Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Roma rigettava il reclamo proposto da
M.D. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva confermato
l'ordinanza con cui era stata rigettata la sua impugnazione del licenziamento
irrogatogli dalla H.R. s.p.a., a motivo di un diverbio litigioso sfogato in vie
di fatto con un collega.
Per la cassazione della sentenza M.D. ha proposto ricorso,
affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la H.R. s.p.a.
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso possono essere cosi riassunti:
1.1. Come primo motivo di ricorso il D. lamenta violazione o
falsa applicazione di norme di diritto (artt. 324 c.p.c., 115 e 116 c.p.c.) e
omessa valutazione di una circostanza determinante e sostiene che dalle
dichiarazioni dei testimoni non emergerebbe la prova di chi abbia dato origine
al passaggio alle vie di fatto, circostanza che risulterebbe confermata anche
nei provvedimenti di primo grado, nei quali era stato accertato soltanto il
ravvicinamento fisico tra i due dipendenti.
1.2. Come secondo motivo lamenta la violazione e falsa
applicazione di norme di diritto (artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., 112
c.p.c.) e lamenta che il mancato accertamento delle modalità con le quali ha
avuto inizio il diverbio litigioso, avrebbe viziato anche la valutazione di
proporzionalità della sanzione. Il giudizio di proporzionalità sarebbe viziato
inoltre dal non aver tenuto conto il giudice di merito della carriera
professionale del D. - alle dipendenze della resistente dal 1994 al 2012
occupandosi della gestione di alberghi, senza mai ricevere contestazioni
disciplinari - né del fatto che l’episodio contestato si era verificato in un
piano interrato, lontano dalla clientela e in un orario di pausa dal lavoro.
2. All’esame di entrambi i motivi, occorre premettere che al
presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360
comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83,
convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che prevede come
quinto motivo di ricorso per cassazione l’ "omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".
La disposizione ha modificato la precedente locuzione, che contemplava l’
"omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio", introdotta dalla riforma del
giudizio di Cassazione operata con la legge n. 40 del 2006, che aveva a sua
volta sostituito il concetto di "punto decisivo della controversia"
con quello di "fatto controverso e decisivo".
Gli aspetti salienti della riforma consistono in primo luogo
nell’eliminazione del riferimento alla motivazione, sicché si è rilevato che
l’eventuale carenza o difetto di tale parte della sentenza può avere rilievo
solo ove trasmodi in vizio processuale ex art. 360 n. 4) c.p.c.
E’ stato invece mantenuto il riferimento al "fatto
controverso e decisivo", in relazione al quale l’elaborazione sviluppatasi
nella giurisprudenza di questa Corte aveva già chiarito che per tale deve intendersi
"un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, ossia
un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo
impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza,
un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto
principale), purché controverso e decisivo." (così, Cass. 29 luglio 2011,
n. 16655, conf., Sez. L, Sentenza n. 18368 del 31/07/2013; Cass. (ord.) 5
febbraio 2011, n. 2805).
In coerenza con tali premesse, le Sezioni Unite di questa
Corte nella sentenza n. 8053 del 07/04/2014 hanno enunciato il seguente
principio di diritto:
"a) La riformulazione dell'art. 360, n. 5), cod. proc.
civ., disposta con l'art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni,dalla
L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti», dev’ essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al
minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di
legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di
legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé,
come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le
risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del
difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi
sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione
apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni
inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile".
b) Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ.
introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se
esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
c) L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per
sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in
causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
d) La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso
rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c.p.c. e
369, secondo comma, n. 4), c.p.c. - il "fatto storico", il cui esame
sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne
risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro
processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la
"decisività" del fatto stesso".
La "porta" attraverso la quale la sentenza gravata
deve oggi venire valutata sulla base di questo motivo di ricorso è quindi
divenuta più "stretta", potendo la sentenza essere censurata solo
quando il decisum non sia sorretto da un percorso logico in relazione ai suoi
elementi essenziali e fondanti. In tal senso, la lacunosità e la
contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio
sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il
motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa
attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del
merito, a meno che l’omissione della sua valutazione non si sia tradotta
nell’omesso esame di una circostanza impeditiva di un diverso risultato
decisorio.
3. Sulla base di quanto premesso, il primo motivo risulta
inammissibile e comunque infondato.
