Svolgimento
del processo
Con
sentenza del 24/5 -15/9/2011 la Corte d’appello di Milano - sezione lavoro ha
respinto l’impugnazione proposta da A.P. avverso la sentenza del giudice del
lavoro del Tribunale di Milano che gli aveva rigettato il ricorso teso
all’annullamento del licenziamento intimatogli 111/4/2005 dalla società C.
s.r.l. a seguito della soppressione della funzione dirigenziale dal medesimo
svolta, quale responsabile dell’area amministrativa, ancor prima che
quest’ultima rilevasse il ramo d’azienda dalla società s.p.a D.D.S.
Nel
confermare la decisione di primo grado la Corte territoriale ha spiegato che
l’appellante non aveva contestato l’esistenza della crisi aziendale del ramo
acquisito, crisi dimostrata dalla documentazione in atti, mentre era stato
provato il trasferimento della funzione dirigenziale, in precedenza svolta dal
P. all’amministratore delegato, la qual cosa equivaleva alla sua soppressione.
La
stessa Corte ha rilevato, inoltre, che solo nel giudizio di secondo grado
l’appellante aveva prospettato la questione sotto il profilo della violazione
del dovere di correttezza e buona fede riconducibile all’adozione del
provvedimento risolutorio da parte della datrice di lavoro immediatamente dopo
la cessione d’azienda.
Per
la cassazione della sentenza propone ricorso A.P. con sei motivi.
illustrati
da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste
con controricorso la C s.r.l. in liquidazione.
Motivi
della decisione
1.
Col primo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 342
e 112 c.p.c., il ricorrente contesta la decisione della Corte di merito
riguardante la ritenuta novità della questione sollevata con riferimento alla
lamentata violazione, da parte della datrice di lavoro, dei doveri di
correttezza e buona fede nella sede precontrattuale ed in quella di esecuzione
del contratto.
Il
P. assume che aveva già formulato il suddetto argomento difensivo in primo
grado, richiamando il mancato rispetto degli obblighi di informazione previsti
dalla legge, oltre che il simulato rispetto delle formalità.
Aggiunge
il ricorrente che egli aveva anche lamentato la violazione del generale
principio del "neminem laedere" in base al quale aveva richiesto il
ristoro del danno in misura corrispondente ad un ulteriore corrispettivo del
periodo di preavviso, considerato che aveva lavorato per l’azienda ceduta per
oltre vent’anni. Precisa il ricorrente che tale argomento era stato proposto ad
integrazione del motivo riguardante la violazione della normativa sulla
cessione d’azienda, dal momento che il licenziamento impugnato era stato
adottato dalla controparte nell’immediatezza della cessione stessa, dopo
l’incontro presso il sindacato.
Il
motivo è infondato.
Anzitutto,
non può sussistere la lamentata omissione di pronunzia per la semplice ragione
che la Corte d’appello si è pronunziata sulla questione sollevata con
riferimento alla dedotta violazione del principio del "neminem
laedere" per inosservanza dei doveri di correttezza e buona fede in
materia contrattuale ritenendola nuova rispetto alla linea difensiva di prime
cure.
D’altra
parte, la correttezza del rilievo operato dalla Corte territoriale trova un
riscontro nella lettura dei motivi di impugnativa del licenziamento esposti in
primo grado e riportati nel presente ricorso ai punti 1, 2 e 3 della pagina n.
2 -Ebbene, nell’elencazione dei predetti motivi non compare quello concernente
la violazione del doveri di correttezza e buona fede e del principio del
"neminem laedere".
Infatti,
il P. spiega a pagina n. 2 del presente ricorso che nell’atto introduttivo del
giudizio, risalente al 3 marzo del 2006, il primo motivo di impugnativa del
licenziamento era rappresentato dalla dedotta nullità dello stesso per carenza
di poteri del presunto amministratore delegato; che il secondo motivo era
costituito dalla lamentata mancanza di giustificazione del licenziamento e che
il terzo motivo era incentrato sulla violazione della normativa in materia di
cessione di azienda (art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428).
Pertanto,
l’asserita violazione dei doveri di correttezza e buona fede, seppur indicata
come argomentazione difensiva, non risulta annoverata in maniera specifica nei
tre motivi di impugnativa del licenziamento di cui sopra, così come richiamati
dalla difesa del P. nel presente ricorso.
2.
Col secondo motivo, dedotto per omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, il ricorrente ritiene
che la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato gli elementi
documentali indicati a sostegno dell’accertata esistenza della crisi aziendale
a causa della quale era stata soppressa la funzione dirigenziale da lui
ricoperta, vale a dire quelli del ricorso alla procedura ex art. 24 della legge
n. 223/1991, della Cassa integrazione guadagni e delle perdite di bilancio.
