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mercoledì 5 agosto 2015

Cassazione - L’aggressione ad un collega costituisce una giusta causa di licenziamento

Corte di Cassazione, sentenza n.16078 del 29 luglio 2015

Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Roma rigettava il reclamo proposto da M.D. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva confermato l'ordinanza con cui era stata rigettata la sua impugnazione del licenziamento irrogatogli dalla H.R. s.p.a., a motivo di un diverbio litigioso sfogato in vie di fatto con un collega.

Per la cassazione della sentenza M.D. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la H.R. s.p.a.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso possono essere cosi riassunti:

1.1. Come primo motivo di ricorso il D. lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 324 c.p.c., 115 e 116 c.p.c.) e omessa valutazione di una circostanza determinante e sostiene che dalle dichiarazioni dei testimoni non emergerebbe la prova di chi abbia dato origine al passaggio alle vie di fatto, circostanza che risulterebbe confermata anche nei provvedimenti di primo grado, nei quali era stato accertato soltanto il ravvicinamento fisico tra i due dipendenti.

1.2. Come secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., 112 c.p.c.) e lamenta che il mancato accertamento delle modalità con le quali ha avuto inizio il diverbio litigioso, avrebbe viziato anche la valutazione di proporzionalità della sanzione. Il giudizio di proporzionalità sarebbe viziato inoltre dal non aver tenuto conto il giudice di merito della carriera professionale del D. - alle dipendenze della resistente dal 1994 al 2012 occupandosi della gestione di alberghi, senza mai ricevere contestazioni disciplinari - né del fatto che l’episodio contestato si era verificato in un piano interrato, lontano dalla clientela e in un orario di pausa dal lavoro.

2. All’esame di entrambi i motivi, occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che prevede come quinto motivo di ricorso per cassazione l’ "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". La disposizione ha modificato la precedente locuzione, che contemplava l’ "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", introdotta dalla riforma del giudizio di Cassazione operata con la legge n. 40 del 2006, che aveva a sua volta sostituito il concetto di "punto decisivo della controversia" con quello di "fatto controverso e decisivo".

Gli aspetti salienti della riforma consistono in primo luogo nell’eliminazione del riferimento alla motivazione, sicché si è rilevato che l’eventuale carenza o difetto di tale parte della sentenza può avere rilievo solo ove trasmodi in vizio processuale ex art. 360 n. 4) c.p.c.

E’ stato invece mantenuto il riferimento al "fatto controverso e decisivo", in relazione al quale l’elaborazione sviluppatasi nella giurisprudenza di questa Corte aveva già chiarito che per tale deve intendersi "un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo." (così, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655, conf., Sez. L, Sentenza n. 18368 del 31/07/2013; Cass. (ord.) 5 febbraio 2011, n. 2805).

In coerenza con tali premesse, le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053 del 07/04/2014 hanno enunciato il seguente principio di diritto:

"a) La riformulazione dell'art. 360, n. 5), cod. proc. civ., disposta con l'art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni,dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», dev’ essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile".

b) Il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

c) L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

d) La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c.p.c. e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c. - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso".

La "porta" attraverso la quale la sentenza gravata deve oggi venire valutata sulla base di questo motivo di ricorso è quindi divenuta più "stretta", potendo la sentenza essere censurata solo quando il decisum non sia sorretto da un percorso logico in relazione ai suoi elementi essenziali e fondanti. In tal senso, la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito, a meno che l’omissione della sua valutazione non si sia tradotta nell’omesso esame di una circostanza impeditiva di un diverso risultato decisorio.

3. Sulla base di quanto premesso, il primo motivo risulta inammissibile e comunque infondato.

3.1. La Corte territoriale ha ritenuto fondato l’addebito argomentando che dall’ istruttoria svolta è emerso un quadro probatorio, costituito da una serie di indizi precisi e concordanti nel senso di un'aggressione fisica e violenta realizzata da D. a danno del collega di lavoro. In particolare, ha ritenuto che la sequenza dei fotogrammi delle telecamere interne fosse compatibile con la versione del collega di lavoro "vittima" dell’aggressione, resa al Tribunale e nella denuncia-querela ai Carabinieri; egli inoltre aveva immediatamente riferito di avere subito, "un morso al naso" al vicedirettore e, poco dopo, ai medici del pronto soccorso. La Corte territoriale ha aggiunto che le difese del lavoratore erano state contraddittorie, laddove egli nelle prime giustificazioni aveva tentato di avvalorare la versione secondo la quale era stato vittima di un’ aggressione verbale e di un tentativo di aggressione fisica da parte del collega, e solo in un secondo momento aveva ammesso un contatto fisico meramente accidentale. Inoltre, non aveva trovato riscontro la disposizione dell’unico testimone, peraltro sottoposto a procedimento penale per falsa testimonianza, che aveva adombrato la giustificazione della provocazione da parte del collega di lavoro.

3.2. Tale puntuale ricostruzione non può essere messa in discussone dai rilievi del ricorrente, con i quali sostanzialmente, sotto il profilo sia della violazione di legge che del vizio di motivazione, si richiede a questa Corte di legittimità una diversa lettura delle risultanze istruttorie già puntualmente valutate, singolarmente e nella loro concatenazione, dalla Corte capitolina.

4. Neppure il secondo motivo è fondato.

In merito all’ idoneità dell’inadempimento a costituire giusta causa di risoluzione del rapporto, occorre qui ribadire che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. L’ accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli "standards", conformi ai valori dell' ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del 2011).

4.1. Nel caso che ne occupa, la censura non evidenzia quali sarebbero gli "standards" dai quali la Corte d’appello si sarebbe discostata, ma pare piuttosto finalizzata a rivalutare le risultanze istruttorie in ordine ai fatti contestati, per ridimensionarne la rilevanza sul piano disciplinare rispetto a quanto ritenuto nella sentenza di merito.

4.2. In virtù di costante giurisprudenza di questa S.C., infatti, per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni dei dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n. 25608/2014 e 7394/2000).

43. A tale insegnamento si è attenuta la Corte territoriale. Il giudizio di proporzionalità tra l’addebito e la sanzione è stato infatti compiuto sulla base del rilievo che la condotta addebitata, correttamente ricostruita sulla base delle emergenze processuali, denotasse un'inclinazione del lavoratore alla reazione fisica e violenta incontrollata rispetto a situazioni di potenziale conflittualità, oggettivamente grave e tale da ledere la fiducia nel futuro, corretto adempimento, considerate le mansioni di coordinatore dei servizi ristorativi, con rapporti sia con i camerieri dallo stesso coordinate sia con la clientela, che richiedevano invece capacità di mediazione ed equilibrio.

4.4. Né l’evidenza di tale conclusione può essere smentita da elementi quali l’assenza di precedenti contestazioni, considerato che la recidiva non è stata ritenuta significativa al fine della valutazione della condotta.

4.5. Il ricorrente, laddove lamenta che non sia stato valutato l’elemento soggettivo c la carriera professionale, si limita quindi a proporre una diversa lettura degli atti e dei documenti che sono già stati esaminati: in tal modo, si chiede a questa Corte di riesaminare tutte le risultanze richiamate, cercando in esse i contenuti che potrebbero essere rilevanti nel senso voluto patrocinato. Le deduzioni formulate, rimangono, dunque, confinate in una mera contrapposizione valutativa, inidonea, in quanto tale» a radicare un deducibile vizio di motivazione della sentenza impugnata, e tantomeno un vizio di violazione di legge.

5. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

5.1. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31.1.2013) di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2012, n. 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: "Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". Essendo il ricorso rigettato, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per esborsi ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater; del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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