impresa o le imprese esercenti la vendita diretta a domicilio di cui alla lettera a).

La lettera della norma evidenzia che si tratta di prestazioni che possono essere svolte anche  senza vincolo di subordinazione ed in tal caso l’attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio si considera “di carattere occasionale sino al conseguimento di un reddito annuo, derivante da tale attività, non superiore a 5000 euro”.

Ciò premesso,  il Ministero ha richiamato quanto in parte chiarito nella circolare n.7/2013 che, per la configurazione del rapporto privo di subordinazione, aveva introdotto numerose condizioni, quali l’ obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento di cui all’art. 19, commi 5 e 6, del D.Lgs. n. 114/1998, ed il possesso dei requisiti di cui all’art. 5, comma 2, del medesimo Decreto.

Inoltre, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della citata L. n. 173/2005 “l’attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione può essere altresì esercitata, senza necessità di stipulare un contratto di agenzia, da soggetti che svolgono l’attività in maniera abituale, ancorché non esclusiva, o in maniera occasionale, purché incaricati da una o più imprese”; in tal caso, peraltro, l’incarico deve essere provato per iscritto con indicazione dei diritti e degli obblighi di cui ai commi 3 e 6 dell’art. 4 della L. n. 173/2005.

In presenza dei citati requisiti, il Ministero ha ritenuto che l’attività in questione, per i soggetti in possesso di posizione fiscale ai fini IVA, non sia interessata dal regime presuntivo dell’art. 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003.

Viceversa, qualora l’attività venga svolta in assenza di una o più condizioni previste dalla stessa L. n. 173/2005 e quindi non si configuri una vera e propria “vendita diretta a domicilio”, potrà trovare applicazione l’art. 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003 (1) fermo restando che, in presenza degli usuali indici di subordinazione, il rapporto potrà essere “direttamente” ricondotto ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (2).

 
Valerio Pollastrini

 
(1)   - v. circ. n. 32/2012;
(2)    - v. circ. n. 7/2013;

Il compenso erogato alla colf rientra nel redditometro

Con l’Ordinanza n.2015 del 29 gennaio 2014 la Cassazione ha chiarito che anche il compenso erogato alla Colf  costituisce un elemento utile ai fini dell’accertamento del reddito attraverso lo strumento del redditometro.

La Suprema Corte ha ricordato che l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all'amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 e 5, consiste nell'applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l'ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva).

Si tratta di una presunzione che determina un’inversione dell’opera della propria e che dunque fa ricadere a carico del contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà.

Valerio Pollastrini

sabato 8 febbraio 2014

Aumentano i contributi a carico dei datori di lavoro agricoli

L’articolo 3 del D.Lgs. n.146/1997 ha disposto,  per i lavoratori agricoli,  il riallineamento della contribuzione previdenziale con la più alta aliquota prevista per i dipendenti occupati nella generalità degli altri settori.

La norma ha previsto  un aumento annuale della contribuzione pari allo 0,70%, di cui lo 0,50% a carico dei lavoratori e lo 0,20% a carico delle imprese.

Si ricorda che l’aliquota contributiva a carico dei dipendenti,   conformemente con quella  applicata alla  generalità dei lavoratori subordinati,  ha già raggiunto l’8,84%.

Nel 2014 l’incremento annuale della contribuzione riguarderà, pertanto, solamente la quota a carico dei datori di lavoro.

Per l’anno in corso, la contribuzione a carico delle aziende agricole è dunque fissata al 45,1365%.

Valerio Pollastrini

Chiarimenti sul pensionamento dei dipendenti pubblici

Di recente, il Decreto Legge n. 101/2013 aveva fornito l’interpretazione di una norma della Riforma delle pensioni Fornero, chiarendo che, coloro che ne avessero maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011, sarebbero potuti  andare in pensione in base alla vecchia disciplina.

Tale   deroga aveva innescato  una vicenda giudiziaria di vasta portata.

La Funzione pubblica ne aveva dedotto che ,a partire dal 2012, le Pubbliche Amministrazioni avessero il preciso obbligo di  collocare a riposo, al compimento dei 65 anni di età, i dipendenti che nel 2011 avevano maturato la massima anzianità contributiva  di 40 anni o, comunque, i requisiti per la pensione (1).

In risposta ai chiarimenti sollecitati  da un Comune sulla corretta applicazione del citato Decreto Legge, la  Nota prot. 6295/2014 della Funzione pubblica ha, di fatto, sancito lo stop all’impiego fino a 70 anni per gli statali.

La Nota ha escluso per coloro che entro il 31 dicembre 2011 abbiano maturato i requisiti per la pensione la facoltà di collocamento a riposo. Costoro, infatti, avranno l’obbligo del pensionamento.

L’unica eccezione per rimanere in servizio è rappresentata dal mancato compimento dei 65 anni . Raggiunta tale età, la Pubblica Amministrazione avrà però l’obbligo di collocare il dipendente  a riposo.

