Alla luce di tali considerazioni, gli ermellini hanno
sconfessato la pronuncia con la quale la Corte di Appello di Roma aveva
ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente che, nelle more
della sua assenza dal lavoro a seguito di una colica addominale, si era
tuttavia dedicato alla pesca subacquea.
Corte di Cassazione, Sentenza
n.16465 del 5 agosto 2015
Svolgimento del
processo
Con sentenza del 16
luglio 2014 la Corte d'appello di Roma, in riforma della decisione del
Tribunale, annullava il licenziamento intimato a G.D. dalla s.p.a. T. per avere
svolto durante l'assenza dal lavoro per malattia attività incompatibili con lo
stato morboso (colica addominale), in ispecie tre immersioni per pesca
subacquea.
Premesso che
l'attività svolta durante l'assenza per malattia costituiva illecito
disciplinare soltanto se indicasse la simulazione dello stato patologico oppure
se pregiudicasse la guarigione ed il rientro in servizio, la Corte negava la
realizzazione tanto della seconda ipotesi, considerato che il lavoratore aveva
ripreso servizio alla scadenza del periodo pronosticato, quanto della prima
ipotesi, giacché la malattia era stata constatata con due visite fiscali.
Il contratto
collettivo, per di più, sanzionava la simulazione di malattia con un massimo di
quattro giorni di sospensione.
Infine che l'assenza
per malattia si fosse protratta per un tempo superiore a quello consentito
dallo stesso contratto collettivo per la conservazione del posto era
circostanza estranea alla contestazione dell'addebito.
Contro questa sentenza
ricorre per cassazione la s.p.a. T. mentre il D. resiste con controricorso,
illustrato poi da memoria. Anche T. ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Col primo motivo la
ricorrente, facendo riferimento all'art. 360, primo comma, n.5 cod. proc. civ.,
imputa alla Corte d'appello di non aver tenuto conto che, dopo avere ottenuto
una prognosi fino ad una certa data e dopo essersi dedicato alla pesca
subacquea in quella data, il lavoratore ottenne dal medico un prolungamento
della prognosi, così risultando non vero che egli riprese il lavoro alla prima
scadenza.
Col secondo motivo la
ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 2104, 2105,
2110, 2119, 2697, 2729 cod. civ., 116 cod. proc. civ., per non avere il
lavoratore provato che l'attività extralavorativa non potesse pregiudicare il
pieno e tempestivo recupero delle sue energie fisiche.
Col quinto motivo la
ricorrente deduce la violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost. 132 cod.
proc. civ., 118 disp. att cod. proc. civ., sostenendo che il suddetto
prolungamento dell'assenza dal lavoro costituiva non un illecito diverso da
quello contestato bensì un indice della simulazione dello stato di malattia.
La stessa censura è
ripetuta nel sesto motivo, ove è invocato l'art. 7 l. n. 300 del 1970; nel
settimo e nell'ottavo motivo, con riferimento alla complessiva durata
dell'assenza, nonché nel nono motivo, in cui, invocando gli artt. 2110, 2697,
2729 cod. civ., 116 cod. proc. civ., si richiama l'osservazione del tribunale,
mai smentita, secondo cui il lavoratore assente aveva dichiarato la propria
reperibilità presso un villaggio turistico e non presso il proprio domicilio.
Tutti questi motivi,
da esaminare insieme perché connessi, sono fondati.
La sequenza dei fatti
in essi evocati e non contestati dalla controparte, ma anzi esposti nelle
pagine 2 e 3 del controricorso, consiste in una prima fase di assenza dal
lavoro, dal 17 al 20 luglio 2012, giustificata da una diagnosi di colica
addominale formulata sia dal Pronto soccorso dell'ospedale di M. sia da un
medico dell'Inps, che espresse una prognosi fino al 20 luglio 2012; ed in una
seconda fase, che durò fino al 26 luglio, su prognosi d'infiammazione cronica
intestinale, formulata dal medico di famiglia. Il giorno 22 luglio, secondo la
formulazione dell'addebito disciplinare, il lavoratore aveva praticato la pesca
sportiva in apnea ossia la pesca subacquea.
La Corte d'appello,
richiamando la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, premette in
diritto che il licenziamento può ritenersi giustificato quando un'attività
svolta dal lavoratore nel periodo di assenza per malattia possa pregiudicare o
ritardare la guarigione o il rientro in servizio, con violazione dei doveri
generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di
diligenza e fedeltà.
Ciò premesso, e con
riferimento al caso di specie, la Corte nega che l'ipotesi si sia verificata,
non avendo le "attività ludiche" provocato alcun pregiudizio o
ritardo poiché il lavoratore riprese alla scadenza della prognosi la sua
attività in azienda. Così giudicando la Corte è incorsa nei denunciati errori
di diritto (violazione degli artt. 1175, 1176, 2119 cod. civ.) e nel
conseguente omesso esame della suddetta sequenza temporale.
Il comportamento
indisciplinato di cui qui si tratta, ossia lo svolgimento di attività
extralavorativa in periodo di assenza dal lavoro per malattia, costituisce
illecito di pericolo e non di danno. Questo sussiste perciò non soltanto
quell’attività abbia effettivamente provocato un'impossibilità temporanea di
ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia stata posta in pericolo,
ossia quando il lavoratore si sia comportato in modo imprudente.
Non essendosi attenuta
a questo criterio di giudizio, La Corte d'appello non ha valutato se la
malattia addominale rappresentata dal lavoratore fosse prudentemente compatibile
con la pesca subacquea. Cassata la sentenza impugnata, a detta valutazione
provvederà il giudice di rinvio, eventualmente chiedendo lumi ad un consulente
tecnico.
Col terzo motivo la
ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 60, 63, 64 c.c.n.l. della
mobilità/area contrattuale attività ferroviarie, 20 luglio 2012 (articoli
confermativi di altri analoghi del contratto del 2003), e 2119 cod. civ., per
non avere la Corte d'appello considerato che l'illecito del lavoratore consiste
non soltanto in una simulazione di malattia, punibile con la sola sanzione
conservativa, ma anche nel fine di assentarsi dal servizio. Inoltre l'art. 63
cit. punisce col licenziamento ogni assenza "ingiustificata dal lavoro per
più di sei giorni lavorativi".
Col quarto motivo la
ricorrente prospetta la violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 132
cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., per non avere la Corte di
merito considerato che la simulazione della malattia rendeva ingiustificata
l'assenza dal lavoro.
Questi motivi
rimangono assorbiti dall'accoglimento degli altri, dei quali s'è detto sopra.
Accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata, il giudice del rinvio
provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo,
secondo, quinto e sesto motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa
in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in
diversa composizione, anche per le spese.
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