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lunedì 29 giugno 2015

Cassazione: dipendente Asl - Prestazione lavorativa presso centro privato convenzionato – Licenziamento illegittimo

Nella sentenza n.13158 del 25 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’attività svolta da un infermiere professionale alle dipendenze della Asl per conto di un centro privato non necessariamente integra gli estremi per il licenziamento.

Corte di Cassazione – Sentenza n.13158 del 25 giugno 2015

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Venezia ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla Azienda USLL n. X. a M.S. infermiere professionale alle dipendenze dell’Azienda, ritenendo che l’addebito contestatogli, consistente nell’avere il medesimo svolto la stessa attività presso un centro privato convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, non fosse di gravità tale da giustificare la sanzione espulsiva, tenuto conto dello scarsa attività lavorativa svolta dai dipendente presso la struttura privata; che gli orari di lavoro non erano incompatibili con quelli osservati presso l'Azienda; che non vi era conflitto di interessi tra la struttura pubblica e quella privata, che il dipendente aveva agito in buona fede.

Di diverso avviso è stata la Corte di Appello di Venezia, la quale, a seguito di impugnazione dell’Agenda, ha ritenuto viceversa legittimo il licenziamento.

La Corte anzidetta ha osservato che, come definitivamente accertato dal giudice di primo grado, non essendo stata proposta al riguardo alcuna impugnazione, l'attività non consentita svolta dal dipendente presso il centro di analisi privato riguardava il periodo giugno - dicembre 2006; che l'impegno lavorativo era stato non superiore a 24 ore mensili; che l’art. 53 D. Lgs. n. 165/01 stabilisce il principio della unicità del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale e la incompatibilità con ogni altro tipo di rapporto di lavoro dipendente, anche di natura convenzionata con il Servizio sanitario nazionale: che non era condivisibile la sentenza di primo grado che aveva considerato la violazione commessa dal M. di scarsa gravità; che era ravvisabile nella specie una situazione di conflitto di interessi potenziale; che lo svolgimento di attività lavorativa per almeno dieci o dodici ore al mese nel centro di analisi privato era idoneo ad incidere sul rapporto di lavoro con l’Azienda, tanto che gli orari del M., di solito effettuati nella fascia oraria dalle 7,30 alle 9,30, subivano frequenti modifiche; che il divieto di prestare attività lavorativa presso centri privati risultava dal contratto individuale di lavoro sottoscritto dal dipendente, oltre che dal contratto collettivo; che la condotta posta in essere dal dipendente costituiva violazione dell’elemento fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro; che conseguentemente il licenziamento era giustificato.

Per la cassazione di questa sentenza il dipendente propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. L’Azienda resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia nonché violazione dell'art. 61 D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, in relazione all'art. 53 D.Lgs n. 165 del 2001, il ricorrente, premesso che gli era stato anche contestato dall'Azienda di avere svolto, nel periodo successivo al dicembre 2006 e sino al maggio 2008, attività lavorativa a favore dello stessa struttura privata quale sodo di una cooperativa - attività questa, ad avviso dello stesso ricorrente, consentita, posto che il divieto di cumulo di impieghi non si applica nei casi di lavoro svolto da un socio di una cooperativa a norma dell‘art. 61 sopra menzionato - lamenta, se ben si coglie il senso della censura, che la Corte di merito, nel prendere in esame esclusivamente il periodo giugno - dicembre 2006, ritenendo che per il periodo successivo ogni questione fosse preclusa dal giudicato, non ha chiarito la questione circa la perdurante validità dell'art. 61 D.P.R. cit. a seguito dell'entrata in vigore dell’art. 53 del D. Lgs. n. 165 del 2001.

Tale chiarimento, aggiunge, avrebbe consentito al giudice d’appello di valutare compiutamente la vicenda per cui è controversia.

2. Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente deduce che la Corte di merito ha omesso di considerare, ai fini della gravità della condotta, che le sue presenze presso la struttura privata non erano superiori a 24 ore mensili, con un impegno giornaliero di non più di due ore. Aggiunge che, come era emerso dalla documentazione prodotta e dalla prova testimoniale, le modifiche dei turni di lavoro presso l’Azienda veneziana non solo non incidevano in alcun modo sulla prestazione lavorativa e sulla efficienza del reparto cui esso ricorrente era addetto, ma costituivano una prassi normale, risultando peraltro tutte autorizzate dall’Azienda.

3. Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, il ricorrente deduce che la contestazione disciplinare fa riferimento al lavoro svolto da esso ricorrente presso la struttura privata dal giugno 2006 al maggio 2008 "su incarico" della cooperativa. La Corte di merito ha viceversa ritenuto che nei primi sei mesi egli avesse svolto lavoro subordinato alle dipendente della struttura privata. E su tale erroneo presupposto la stessa Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento, così fondando la decisione su un fatto mai contestato in sede disciplinare.

