Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


lunedì 29 giugno 2015

Tutela reale: l’insussistenza del requisito dimensionale va provata dal datore di lavoro

Nella sentenza n.13166 del 25 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di licenziamento illegittimo, grava sul datore di lavoro la prova dell'eventuale insussistenza del requisito dimensionale per l'applicabilità della tutela reintegratoria prevista dall'art.18 della Legge n.300/1970.

Corte di Cassazione – Sentenza n.13166 del 25 giugno 2015

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catania, riformando la sentenza del Tribunale di Catania, non definitivamente pronunciando sulla domanda di P.G., proposta nei confronti A.S., avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento orale da quest'ultima intimatole e la condanna della stessa al pagamento di differenze retributive, dichiarava inefficacie il predetto licenziamento e per l'effetto condannava A.S. a reintegrare il P. nel posto di lavoro e corrispondergli tutte le retribuzioni maturate a decorrere dalla data del licenziamento e fino all'effettivo ripristino del rapporto di lavoro.

A base del decisumi,e per quello che interessa in questa sede, la Corte del merito, per quanto riguarda l'applicabilità della tutela reale di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970, poneva il rilievo fondante secondo il quale il datore di lavoro non aveva provato il requisito dimensionale allegato.

Avverso questa sentenza A.S. ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Parte intimata resiste con controricorso con il quale, in via preliminare, deduce il mancato rispetto del termine di cui all'art. 325 cpc.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disattesa l'eccezione d'inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte resistente sul rilievo che, a fronte sentenza di appello notificata in data 24 aprile 2012, il ricorso per cassazione era stato notificato una prima volta solo in data 25 giugno 2012 ed una seconda volta in data 29 giugno 2012.

Infatti è pur vero che il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza di appello scadeva, come dedotto dalla parte intimata, il giorno 23 giugno 2012, ma è altrettanto vero che tale data è coincisa con il sabato.

Trova, quindi applicazione, la proroga dei termini processuali che scadono nella giornata di sabato, ex art. 155, quinto comma, cpc, la quale è applicabile non solo ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006, ma anche a quelli già pendenti a tale data, in forza dell‘art. 58, comma 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69 ( per tutte V. Cass. 19 dicembre 2014 n. 27048)

Conseguentemente deve ritenersi tempestiva la notifica del ricorso per cassazione avvenuta il giorno 25 giugno 2012, primo utile in ragione della richiamata proroga.

Con il primo motivo del ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cc e 18 della legge n. 300 del 1970 nonché vizio di motivazione, sostiene che la Corte del merito non ha valutato la documentazione agli atti da cui si evince che la ditta A. non occupava più di quindici dipendenti e le dichiarazioni testimoniali dalle quali emerge che nella predetta ditta lavoravano l’A., i figli e un dipendente.

Con la seconda censura parte ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1217 cc, 80 disp. att. cc e 2 della legge n. 604 del 1966 nonché vizio di motivazione, rileva che la Corte del merito una volta accertata l'inapplicabilità della tutela reale non avrebbe potuto ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro.

I motivi, che in quanto strettamente connessi da punto di vista logicogiuridico vanno trattati unitariamente, sono infondati.

Occorre premettere che secondo giurisprudenza, oramai consolidata di questa Corte, in tema di riparto dell'onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l'invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. Con l'assolvimento di quest'onere probatorio il datore dimostra - ai sensi della disposizione generale di cui all'art. 1218 cc - che l'inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L'individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l'esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della "disponibilità" dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell'impresa (Cass. S.U. 10 gennaio 2006 n. 141 e Cass.16 marzo 2009 n. 6344).

Tanto premesso va rilevata la correttezza della sentenza impugnata che ha ritenuto gravante sul datore di lavoro la prova dell'insussistenza del requisito dimensionale per l'applicabilità della tutela reintegratoria di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970.

Quanto alle emergenze istruttorie di cui parte ricorrente denuncia l'erronea valutazione, va osservato che relativamente al richiamato documento, del quale si deduce la mancata considerazione, non essendo nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, trascritto il testo è precluso a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità.

Analoghe considerazioni valgono in ordine alle dichiarazioni testimoniali di cui sono riportati solo alcuni stralci.

E' infatti, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l'incongruità o l'illogicità della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti ( per tutte Cass. 19 maggio 2006 , n.11886 e Cass. 9 aprile 2013 n. 8569 ).

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente la pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 100,00 per esborsi ed E. 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge.

 

Nessun commento:

Posta un commento