In
ordine alla prova del ricorso alla suddetta procedura di mobilità del personale
il ricorrente rileva che la Corte di merito l’avrebbe ricavata dalla delibera
del consiglio di amministrazione, ma aggiunge che un tale documento poteva
costituire solo la prova dell'intenzione dei rappresentanti dell’azienda di
avvalersi della suddetta procedura e non che la stessa era stata effettivamente
seguita. L’elemento dell’esistenza della Cassa integrazione guadagni sarebbe
stato, invece, ricavato da un articolo di giornale prodotto dalla controparte
che non poteva avere valore probatorio, mentre le perdite di bilancio erano
state riferite da un teste, ma non erano suffragate da prova documentale.
Il
motivo è infondato, atteso che il ricorrente si limita a contrapporre la sua
personale valutazione del materiale probatorio indicato a quella eseguita dal
collegio giudicante nell’ambito dei suoi poteri di accertamento, svolti in
maniera esente da rilievi di carattere logico-giuridico.
Invero,
come questa Corte ha avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 15355 del
9/8/2004) "il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in
sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia
riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della
controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle
prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma
non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il
merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico -
formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal
giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la
concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione" (in senso conf. v. anche Cass. Sez. 3
n. 9368 del 21/4/2006).
3.
Col terzo motivo, formulato per motivazione contraddittoria in ordine ad un
punto decisivo della controversia, il ricorrente censura la parte della
decisione in cui, una volta posta in evidenza la mancata contestazione dell’esistenza
della crisi aziendale del ramo d’azienda acquisito, si afferma l’irrilevanza di
una tale crisi rispetto al diritto insindacabile di organizzazione
dell’impresa.
Aggiunge
il ricorrente che, in realtà, la soppressione del posto di lavoro non atteneva
alla libertà imprenditoriale tutelata dall’art. 41 della Costituzione, bensì ad
un motivo di risparmio finanziario indotto dallo stato di crisi aziendale,
ragione, quest’ultima, non suscettibile di tutela da parte dell’ordinamento
giuridico.
Il
motivo è infondato.
Anzitutto
non è ravvisabile la lamentata contraddittorietà della motivazione, dal momento
che l’accento posto dalla Corte di merito sul concetto di insindacabilità della
scelta di riorganizzazione imprenditoriale non è in contrasto con il rilievo
dell’incontestato stato di crisi aziendale, rappresentando, pur sempre, una
tale situazione finanziaria una valida ragione d’impresa per la soppressione di
un determinato incarico ai fini degli equilibri economici della società.
In
ogni caso, la stessa Corte non si è limitata ad affermare, ai fini della
ritenuta sussistenza della legittimità del licenziamento, che lo stato di crisi
aziendale risultava incontestato, ma ha aggiunto che era stato provato il
trasferimento della funzione dirigenziale, in precedenza svolta dal ricorrente,
all’amministratore delegato, per cui si era avuta una effettiva soppressione
della funzione stessa, rappresentante, a sua volta, la causa giustificatrice
ultima del licenziamento.
4.
Col quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa
pronunzia su un punto decisivo della controversia, il ricorrente sostiene che
si era inutilmente doluto del fatto che il primo giudice non aveva valutato le
risultanze istruttorie cui si era genericamente riferito, vale a dire la
documentazione costituita da articoli di giornale e la deposizione del teste C
(asserito amministratore delegato), evidenziando, nel contempo, che la crisi
finanziaria posta a base della soppressione della funzione dirigenziale avrebbe
dovuto essere provata attraverso i bilanci della società e non attraverso due
articoli di giornale successivi all’epoca del licenziamento.
Tuttavia,
a suo giudizio, la Corte territoriale aveva completamente ignorato tali
censure, essendosi limitata ad affermare che determinate circostanze apparivano
provate.
Il
motivo è infondato.
Invero,
il fatto che la Corte d’appello ha ritenuto provata sia la circostanza
dell’esistenza della crisi aziendale del ramo acquisito, ricavandola dai dati
documentali del ricorso alla procedura ex art. 24 della legge n. 223/91. della
Cassa Integrazione Guadagni e dalle perdite di bilancio, sia quella della
soppressione della funzione dirigenziale in precedenza svolta dal p deducendola
dal trasferimento della stessa all’amministratore delegato, dimostra che il
collegio giudicante ha ritenuto come implicitamente disattese le doglianze
dell’appellante incentrate sulla valutazione dei summenzionati articoli di
giornale e della deposizione del teste C.