4. Con il quarto motivo, denunciando vizio di motivazione nonché violazione dell’art. 2106 cod. civ., il ricorrente sostiene che, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la Corte di merito ha ritenuto che vi fosse un potenziale conflitto di interessi con la struttura pubblica. Ma, aggiunge, all’epoca dei fatti la struttura privata in questione era convenzionata con il Servizio sanitario nazionale, sicché l’attività svolta da esso ricorrente presso tale struttura - consistente nel prelievo di sangue ai pazienti per le relative analisi - altro non era se non una attività integrativa di quella svolta dalla struttura pubblica, attività che questa non riusciva ad assicurare.

5. Con il quinto motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione del CCNL dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale, art. 13, comma 8, lettera d), il ricorrente lamenta che la Corte di merito non ha tenuto conto delle deroghe poste alla esclusività del rapporto di pubblico impiego dall’art. 61 D.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53 del D. Lgs. n. 165 del 2001, con riferimento all’attività dei soci delle cooperative. Aggiunge che il predetto CCNL non contiene alcun divieto di prestare attività lavorativa presso centri privati, ma solo un generico riferimento all’art. 2119 cod. civ., e che il Regolamento vigente presso la ULSS veneziana in tema di incompatibilità adopera termini vaghi, ingenerando confusioni ed incertezze. Da tutto ciò non può non ricavarsi la buona fede di esso ricorrente, il quale in definitiva ha svolto un limitatissimo carico di lavoro presso una struttura privata per conto di una cooperativa sociale.

6. Con il sesto motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, nel ritenere giustificato il licenziamento, non ha adeguatamente valutato i criteri generali posti dal CCNL sopra citato, art. 13, ai fini del rispetto della gradualità e proporzionalità delle sanzioni, ed in particolare lo stato di servizio di esso ricorrente, quasi trentennale e privo di qualsivoglia censura disciplinare; la situazione familiare del medesimo; l’elemento soggettivo, l’impegno di lavoro limitato a sole due ore giornaliere per dodici giorni al mese; la mancanza di danno per l’azienda e per gli utenti; la posizione di lavoro del ricorrente e la mancanza di responsabilità nello svolgimento delle mansioni in questione; la totale assenza di disservizio nell’organizzazione aziendale.

7. Osserva innanzitutto la Corte che, come risulta dalla sentenza impugnata, devono ritenersi pacifici perché non oggetto di impugnazione, i seguenti fatti accertati dal giudice di primo grado:

- lo svolgimento, da parte del ricorrente, di attività di lavoro subordinato alle dipendenze di una struttura privata (laboratorio di analisi R.) dal giugno al dicembre 2006;

- l’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nel periodo successivo, nella stessa struttura, dal momento che le prestazioni lavorative sono state rese dal ricorrente nell’ambito di un servizio di appalto stipulato con società cooperative di cui il lavoratore era socio;

- l’entità dell'attività lavorativa svolta dal ricorrente presso detta struttura, non superiore a 24 ore mensili.

Alla stregua di tali elementi, sono inammissibili, in quanto coperti dal giudicato:

- il primo motivo, con il quale si lamenta che la sentenza impugnata non avrebbe dato risposta al quesito se fosse o meno lecita l'attività prestata dal ricorrente quale socio di una cooperativa, avendo viceversa la Corte considerato definitivamente accertata la liceità di tale attività, tanto che nel prosieguo si é occupata solo del primo periodo (giugno - dicembre 2006);

- il quinto motivo, con il quale si lamenta che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto delle deroghe poste alla esclusività del rapporto di pubblico impiego dall’art. 61 D.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53 del D. Lgs, n. 165 del 2001, quando invece la Corte di merito, come detto in precedenza, ha considerato, ai fini della decisione, solo il lavoro svolto dal ricorrente dal giugno al dicembre 2006, non tenendo conto di quello svolto nel periodo successivo quale socio della cooperativa.

8. Deve altresì ritenersi inammissibile la censura relativa al terzo motivo, non risultando dal ricorso di primo grado e dalla memoria difensiva depositata nel giudizio di appello, trascritti nel ricorso, che il ricorrente abbia sollevato nei precedenti giudizi la questione relativa al licenziamento per un fatto diverso da quello contestato.

9. Deve ancora rilevarsi che il divieto di cumulo di impieghi è previsto, con riguardo al caso in esame, dal D. Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, primo comma, il quale dispone che per i dipendenti pubblici restano ferme, tra l’altro, le disposizioni di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, secondo cui con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale.

