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sabato 30 maggio 2015

Consulenza aziendale: il compenso del collaboratore prescinde dal risultato finale

Nella sentenza n.10681 del 22 maggio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che, nell’ambito di un contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi di consulenza, il committente è tenuto a corrispondere al collaboratore il compenso pattuito, a prescindere dal raggiungimento del risultato.

Corte di Cassazione - Sentenza n.10681 del 22 maggio 2015

Svolgimento del processo

Con citazione del 5/3/2004 M.C. s.r.l. conveniva in giudizio M.D.L. s.r.l. per sentirla condannare al pagamento di fatture, rimaste impagate, per prestazioni di consulenza aziendale e al risarcimento di danni.

La convenuta opponeva inadempimenti dell’attrice che, a suo dire, non aveva eseguito le prestazioni di cui al contratto e con domanda riconvenzionale chiedeva la restituzione delle somme già pagate.

Con sentenza del 26/2/2009 il Tribunale rigettava la domanda riconvenzionale e accoglieva parzialmente la domanda di M.C. s.r.l. condannando la convenuta al pagamento della componente fissa del compenso contrattualmente pattuito, ma rigettava ogni altra domanda.

P. s.r.l. (già M.D.L. s.r.l.) proponeva appello dolendosi dell’accoglimento, ancorché parziale della domanda attorea e deducendo l’erronea interpretazione delle clausole del contratto che, differentemente da quanto ritenuto dal primo giudice, prevedevano obbligazioni di risultato (e non di mezzi) che erano rimaste inadempiute così che l’attrice non avrebbe avuto diritto ad alcun compenso.

Con sentenza in data 1/9/2012 la Corte di Appello di Lecce rigettava sia l’appello di P. sia l’appello incidentale di M.C. diretto ad ottenere il compenso anche per il periodo di mancato preavviso e il risarcimento danni.

Per quanto qui interessa in relazione ai motivi di ricorso di P., la Corte di Appello rilevava:

- che l’unico motivo di gravame riguardava l’interpretazione delle clausole contrattuali e la qualificazione delle obbligazioni assunte come obbligazioni di mezzi e non di risultato;

- che la censura era infondata in quanto l’art. 1 del contratto stabiliva che il contratto aveva ad oggetto la prestazione di servizi di consulenza, con chiaro riferimento ad una obbligazione di mezzi e l’art. 3 (intitolato costo del servizio) stabiliva la controprestazione della committente in un compenso fisso mensile che, quindi, doveva essere riconosciuto indipendentemente dal conseguimento di un risultato, ma solo per la consulenza prestata, mentre nello stesso art. 3 si prevedeva espressamente un compenso aggiuntivo collegato al fatturato derivante dall’acquisizione di nuovi clienti, così che il conseguimento di un determinato fatturato era espressamente previsto come un fatto giuridico meramente eventuale al quale le parti avevano attribuito rilevanza sia per il caso del suo verificarsi (con il riconoscimento di una percentuale del 2,50%) sia per il caso del suo non verificarsi; l’art. 4 per il caso del mancato raggiungimento del traguardo assicurato con riferimento al fatturato, espressamente prevedeva una penale consistente nella restituzione della percentuale dello 0,30% sul fatturato del 2002, senza prevedere altra conseguenza per quanto riguarda il compenso fisso; inoltre all’art. 2 si prevedeva una specifica conseguenza per il caso di mancato raggiungimento del fatturato auspicato, ossia la facoltà di recesso senza preavviso.

P. s.r.l. già M.D.L. s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso affidato a due motivi.

M.M.C. s.r.l. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362 e ss., 2222, 1176, 1218 c.c. e sostiene che la Corte di Appello, qualificando l’obbligazione di M.M.C. quale obbligazione di mezzi e non di risultato, avrebbe interpretato in maniera distorta la volontà delle parti, come risultante dal contratto del 5/11/2002.

