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lunedì 29 giugno 2015

Cassazione: la tenuità del danno non esclude la legittimità del licenziamento

Nella sentenza n.13168 del 25 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti.

Corte di Cassazione – Sentenza n.13168 del 25 giugno 2015

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23.6.08 il Tribunale di Roma respingeva il ricorso proposto da G.R. nei confronti di A.I. s.p.a. (già R. s.p.a.), diretto alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole con lettera del 2.2.2004 a seguito di contestazione disciplinare del 15.2.04 con cui le venne mosso l'addebito di avere omesso di registrare alcuni ticket ed alcuni prodotti consumati presso la mensa e di essersi appropriata dei rispettivi importi il 12 e 18 dicembre 2003; veniva dunque anche respinta la domanda di reintegra ex art. 18 L. n. 300\70.

Avverso detta sentenza proponeva appello la C.

Resisteva la società.

Con sentenza depositata il 28 giugno 2011, la Corte d'appello di Roma rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la lavoratrice, affidato ad unica censura, poi illustrata con memoria.

Resiste la E.R. s.p.a. (succeduta alla A.I. s.p.a.) con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, comma 2, e 2106 c.c., nonché dell'art. 1 della legge n. 604 del 1966 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia con riferimento alla lievità del fatto ed alla mancanza di recidiva (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.).

Lamenta che la sentenza impugnata ricostruì i fatti erroneamente ritenendo legittima la massima sanzione espulsiva per avere, in tesi, la dipendente omesso di registrare un buono pasto di scarso valore economico, senza neppure accertare l'esistenza di dolo ovvero la semplice colpa, e senza verificare l'assenza di precedenti disciplinari ovvero la disciplina contrattuale collettiva in tema di sanzioni.

Il ricorso è infondato.

Risulta invero dalla sentenza impugnata che la Corte di merito ha adeguatamente accertato, attraverso l'esame delle deposizioni testimoniali: che la C., addetta alla cassa, acquisì, il 18 dicembre 2003, un buono pasto come pagamento di merce senza procedere ad alcuna registrazione, né a timbrare il titolo, né ad emettere lo scontrino fiscale (circostanza verificata dalla teste K.); che la stessa cosa era avvenuta anche in altra occasione, lo stesso giorno 18 dicembre 2003, nei confronti di altra addetta ai controlli (Vallano); la mancanza in cassa di valori eccedenti le risultanze contabili, deponenti per la mancata registrazione e contabilizzazione del buono pasto; che la registrazione dei buoni pasto e l'emissione del relativo scontrino erano obbligatori (teste F.).

Ha quindi ritenuto che il comportamento contestato ed accertato fosse, sia oggettivamente che soggettivamente, considerata la (implicitamente accertata) volontarietà del comportamento e le mansioni di cassiera della C., idoneo a ledere gravemente il vincolo fiduciario tra le parti, legittimando il licenziamento de quo.

L'attuale ricorrente non contesta affatto tale accertamento né chiarisce il contenuto della disciplina collettiva in materia di licenziamento disciplinare solo genericamente invocata (che peraltro, nel silenzio della ricorrente e della Corte di merito sul punto, non risulta essere stata ritualmente proposta in sede di gravame).

Risulta dunque infondata sia la censura circa l'erroneo accertamento dei fatti, sia quella inerente la valutazione dell'elemento intenzionale o meramente colpevole della condotta: a tale ultimo riguardo la sentenza impugnata ha evidenziato, sia pure implicitamente, la chiara volontà, in quanto reiterata, della C. di non contabilizzare e registrare il titolo di pagamento ricevuto.

Occorre poi rimarcare (ex aliis, Cass. n. 19684\14, Cass. n. 16864\06 e Cass. n. 16260\04) che la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario, valutate le mansioni di cassiera svolte dalla C. e la correttezza dei futuri adempimenti. Ed invero in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti.

Il ricorso si risolve, per il resto, in una inammissibile richiesta di valutare diversamente le risultanze istruttorie ed i fatti di causa, senza fornire peraltro alcun elemento a sostegno dell'assunto.

Né rileva Cass. n. 22129\11, citata in memoria dalla C., inerente un caso in cui questa S.C. escluse la presenza di qualsivoglia motivazione della sentenza di merito in ordine alla proporzionalità della sanzione, laddove nella specie la Corte capitolina ha, sia pur succintamente, evidenziato l'oggettiva gravità del comportamento in relazione alle mansioni di cassiera.

Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 100,00 per esborsi, €.3.000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.

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