10. Tutto ciò premesso, ritiene il Collegio fondati gli altri tre motivi (secondo, quarto e sesto), i quali vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

E’ principio consolidato di questa Corte che in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza (cfr., fra le altre, Cass. 22 giugno 2009 n. 14586; Cass. 26 luglio 2010 n. 17514; Cass. 13 febbraio 2012 n. 2013).

La gravità dell’inadempimento deve essere valutata nel rispetto della regola generale della "non scarsa importanza" di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale cioè da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per essersi irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia, da valutarsi in concreto in considerazione della realtà aziendale e delle mansioni svolte (Cass. 10 dicembre 2007 n. 25743).

Non è sufficiente, per ritenere giustificato un licenziamento, che una disposizione di legge sia stata violata dal lavoratore o che un obbligo contrattuale non sia stato dal medesimo adempiuto, occorrendo pur sempre che tali violazioni siano di una certa rilevanza e presentino i caratteri in precedenza enunciati.

A tal riguardo, va assegnato rilievo all'intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.

Nella specie la Corte territoriale ha ritenuto di non condividere il giudizio di scarsa gravità espresso dal giudice di primo grado, sulla base delle seguenti considerazioni;

- lo svolgimento di attività presso la struttura privata comportava una situazione di conflitto di interessi potenziale:

- tale attività veniva prestata per "un tempo apprezzabile", e cioè "per almeno dieci o dodici mattine al mese", e peraltro dalle ore 7,30 alle ore 9,30, in cui il dipendente era tenuto ad assicurare la propria presenza nella struttura pubblica, con la conseguenza che il suo orario di lavoro subiva frequenti modifiche;

- il divieto di prestare attività presso centri privati risultava dal contratto individuale di lavoro, da fonti contrattuali nonché da fonti normative;

- la condotta del ricorrente, tenuto conto della sua durata, del vincolo di esclusività e del venir meno della situazione di incompatibilità solo a seguito dell’accertamento compiuto dalla Direzione provinciale del lavoro, costituiva una violazione dell’elemento fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro.

Non ritiene questo Collegio che dette argomentazioni siano idonee a sorreggere la decisione, non apparendo la sentenza impugnata adeguatamente motivata.

Ed infatti la Corte di merito, nel ritenere che nella condotta del dipendente sia ravvisabile un conflitto di interessi e che tale condotta comportava "frequenti modifiche" nell'orano di lavoro, con conseguenti disservizi, non considera che i cambi di turno, come risulta dalle dichiarazioni dei testi riportate in ricorso e dalla nota del Direttore del Dipartimento di anestesia e rianimazione, allegata al ricorso, venivano effettuati "praticamente" da "tutti i colleghi" del ricorrente, previo avviso all'infermiere coordinatore o al suo sostituto. Tanto meno, la sentenza impugnata spiega il tipo di disservizi che il cambio di orario comportava per la struttura pubblica, una volta che tale cambio veniva comunicato in anticipo.

Quanto alla gravità della condotta, la Corte territoriale, nel ritenere "apprezzabile il tempo dedicato" alla struttura privata, non considera che "dieci o dodici mattine" al mese "nella fascia oraria dalle 7,30 alle 9,30", equivalgono complessivamente a 20 - 24 ore mensili.

In ordine, poi, all’elemento soggettivo, se è vero che la esclusività del rapporto era prevista dal contratto individuale e da fonti normative, sussistevano deroghe a tale divieto, tanto che per il periodo gennaio 1997 - maggio 1998, l’attività prestata dal ricorrente presso il centro privato) quale socio di una cooperativa, è stata ritenuta legittima, con sentenza del primo giudice passata sul punto in giudicato.

Ancora, la Corte di merito non ha considerato che la valutazione della Amministrazione circa la gravità della condotta tenuta dal ricorrente è stata effettuata con riguardo ad un periodo di circa due anni (giugno 2006 - maggio 2008, ben più ampio di quello di sette mesi considerato dalla Corte di merito.

Infine, alcun riferimento la Corte di merito ha fatto alle "responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente", al "grado di danno o di pericolo causato all'azienda o ente, agli utenti o a terzi", alla "sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riguardo al comportamento del lavoratore" ed ai precedenti disciplinari, criteri questi previsti dall’art. 13 CCNL dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale del 19 aprile 2004, come modificato dal CCNL del 10 aprile 2008, ai fini del rispetto del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni, in relazione alla gravità della mancanza.

Il ricorso, nei termini sopra indicati, deve pertanto essere accolto, con la conseguente cassazione della impugnata sentenza e con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale dovrà riesaminare la causa in base ai principi e ai criteri sopra enunciati, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano.

 

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