La ricorrente:

- ribadisce quanto già invano (e, come si dirà, infondatamente) sostenuto nei due gradi del giudizio di merito, ossia che la volontà delle parti era quella di usufruire del servizio di consulenza al fine di ampliare la clientela e di ottenere nuovi contratti, risultato invece non raggiunto;

- aggiunge che M.M.C. s.r.l. aveva assicurato un aumento del fatturato con la clausola della penale di cui all’art. 4 e che la stessa previsione della possibilità del recesso in caso di mancato raggiungimento del fatturato evidenziava che le parti riconoscevano l’inutilità del contratto qualora non si fosse raggiunto lo scopo del contratto che veniva a costituire il suo vero oggetto;

- afferma che l’obbligazione era di risultato e non di mezzi, come doveva risultare anche dalla narrativa dalla narrativa dell’atto di citazione, non tenuta in considerazione dal giudice di appello, laddove si deducevano le specifiche finalità di aumento del fatturato, per le quali era stato stipulato il contratto.

2. Il motivo è infondato in quanto la Corte di Appello, facendo corretta applicazione delle regole sull’interpretazione del contratto, ha interpretato il contratto sulla base del tenore letterale delle singole clausole (artt. 1, 2, 3 e 4) operandone, inoltre una valutazione complessiva, del tutto coerente con quella letterale e ha rilevato che l’aumento del fatturato era stato specificamente considerato dalle parti, ma non per escludere che fosse dovuto il compenso fisso stabilito dall’art. 3, ma per riconnettere all’aumento o al mancato aumento del fatturato diverse conseguenze per il caso del suo verificarsi (con il riconoscimento di una percentuale del 2,50%) e per il caso del suo non verificarsi (con la penale consistente nella restituzione della percentuale dello 0,30% sul fatturato del 2002 prevista dall’art. 4 e la facoltà di recesso senza preavviso prevista dall’art. 2.); l’esplicita previsione delle conseguenze per il caso di mancato raggiungimento degli obiettivi escludeva, dunque, l’ulteriore conseguenza, infondatamente invocata dall’odierna ricorrente, della perdita del diritto al compenso fisso per l’attività di consulenza.

In conclusione le norme di ermeneutica contrattuale non sono state violate, ma al contrario, correttamente applicate; posto che la Corte di Appello ha correttamente interpretato le pattuizioni delle parti, la censura con riferimento alla violazione degli artt. 2222 c.c. ss. è assolutamente generica non essendo illustrati i motivi per i quali le disposizioni generali del codice civile sul lavoro autonomo sarebbero violate e parimenti generica è la censura di violazione dell’art. 1218 c.c. che stabilisce che il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1453 e ss. c.c. e l’omesso esame di fatti decisivi costituiti dall’omessa verifica della mancata prestazione dell’opera promessa da M.M.C. s.r.l.

La ricorrente sostiene che:

- la Corte di Appello avrebbe dovuto verificare se M.M.C. s.r.l. avesse o meno eseguito le prestazioni dovute per contratto, prendendo in considerazione la documentazione prodotta, invece non considerata;

- che la prova testimoniale, integrando la documentazione, dimostrava che M.M.C. s.r.l. non aveva eseguito le prestazioni pubblicitarie e quanto altro assunto in contratto per favorire l’acquisizione di nuova clientela.

La ricorrente, infine, trascrive stralci di deposizioni testimoniali (testi B.C. M.V. B.V. P.D.) riporta dichiarazioni rese dal M nell’interrogatorio formale.

5. Il motivo è infondato in quanto la Corte di appello non solo ha individuato l’oggetto del contratto nel servizio di consulenza (tipica obbligazione di mezzi e non di risultato) per il quale era stabilito un compenso fisso, ma ha anche considerato che il raggiungimento del risultato (che si voleva ottenere avvalendosi della consulenza) era diversamente remunerato, così come erano previste conseguenze economiche negative per il consulente in caso di mancato raggiungimento di determinati obiettivi.

Con l’atto di appello era lamentata l’erronea interpretazione del contratto in relazione alla rilevanza del mancato raggiungimento del risultato e, in particolare, alla rilevanza del mancato incremento del fatturato e alla mancata acquisizione di nuovi clienti e su queste censure la Corte di Appello ha motivatamente e correttamente deciso osservando che queste mancanze non potevano incidere sul compenso fisso pattuito per l’attività di consulenza.