Valerio Pollastrini


(1)   - circolare n. 2/2012;

Annunciato un pacchetto con 25 semplificazioni in materia lavoro

Il 4 febbraio 2014, sul sito istituzionale, il Ministro del lavoro Enrico Giovannini ha annunciato la prossima emanazione di un pacchetto di 25 semplificazioni normative sul lavoro.

Degli interventi previsti, la metà potrà essere introdotta in via amministrativa, mentre l’altra metà richiederà specifici interventi normativi.

Per contrastare la disoccupazione, il Ministro ha affermato di voler potenziare il mercato nella sua unitarietà, stimolando una riorganizzazione  delle politiche del lavoro delegate alle Regioni. A detta di Giovannini, infatti, le imprese straniere in Italia avvertono la difficoltà di operare in 20 mercati del lavoro diversi.

Per lo scrivente, le ultime esternazioni del Ministro evidenziano l’inadeguatezza dell’apparato istituzionale ad affrontare la grave crisi del lavoro che attanaglia il nostro Paese.

Si continua ad agire sugli aspetti burocratici senza approntare alcuna misura efficiente, specie nella riduzione dei costi del lavoro: unica vera barriera alla ripresa dell’occupazione.

Valerio Pollastrini

Colf e Badanti – Nel 2014 aumenta la contribuzione

Nel 2014, in seguito  alla lievitazione delle retribuzioni convenzionali (1), aumenteranno i contributi per Col e Badanti. L’incremento scatterà il prossimo 10 aprile, in coincidenza con la scadenza del pagamento dei contributi relativi al  primo trimestre 2014.

L’aumento previsto sarà comunque di lieve entità, basti pensare che per una colf con paga oraria di 8,50 € si pagheranno solamente due centesimi in più all'ora.

Si ricorda che per il  versamento della contribuzione  di queste categorie di lavoratori, la legge stabilisce  tre distinte fasce di salario orario convenzionale, alle quali corrispondono altrettante fasce di retribuzioni effettive.

Per calcolare l’importo esatto  della contribuzione,  è necessario ricercare, nella tabella allegata, l'importo del contributo orario corrispondente alla retribuzione effettivamente  corrisposta. A questo punto, basterà moltiplicare tale valore per il numero delle ore di lavoro svolte entro l'ultimo sabato del trimestre solare.

Per i rapporti  che, presso lo stesso datore di lavoro, abbiano un orario  superiore alle 24 ore settimanali, è prevista un'unica retribuzione oraria convenzionale a cui,  indipendentemente dalla paga oraria effettiva, corrisponde nel 2014 un contributo orario di 1,01 €.

Da ultimo si rammenta che, anche per Colf e Badanti, per i contratti a tempo determinato  deve applicarsi il contributo addizionale, a carico dei datori di lavoro, pari all'1,40% della retribuzione convenzionale imponibile ai fini previdenziali (2).

Il suddetto contributo aggiuntivo non è dovuto nei casi di assunzioni  a termine in  sostituzione di lavoratori assenti.

Valerio Pollastrini


(1)   - variazione dell'indice del costo della vita, maggiorato dell’1,1%;
(2)   – contributo introdotto dall'art. 2, comma 28, della legge n. 92/2012 (Riforma Fornero);

  

ALLEGATO


TABELLA CONTRIBUTI ORARI 2014

Valido dal 1° gennaio al 31 dicembre 2014
 
RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
 
RETRIBUZIONE ORARIA
IMPORTO CONTRIBUTO ORARIO
 
EFFETTIVA
 
Comprensivo quota CUAF
Senza quota CUAF
fino a  € 7,86
 
€ 1,39 (0,35)
€ 1,40 (0,35)
oltre € 7,86 fino a € 9,57
 
€ 1,57 (0,39)
€ 1,58 (0,39)
oltre € 9,57
 
€ 1,91 (0,48)
€ 1,92 (0,48)
Orario di lavoro superiore a 24 ore settimanali
 
  1,01 (0,25)
€ 1,02 (0,25)
·         senza contributo addizionale (comma 28, art.2 L. 92/2012)

 

Valido dal 1° gennaio al 31 dicembre 2014
 
RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
 
RETRIBUZIONE ORARIA
IMPORTO CONTRIBUTO ORARIO
 
EFFETTIVA
CONVENZIONALE
Comprensivo quota CUAF
Senza quota CUAF
fino a  € 7,86
€ 6,88
€ 1,49 (0,35)
€ 1,50 (0,35)
oltre € 7,86 fino a € 9,57
€ 7,77
€ 1,68 (0,39)
€ 1,69 (0,39)
oltre € 9,57
€ 9,47
€ 2,04 (0,48)
€ 2,06 (0,48)
Orario di lavoro superiore a 24 ore settimanali
€ 5,00
  1,08 (0,25)
€ 1,09 (0,25)
·         comprensivo contributo addizionale (comma 28, art.2 L. 92/2012) da applicare ai rapporti di lavoro a tempo determinato eccetto sostituzioni di lavoratori assenti.