Corte di
Cassazione - Sentenza n.10681 del 22 maggio 2015
Svolgimento del
processo
Con citazione
del 5/3/2004 M.C. s.r.l. conveniva in giudizio M.D.L. s.r.l. per sentirla
condannare al pagamento di fatture, rimaste impagate, per prestazioni di
consulenza aziendale e al risarcimento di danni.
La convenuta
opponeva inadempimenti dell’attrice che, a suo dire, non aveva eseguito le
prestazioni di cui al contratto e con domanda riconvenzionale chiedeva la
restituzione delle somme già pagate.
Con sentenza del
26/2/2009 il Tribunale rigettava la domanda riconvenzionale e accoglieva
parzialmente la domanda di M.C. s.r.l. condannando la convenuta al pagamento
della componente fissa del compenso contrattualmente pattuito, ma rigettava
ogni altra domanda.
P. s.r.l. (già
M.D.L. s.r.l.) proponeva appello dolendosi dell’accoglimento, ancorché parziale
della domanda attorea e deducendo l’erronea interpretazione delle clausole del
contratto che, differentemente da quanto ritenuto dal primo giudice,
prevedevano obbligazioni di risultato (e non di mezzi) che erano rimaste
inadempiute così che l’attrice non avrebbe avuto diritto ad alcun compenso.
Con sentenza in
data 1/9/2012 la Corte di Appello di Lecce rigettava sia l’appello di P. sia
l’appello incidentale di M.C. diretto ad ottenere il compenso anche per il
periodo di mancato preavviso e il risarcimento danni.
Per quanto qui
interessa in relazione ai motivi di ricorso di P., la Corte di Appello
rilevava:
- che l’unico
motivo di gravame riguardava l’interpretazione delle clausole contrattuali e la
qualificazione delle obbligazioni assunte come obbligazioni di mezzi e non di
risultato;
- che la censura
era infondata in quanto l’art. 1 del contratto stabiliva che il contratto aveva
ad oggetto la prestazione di servizi di consulenza, con chiaro riferimento ad
una obbligazione di mezzi e l’art. 3 (intitolato costo del servizio) stabiliva
la controprestazione della committente in un compenso fisso mensile che,
quindi, doveva essere riconosciuto indipendentemente dal conseguimento di un
risultato, ma solo per la consulenza prestata, mentre nello stesso art. 3 si
prevedeva espressamente un compenso aggiuntivo collegato al fatturato derivante
dall’acquisizione di nuovi clienti, così che il conseguimento di un determinato
fatturato era espressamente previsto come un fatto giuridico meramente
eventuale al quale le parti avevano attribuito rilevanza sia per il caso del
suo verificarsi (con il riconoscimento di una percentuale del 2,50%) sia per il
caso del suo non verificarsi; l’art. 4 per il caso del mancato raggiungimento
del traguardo assicurato con riferimento al fatturato, espressamente prevedeva
una penale consistente nella restituzione della percentuale dello 0,30% sul
fatturato del 2002, senza prevedere altra conseguenza per quanto riguarda il
compenso fisso; inoltre all’art. 2 si prevedeva una specifica conseguenza per
il caso di mancato raggiungimento del fatturato auspicato, ossia la facoltà di
recesso senza preavviso.
P. s.r.l. già
M.D.L. s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso affidato a due motivi.
M.M.C. s.r.l. è
rimasta intimata.
Motivi della
decisione
1. Con il primo
motivo la società ricorrente deduce la violazione degli artt. 1362 e ss., 2222,
1176, 1218 c.c. e sostiene che la Corte di Appello, qualificando l’obbligazione
di M.M.C. quale obbligazione di mezzi e non di risultato, avrebbe interpretato
in maniera distorta la volontà delle parti, come risultante dal contratto del
5/11/2002.
La ricorrente:
- ribadisce
quanto già invano (e, come si dirà, infondatamente) sostenuto nei due gradi del
giudizio di merito, ossia che la volontà delle parti era quella di usufruire
del servizio di consulenza al fine di ampliare la clientela e di ottenere nuovi
contratti, risultato invece non raggiunto;
- aggiunge che
M.M.C. s.r.l. aveva assicurato un aumento del fatturato con la clausola della
penale di cui all’art. 4 e che la stessa previsione della possibilità del
recesso in caso di mancato raggiungimento del fatturato evidenziava che le
parti riconoscevano l’inutilità del contratto qualora non si fosse raggiunto lo
scopo del contratto che veniva a costituire il suo vero oggetto;
- afferma che
l’obbligazione era di risultato e non di mezzi, come doveva risultare anche
dalla narrativa dalla narrativa dell’atto di citazione, non tenuta in
considerazione dal giudice di appello, laddove si deducevano le specifiche
finalità di aumento del fatturato, per le quali era stato stipulato il
contratto.