Infatti,
nel verificare la legittimità del licenziamento, la Corte d’appello ha dato
valenza alle specifiche risultanze documentali sopra menzionate, tra le quali
figurano anche quelle tratte dai bilanci richiamati dai ricorrente, per cui le
rimostranze manifestate da quest'ultimo in merito all’efficacia probatoria di
altri dati istruttori sono da ritenere implicitamente rigettate, con
conseguente insussistenza del lamentato vizio di omessa pronunzia che, tra
l’altro, è stato erroneamente prospettato come vizio di motivazione ai sensi
dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
5.
Col quinto motivo, proposto per motivazione difettosa e contraddittoria in
ordine ad un punto decisivo della controversia, il ricorrente contesta la
decisione della Corte d’appello nella parte in cui questa ha ritenuto che il
trasferimento della funzione dirigenziale, da lui precedentemente svolta,
all’amministratore delegato equivaleva a soppressione della stessa, in quanto
assume che nella fattispecie non si era avuta la totale eliminazione della
predetta funzione, bensì la sua semplice ripartizione all'interno dell'azienda,
anche se eseguita attraverso l’assegnazione degli stessi compiti ad un soggetto
che non era lavoratore subordinato.
Il
motivo è infondato.
Invero,
la Corte territoriale si è correttamente limitata a verificare l’effettività
dell’avvenuta soppressione della funzione dirigenziale in precedenza svolta dal
ricorrente dopo aver giustamente premesso che rientrava nelle facoltà
insindacabili dell'imprenditore la decisione di effettuare una riorganizzazione
consistente nella diversa ripartizione e attribuzione delle mansioni.
Tale
giudizio è in linea con l'orientamento di questa Corte che in passato ha avuto
occasione di ribadire (Cass. sez. lav. n. 17887 del 22/8/2007) che "il
licenziamento per motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all'attività
produttiva è scelta riservata all'imprenditore, quale responsabile della
corretta gestione dell'azienda anche dal punto di vista economico ed
organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa,
non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed
opportunità."
Invero,
ancor prima si era precisato (Cass. sez. lav. N. 21121 del 4/11/2004) che
"il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti
all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto
organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso
alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la
scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è
espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost.,
mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo
addotto dall'imprenditore; ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili
di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la
soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto
il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità
del riassetto organizzativo operato, ne' essendo necessario, ai fini della
configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le
mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le
stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite."
6.
Col sesto motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 1398,
1399, 1324, 1321 e 1441 c.p.c., oltre che per motivazione insufficiente e
contraddittoria, il ricorrente, dopo aver richiamato la propria eccezione
inerente alla mancata trascrizione nel registro delle imprese della delibera
che, secondo la controparte, avrebbe conferito all’amministratore delegato il
potere di licenziamento, contesta la decisione della Corte di ritenere
circoscritto ai soli rapporti esterni l’eventuale difetto di pubblicità della
predetta delibera e di considerare il solo datore di lavoro come legittimato
alla sua eventuale annullabilità.
Al
contrario, il ricorrente deduce che anch’egli aveva interesse alla verifica
della validità della delibera, quale soggetto destinatario dell’atto espulsivo
emesso in base ai poteri che quella stessa delibera, non munita di data certa e
non trascritta, conferiva all’amministratore delegato. Né poteva aver rilievo,
secondo tale assunto difensivo, la possibilità di ratifica della suddetta
delibera, atteso che alcun atto in tal senso era stato comunicato al
lavoratore.
Il
motivo è infondato.
In
particolare l'infondatezza discende dalla constatazione che la Corte
territoriale, nell’affrontare la questione della eccepita carenza di potere
dell’amministratore delegato ad adottare il licenziamento, ha spiegato che in
realtà un tale potere gli derivava non solo dal fatto che egli aveva la legale
rappresentanza della società "ex lege", ai sensi dell’art. 2475 cod.
civ., ma anche dallo statuto e dall’espressa delibera di conferimento del
potere di definire i rapporti coi dirigenti, per cui alcun rilievo può avere la
censura limitata alla questione della validità di quest’ultima. Inoltre, come è
stato correttamente evidenziato dalla Corte d’appello, secondo giurisprudenza
di questa Corte (Cass sez. lav. n. 14952/09 e n. 11133/04) nel rapporto di
lavoro alle dipendenze di una persona giuridica, l'emanazione di un
provvedimento disciplinare da parte di organo privo al riguardo del potere di
rappresentanza non comporta la nullità del provvedimento stesso, bensì la sua
annullabilità, che può essere fatta valere solo dallo stesso datore di lavoro,
il quale potrebbe anche ratificare l'atto a norma dell’art. 1399 cod. civ.
Aggiungasi
che il motivo denota anche evidenti aspetti di improcedibilità ex art. 369,
comma 2°, n. 4 c.p.c. per il fatto che il ricorrente non produce la delibera
contestata sulla quale fonda le proprie doglianze.
In
definitiva il ricorso va rigettato.
Le
spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e
vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta
il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio
nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
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