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martedì 14 aprile 2015

Rapina in azienda: responsabilità datoriale

Nella sentenza n.7405 del 13 aprile 2015, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in caso di mancata adozione di misure volte a tutelare i dipendenti dalle possibili azioni delittuose poste in essere da terzi, il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere dei danni subiti dal lavoratore nel corso di una rapina.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Salerno aveva rigettato il gravame proposto da un dipendente di Poste Italiane Spa nei confronti della datrice di lavoro e dell’Inail avverso la decisione di prime cure, che aveva disatteso la domanda di risarcimento dei danni subiti per effetto di tre successive rapine di cui era rimasto vittima nello svolgimento della sua attività presso l'ufficio di Roccadaspide, località Fonte.

Nel motivare la propria decisione, la Corte territoriale, rilevato che la responsabilità datoriale ex art.2087 cc non ha carattere oggettivo, aveva ritenuto l’inidoneità delle misure effettivamente adottabili per scongiurare gli eventi delittuosi, così escludendo, in concreto, il nesso di causalità tra la mancata adozione degli accorgimenti che si assumevano essere stati omessi (sistemi di videosorveglianza, collegamento diretto con le forze dell’ordine, sistemi di apertura a tempo ovvero di allarme interno) e la verificazione degli eventi stessi.

Avverso l’anzidetta sentenza, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che la società, pur avendo l’obbligo di adottare ogni cautela necessaria per scongiurare il verificarsi di eventi pregiudizievoli per i dipendenti, non avesse utilizzato tutti gli strumenti tecnici messi a disposizione dalla tecnologia dell’epoca dei fatti.

Investita della questione, la Cassazione ha precisato preliminarmente come la disamina delle predette censure dovesse tener conto del contesto fattuale per cui è causa, caratterizzato, secondo quanto già accertato nei gradi di merito, dalle seguenti circostanze:

a) gli eventi delittuosi di cui il lavoratore era stato vittima si erano realizzati al di fuori dell’ufficio postale e, in particolare, nel momento in cui egli risultava intento a sollevare la saracinesca che vi dava accesso;

b) l'unica misura di tutela attuata dalla parte datoriale consisteva nell'essere il bancone protetto da vetri antisfondamento, mentre nessun mezzo di sicurezza rivolto all'esterno era stato concretamente realizzato ed attivato.

Ciò ricordato, gli ermellini hanno osservato come la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro fosse insita nella tipologia dell'attività esercitata, stante la movimentazione, per quanto contenuta essa fosse, di somme di denaro ed avesse trovato un riscontro concreto nei fatti dedotti in giudizio, contrassegnati addirittura da una plurima reiterazione degli indicati fatti delittuosi.

Non può dunque dubitarsi che fosse preciso dovere della parte datoriale predisporre e mantenere in efficienza quei mezzi di tutela, concretamente attuabili secondo la tecnologia disponibile nel periodo, almeno potenzialmente idonei a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, in ossequio al principio dettato dall’art.2087 c.c. Il che non significa che tali mezzi dovessero essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi dovevano consistere in quelle misure che, secondo criteri di comune esperienza, potevano risultare atti a svolgere, al riguardo, una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva e protettiva.

Queste, in sostanza, le considerazioni che hanno indotto gli ermellini a cassare la sentenza impugnata,  rinviando la decisione alla Corte di Appello di Salerno, che, in diversa composizione, dovrà dirimere la controversia tenendo conto dei rilievi sopra riportati.

Valerio Pollastrini

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