2. Il motivo è
infondato in quanto la Corte di Appello, facendo corretta applicazione delle
regole sull’interpretazione del contratto, ha interpretato il contratto sulla
base del tenore letterale delle singole clausole (artt. 1, 2, 3 e 4)
operandone, inoltre una valutazione complessiva, del tutto coerente con quella
letterale e ha rilevato che l’aumento del fatturato era stato specificamente
considerato dalle parti, ma non per escludere che fosse dovuto il compenso
fisso stabilito dall’art. 3, ma per riconnettere all’aumento o al mancato
aumento del fatturato diverse conseguenze per il caso del suo verificarsi (con
il riconoscimento di una percentuale del 2,50%) e per il caso del suo non
verificarsi (con la penale consistente nella restituzione della percentuale
dello 0,30% sul fatturato del 2002 prevista dall’art. 4 e la facoltà di recesso
senza preavviso prevista dall’art. 2.); l’esplicita previsione delle
conseguenze per il caso di mancato raggiungimento degli obiettivi escludeva,
dunque, l’ulteriore conseguenza, infondatamente invocata dall’odierna
ricorrente, della perdita del diritto al compenso fisso per l’attività di
consulenza.
In conclusione
le norme di ermeneutica contrattuale non sono state violate, ma al contrario,
correttamente applicate; posto che la Corte di Appello ha correttamente
interpretato le pattuizioni delle parti, la censura con riferimento alla
violazione degli artt. 2222 c.c. ss. è assolutamente generica non essendo
illustrati i motivi per i quali le disposizioni generali del codice civile sul
lavoro autonomo sarebbero violate e parimenti generica è la censura di
violazione dell’art. 1218 c.c. che stabilisce che il debitore è tenuto ad
eseguire esattamente la prestazione dovuta.
3. Con il
secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c.
in relazione agli artt. 1453 e ss. c.c. e l’omesso esame di fatti decisivi
costituiti dall’omessa verifica della mancata prestazione dell’opera promessa
da M.M.C. s.r.l.
La ricorrente
sostiene che:
- la Corte di
Appello avrebbe dovuto verificare se M.M.C. s.r.l. avesse o meno eseguito le
prestazioni dovute per contratto, prendendo in considerazione la documentazione
prodotta, invece non considerata;
- che la prova
testimoniale, integrando la documentazione, dimostrava che M.M.C. s.r.l. non
aveva eseguito le prestazioni pubblicitarie e quanto altro assunto in contratto
per favorire l’acquisizione di nuova clientela.
La ricorrente,
infine, trascrive stralci di deposizioni testimoniali (testi B.C. M.V. B.V.
P.D.) riporta dichiarazioni rese dal M nell’interrogatorio formale.
5. Il motivo è
infondato in quanto la Corte di appello non solo ha individuato l’oggetto del
contratto nel servizio di consulenza (tipica obbligazione di mezzi e non di
risultato) per il quale era stabilito un compenso fisso, ma ha anche
considerato che il raggiungimento del risultato (che si voleva ottenere
avvalendosi della consulenza) era diversamente remunerato, così come erano
previste conseguenze economiche negative per il consulente in caso di mancato
raggiungimento di determinati obiettivi.
Con l’atto di
appello era lamentata l’erronea interpretazione del contratto in relazione alla
rilevanza del mancato raggiungimento del risultato e, in particolare, alla
rilevanza del mancato incremento del fatturato e alla mancata acquisizione di
nuovi clienti e su queste censure la Corte di Appello ha motivatamente e
correttamente deciso osservando che queste mancanze non potevano incidere sul
compenso fisso pattuito per l’attività di consulenza.
