Il caso in oggetto è quello di un addetto
alla lavorazione di gelati e surgelati al quale veniva richiesto di presentarsi
sul luogo di lavoro 15/20 minuti prima dell’inizio della prestazione per
indossare tuta, scarpe antinfortunistiche, copricapo ed indumenti intimi
aziendali.
Il lavoratore poteva timbrare il cartellino, solo al termine delle
operazioni di vestizione. Stessa cosa avveniva per la fase di svestizione alla fine della giornata lavorativa.
Il dipendente si era rivolto al Giudice
del lavoro, chiedendo che il tempo utilizzato per le operazioni propedeutiche
all’inizio e alla fine dell’attività lavorativa, e quindi quelle di vestizione
e svestizione, venisse ricondotto all’interno dell’orario di lavoro, con
conseguente diritto alla retribuzione.
Dopo il rigetto del Tribunale, la Corte di
Appello aveva accolto il ricorso del lavoratore.
Facendo ricorso a criteri medi di
esperienza, la Corte territoriale aveva stimato la durata delle due diverse
fasi giornaliere in dieci minuti ciascuna ed aveva utilizzato gli stessi
parametri temporali per la quantificazione della retribuzione dovuta al
dipendente.
Il datore di lavoro aveva quindi ricorso
in Cassazione, adducendo, tra le motivazioni, quanto disposto dal Contratto Collettivo Nazionale
applicabile che, imponendo all’azienda la destinazione di un locale ad uso
spogliatoio, specifica che lo stesso debba rimanere chiuso durante l’orario di
lavoro. L’ultimo inciso escluderebbe, pertanto, che i tempi destinati alla
vestizione e svestizione rientrino nell’orario di lavoro.
Il datore di lavoro contestava inoltre la riconducibilità
dell’obbligo di indossare indumenti adeguati e protettivi alle direttive aziendali,
trattandosi, invece, di prescrizioni sancite da norme di legge.
La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte, rigettando il ricorso
aziendale, ha precisato che per stabilire se un determinato periodo di servizio
rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre valutare se il
lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di
lavoro e ad essere a disposizione di quest'ultimo per poter fornire
immediatamente la propria opera.
Tale principio consente di distinguere nel
rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del
datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività
accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa (1) ed autonomamente esigibili dal datore di
lavoro, il quale, ad esempio, può rifiutare la prestazione finale in difetto di
quella preparatoria.
Configurandosi una simile situazione, il
tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro deve essere
retribuito.
Secondo la Cassazione, nel caso di specie l’analisi
compiuta dalla Corte di Appello si era svolta nel pieno rispetto di questo
principio.
La Corte territoriale aveva infatti accertato
che le operazioni di vestizione e svestizione venivano eseguite all’interno dei
locali aziendali prefissati e nei tempi delimitati non solo dalla timbratura
del cartellino, ma anche dal limite di 29 minuti prima dell'inizio del turno.
Tali operazioni, inoltre, erano risultate regolate da obblighi e divieti sanzionati
disciplinarmente, stabiliti dal datore di lavoro e riferibili all'interesse
aziendale, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti.
Gli Ermellini hanno concluso affermando
che la determinazione della durata del tempo in questione e la
conseguente quantificazione della
controprestazione retributiva era
stata operata dal Giudice di Appello in via equitativa e con prudente
apprezzamento che, poiché adeguatamente
motivato, risulta, di fatto, incensurabile
in Cassazione.
Valerio Pollastrini
(1)
- Art. 2104, comma 2, Cod.Civ.;
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