3.1. La Corte territoriale ha ritenuto fondato l’addebito
argomentando che dall’ istruttoria svolta è emerso un quadro probatorio,
costituito da una serie di indizi precisi e concordanti nel senso di
un'aggressione fisica e violenta realizzata da D. a danno del collega di
lavoro. In particolare, ha ritenuto che la sequenza dei fotogrammi delle
telecamere interne fosse compatibile con la versione del collega di lavoro
"vittima" dell’aggressione, resa al Tribunale e nella
denuncia-querela ai Carabinieri; egli inoltre aveva immediatamente riferito di
avere subito, "un morso al naso" al vicedirettore e, poco dopo, ai
medici del pronto soccorso. La Corte territoriale ha aggiunto che le difese del
lavoratore erano state contraddittorie, laddove egli nelle prime
giustificazioni aveva tentato di avvalorare la versione secondo la quale era
stato vittima di un’ aggressione verbale e di un tentativo di aggressione
fisica da parte del collega, e solo in un secondo momento aveva ammesso un
contatto fisico meramente accidentale. Inoltre, non aveva trovato riscontro la
disposizione dell’unico testimone, peraltro sottoposto a procedimento penale
per falsa testimonianza, che aveva adombrato la giustificazione della
provocazione da parte del collega di lavoro.
3.2. Tale puntuale ricostruzione non può essere messa in
discussone dai rilievi del ricorrente, con i quali sostanzialmente, sotto il
profilo sia della violazione di legge che del vizio di motivazione, si richiede
a questa Corte di legittimità una diversa lettura delle risultanze istruttorie
già puntualmente valutate, singolarmente e nella loro concatenazione, dalla
Corte capitolina.
4. Neppure il secondo motivo è fondato.
In merito all’ idoneità dell’inadempimento a costituire
giusta causa di risoluzione del rapporto, occorre qui ribadire che la giusta
causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una
nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da
disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con disposizioni
(ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato
contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in
sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi
alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente
richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma
giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità
come violazione di legge. L’ accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto
dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le
sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o
giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione
che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente
contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza
rispetto agli "standards", conformi ai valori dell' ordinamento,
esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del
2011).
4.1. Nel caso che ne occupa, la censura non evidenzia quali
sarebbero gli "standards" dai quali la Corte d’appello si sarebbe
discostata, ma pare piuttosto finalizzata a rivalutare le risultanze
istruttorie in ordine ai fatti contestati, per ridimensionarne la rilevanza sul
piano disciplinare rispetto a quanto ritenuto nella sentenza di merito.
4.2. In virtù di costante giurisprudenza di questa S.C.,
infatti, per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati
devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto
di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario; la relativa
valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti
alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al
grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni dei dipendente, al
nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi,
ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità
dell'elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n.
25608/2014 e 7394/2000).
43. A tale insegnamento si è attenuta la Corte territoriale.
Il giudizio di proporzionalità tra l’addebito e la sanzione è stato infatti
compiuto sulla base del rilievo che la condotta addebitata, correttamente
ricostruita sulla base delle emergenze processuali, denotasse un'inclinazione
del lavoratore alla reazione fisica e violenta incontrollata rispetto a situazioni
di potenziale conflittualità, oggettivamente grave e tale da ledere la fiducia
nel futuro, corretto adempimento, considerate le mansioni di coordinatore dei
servizi ristorativi, con rapporti sia con i camerieri dallo stesso coordinate
sia con la clientela, che richiedevano invece capacità di mediazione ed
equilibrio.
4.4. Né l’evidenza di tale conclusione può essere smentita
da elementi quali l’assenza di precedenti contestazioni, considerato che la
recidiva non è stata ritenuta significativa al fine della valutazione della
condotta.
4.5. Il ricorrente, laddove lamenta che non sia stato
valutato l’elemento soggettivo c la carriera professionale, si limita quindi a
proporre una diversa lettura degli atti e dei documenti che sono già stati
esaminati: in tal modo, si chiede a questa Corte di riesaminare tutte le
risultanze richiamate, cercando in esse i contenuti che potrebbero essere
rilevanti nel senso voluto patrocinato. Le deduzioni formulate, rimangono,
dunque, confinate in una mera contrapposizione valutativa, inidonea, in quanto
tale» a radicare un deducibile vizio di motivazione della sentenza impugnata, e
tantomeno un vizio di violazione di legge.
5. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da
dispositivo.
5.1. Il ricorso è stato notificato in data successiva a
quella (31.1.2013) di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2012, n. 228, il
cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: "Quando
l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata
inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la
stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il
giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello
stesso". Essendo il ricorso rigettato, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
complessivi € 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per
esborsi ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater; del
D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13.
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