Nel motivo di
ricorso si riproducono stralci di testimonianze che hanno rilievo in relazione
alla dimostrazione del mancato raggiungimento del risultato (si riferiscono
sostanzialmente al mancato incremento della clientela e marginalmente alla
preesistenza di documenti prodotti da M., alla preesistenza di traduzioni di
listini, alla mancanza di un piano di riorganizzazione) ma non rilevano quanto
all’obbligazione, generica, di fornire la consulenza, così come non rileva il
fatto che i listini fossero già stati tradotti prima del contratto con M.M.C.
s.r.l.
Non è pertinente
il richiamo del ricorrente a Cass. S.U. 11/1/2008 n. 577 per inferirne
l’irrilevanza della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di
risultato, perché nel richiamato precedente questa Corte a S.U. si era occupata
del diverso problema della responsabilità della struttura sanitaria per danni
al paziente, semplicemente affermando che la struttura deve fornire al paziente
una prestazione, definita di "assistenza sanitaria", che ingloba al
suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di
obblighi c.d. di protezione ed accessori così che la responsabilità per inadempimento
è quella dell’art. 1218 c.c. e per quanto concerne le obbligazioni mediche
l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento
di obblighi propri della struttura si deve abbandonare il richiamo alla
disciplina del contratto d'opera professionale, fondandosi la responsabilità
dell’ente per fatto del dipendente sulla base dell'art. 1228 c.c.; analoghe
considerazioni valgono per il precedente di cui a Cass. 13/4/2007 n. 8826, pure
riferito a responsabilità della struttura sanitaria per aggravamento delle
condizioni di salute del ricoverato.
La distinzione
tra obbligazione di risultato e obbligazione di mezzi (entrambe dirette a far
conseguire una utilitas al creditore della prestazione) non perde rilevanza
nella giurisprudenza di questa Corte, ma, nel primo caso, il risultato stesso è
in rapporto di causalità necessaria con l'attività del debitore, non dipendendo
da alcun fattore ad essa estraneo, mentre nell' obbligazione "di
mezzi" il risultato dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da
fattori ulteriori e concomitanti non controllabili dall’obbligato; ne consegue
che il debitore "di mezzi" prova l'esatto adempimento dimostrando di
aver osservato le regole dell'arte e di essersi conformato ai protocolli
dell'attività, mentre (differentemente dall’obbligato ad un risultato) non ha
l'onere di provare che il risultato è mancato per cause a lui non imputabili
(cfr., da ultimo, Cass. 28/2/2014 n. 4876).
Nella specie,
nel corso del giudizio di merito, la violazione del dovere di condotta è stato
dedotto con riferimento al mancato raggiungimento del risultato e la Corte di
Appello, come detto, ha plausibilmente motivato escludendo la rilevanza del
mancato raggiungimento del risultato essendo comunque dovuto un compenso per
l’attività di consulenza.
I contenuti
delle prove orali, come riportati nel ricorso, secondo la società ricorrente,
sarebbero stati trascurati (con omesso esame di fatti, decisivi, violazione
degli artt. 112 e 116 c.p.c. e dell’art. 1453 e ss. per la mancata pronuncia
della risoluzione per inadempimento).
Tuttavia, atteso
il contenuto dell’obbligazione contrattuale, come correttamente ricostruito dal
Giudice di Appello (e prima ancora dal giudice di primo grado), le prove
testimoniali asseritamente trascurate e le connesse censure di cui al motivo,
innanzitutto introducono questioni di puro merito e, comunque, sono irrilevanti
rispetto al contenuto dell’obbligazione di consulenza per come pattuita in
contratto, essendo previsto che in ogni caso (quindi anche se la consulenza non
si fosse tradotta in un aumento del fatturato o nel procacciamento di nuovi
clienti, fermo restando che la consulenza non deve necessariamente tradursi in
un prodotto materiale o in un documento) un compenso fisso; la motivazione della
Corte di Appello, sotto l’evidenziato profilo, risulta essere del tutto
assorbente, con ciò costituendo implicito rigetto della domanda di risoluzione
per inadempimento e implicita esclusione di una responsabilità del debitore per
inadempimento contrattuale.
3. In
conclusione il ricorso deve essere rigettato; non v’è luogo a provvedere sulle
spese in quanto parte intimata non ha svolto attività difensive.
Ai sensi
dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1
comma 17 della l. n. 228 del 2012, tenuto conto che il ricorso è successivo al
31/1/2013, deve dichiararsi la sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso
principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso.
Sussistono i
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi
dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1
comma 17 della legge n. 228 del 2012.
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