Corte di
Cassazione – Sentenza n.13166 del 25 giugno 2015
Svolgimento del
processo
La Corte di
Appello di Catania, riformando la sentenza del Tribunale di Catania, non definitivamente
pronunciando sulla domanda di P.G., proposta nei confronti A.S., avente ad
oggetto l'impugnativa del licenziamento orale da quest'ultima intimatole e la
condanna della stessa al pagamento di differenze retributive, dichiarava
inefficacie il predetto licenziamento e per l'effetto condannava A.S. a
reintegrare il P. nel posto di lavoro e corrispondergli tutte le retribuzioni
maturate a decorrere dalla data del licenziamento e fino all'effettivo
ripristino del rapporto di lavoro.
A base del decisumi,e
per quello che interessa in questa sede, la Corte del merito, per quanto
riguarda l'applicabilità della tutela reale di cui all'art. 18 della legge n.
300 del 1970, poneva il rilievo fondante secondo il quale il datore di lavoro
non aveva provato il requisito dimensionale allegato.
Avverso questa
sentenza A.S. ricorre in cassazione sulla base di due censure.
Parte intimata
resiste con controricorso con il quale, in via preliminare, deduce il mancato
rispetto del termine di cui all'art. 325 cpc.
Motivi della
decisione
Preliminarmente
va disattesa l'eccezione d'inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte
resistente sul rilievo che, a fronte sentenza di appello notificata in data 24
aprile 2012, il ricorso per cassazione era stato notificato una prima volta
solo in data 25 giugno 2012 ed una seconda volta in data 29 giugno 2012.
Infatti è pur
vero che il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza di appello
scadeva, come dedotto dalla parte intimata, il giorno 23 giugno 2012, ma è
altrettanto vero che tale data è coincisa con il sabato.
Trova, quindi
applicazione, la proroga dei termini processuali che scadono nella giornata di
sabato, ex art. 155, quinto comma, cpc, la quale è applicabile non solo ai
procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006, ma anche a quelli già
pendenti a tale data, in forza dell‘art. 58, comma 3, della legge 18 giugno
2009, n. 69 ( per tutte V. Cass. 19 dicembre 2014 n. 27048)
Conseguentemente
deve ritenersi tempestiva la notifica del ricorso per cassazione avvenuta il
giorno 25 giugno 2012, primo utile in ragione della richiamata proroga.
Con il primo
motivo del ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 2697 cc e 18 della legge n. 300 del 1970 nonché vizio di
motivazione, sostiene che la Corte del merito non ha valutato la documentazione
agli atti da cui si evince che la ditta A. non occupava più di quindici
dipendenti e le dichiarazioni testimoniali dalle quali emerge che nella
predetta ditta lavoravano l’A., i figli e un dipendente.
Con la seconda
censura parte ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli
artt. 1206, 1217 cc, 80 disp. att. cc e 2 della legge n. 604 del 1966 nonché
vizio di motivazione, rileva che la Corte del merito una volta accertata
l'inapplicabilità della tutela reale non avrebbe potuto ordinare la
reintegrazione nel posto di lavoro.
I motivi, che in
quanto strettamente connessi da punto di vista logicogiuridico vanno trattati
unitariamente, sono infondati.
Occorre
premettere che secondo giurisprudenza, oramai consolidata di questa Corte, in
tema di riparto dell'onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione
della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata
l'invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a
riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del
licenziamento sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro
subordinato e l'illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni
dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall'art. 18 della legge n. 300 del
1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti
impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò,
essere provati dal datore di lavoro. Con l'assolvimento di quest'onere
probatorio il datore dimostra - ai sensi della disposizione generale di cui
all'art. 1218 cc - che l'inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto
di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a
riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il
rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L'individuazione
di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre,
la finalità di non rendere troppo difficile l'esercizio del diritto del
lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della
"disponibilità" dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori
occupati nell'impresa (Cass. S.U. 10 gennaio 2006 n. 141 e Cass.16 marzo 2009
n. 6344).
Tanto premesso
va rilevata la correttezza della sentenza impugnata che ha ritenuto gravante
sul datore di lavoro la prova dell'insussistenza del requisito dimensionale per
l'applicabilità della tutela reintegratoria di cui all'art. 18 della legge n.
300 del 1970.
Quanto alle
emergenze istruttorie di cui parte ricorrente denuncia l'erronea valutazione,
va osservato che relativamente al richiamato documento, del quale si deduce la
mancata considerazione, non essendo nel ricorso, in violazione del principio di
autosufficienza, trascritto il testo è precluso a questa Corte qualsiasi
sindacato di legittimità.
Analoghe
considerazioni valgono in ordine alle dichiarazioni testimoniali di cui sono
riportati solo alcuni stralci.
E' infatti, ius
receptum nella giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui, con il ricorso
per Cassazione, venga dedotta l'incongruità o l'illogicità della sentenza
impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è
necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della
decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che
il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso,
la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente
valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione,
alla quale è precluso l'esame diretto degli atti, di delibare la decisività
della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in
meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti ( per tutte Cass. 19
maggio 2006 , n.11886 e Cass. 9 aprile 2013 n. 8569 ).
Il ricorso in
conclusione va rigettato.
Le spese del
giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso e condanna parte ricorrente la pagamento delle spese del giudizio di
legittimità liquidate in E. 100,00 per esborsi ed E. 3.500,00 per compensi
oltre accessori di legge.
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