Nel motivo di ricorso si riproducono stralci di testimonianze che hanno rilievo in relazione alla dimostrazione del mancato raggiungimento del risultato (si riferiscono sostanzialmente al mancato incremento della clientela e marginalmente alla preesistenza di documenti prodotti da M., alla preesistenza di traduzioni di listini, alla mancanza di un piano di riorganizzazione) ma non rilevano quanto all’obbligazione, generica, di fornire la consulenza, così come non rileva il fatto che i listini fossero già stati tradotti prima del contratto con M.M.C. s.r.l.

Non è pertinente il richiamo del ricorrente a Cass. S.U. 11/1/2008 n. 577 per inferirne l’irrilevanza della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, perché nel richiamato precedente questa Corte a S.U. si era occupata del diverso problema della responsabilità della struttura sanitaria per danni al paziente, semplicemente affermando che la struttura deve fornire al paziente una prestazione, definita di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori così che la responsabilità per inadempimento è quella dell’art. 1218 c.c. e per quanto concerne le obbligazioni mediche l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento di obblighi propri della struttura si deve abbandonare il richiamo alla disciplina del contratto d'opera professionale, fondandosi la responsabilità dell’ente per fatto del dipendente sulla base dell'art. 1228 c.c.; analoghe considerazioni valgono per il precedente di cui a Cass. 13/4/2007 n. 8826, pure riferito a responsabilità della struttura sanitaria per aggravamento delle condizioni di salute del ricoverato.

La distinzione tra obbligazione di risultato e obbligazione di mezzi (entrambe dirette a far conseguire una utilitas al creditore della prestazione) non perde rilevanza nella giurisprudenza di questa Corte, ma, nel primo caso, il risultato stesso è in rapporto di causalità necessaria con l'attività del debitore, non dipendendo da alcun fattore ad essa estraneo, mentre nell' obbligazione "di mezzi" il risultato dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da fattori ulteriori e concomitanti non controllabili dall’obbligato; ne consegue che il debitore "di mezzi" prova l'esatto adempimento dimostrando di aver osservato le regole dell'arte e di essersi conformato ai protocolli dell'attività, mentre (differentemente dall’obbligato ad un risultato) non ha l'onere di provare che il risultato è mancato per cause a lui non imputabili (cfr., da ultimo, Cass. 28/2/2014 n. 4876).

Nella specie, nel corso del giudizio di merito, la violazione del dovere di condotta è stato dedotto con riferimento al mancato raggiungimento del risultato e la Corte di Appello, come detto, ha plausibilmente motivato escludendo la rilevanza del mancato raggiungimento del risultato essendo comunque dovuto un compenso per l’attività di consulenza.

I contenuti delle prove orali, come riportati nel ricorso, secondo la società ricorrente, sarebbero stati trascurati (con omesso esame di fatti, decisivi, violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e dell’art. 1453 e ss. per la mancata pronuncia della risoluzione per inadempimento).

Tuttavia, atteso il contenuto dell’obbligazione contrattuale, come correttamente ricostruito dal Giudice di Appello (e prima ancora dal giudice di primo grado), le prove testimoniali asseritamente trascurate e le connesse censure di cui al motivo, innanzitutto introducono questioni di puro merito e, comunque, sono irrilevanti rispetto al contenuto dell’obbligazione di consulenza per come pattuita in contratto, essendo previsto che in ogni caso (quindi anche se la consulenza non si fosse tradotta in un aumento del fatturato o nel procacciamento di nuovi clienti, fermo restando che la consulenza non deve necessariamente tradursi in un prodotto materiale o in un documento) un compenso fisso; la motivazione della Corte di Appello, sotto l’evidenziato profilo, risulta essere del tutto assorbente, con ciò costituendo implicito rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento e implicita esclusione di una responsabilità del debitore per inadempimento contrattuale.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato; non v’è luogo a provvedere sulle spese in quanto parte intimata non ha svolto attività difensive.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012, tenuto conto che il ricorso è successivo al 31/1/2013, deve dichiararsi la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012.

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