Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


giovedì 26 marzo 2015

Denominare i files con espressioni volgari non legittima il licenziamento

Nella sentenza n.5878 del 24 marzo 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che la denominazione di alcuni files con espressioni volgari non costituisce un’infrazione così grave da giustificare il licenziamento del dipendente.

Il caso di specie è quello del licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice che aveva rubricato dei file aziendali utilizzando le locuzioni "merda" e "nuova merda".

Riformando la pronuncia del Tribunale, che aveva rigettato l’impugnativa di recesso proposta dalla donna, la Corte di Appello di L’Aquila aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione della tutela reale.

A sostegno del decisum la Corte territoriale aveva osservato come,  per quanto censurabile sotto il profilo della correttezza, la condotta della lavoratrice non costituiva un’infrazione tanto grave, sia soggettivamente che oggettivamente, da ledere in maniera irreparabile l’elemento fiduciario posto alla base del rapporto.

Detta condotta, infatti, era risultata del tutto episodica e non aveva  manifestato un disprezzo al decoro e all'immagine aziendale, né poteva annoverarsi nella fattispecie dell’insubordinazione.

La Corte del merito aveva poi sottolineato che, non essendo emersi altri abusi nell’utilizzo dei beni aziendali affidati alla lavoratrice, la vicenda, valutata nella sua complessità, non giustificava, sotto il profilo della congruità, l'adozione della massima sanzione espulsiva, risultando, al massimo, passibile  di sanzione di tipo conservativo.

Avverso questa sentenza, la società datrice di lavoro  aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo che la Corte territoriale sarebbe addivenuta "alla incoerente conclusione che il fatto non si fosse verificato", risultando comunque la sentenza impugnata contraddittoria e illogica rispetto all'acquisito corredo probatorio.

La ricorrente aveva lamentato, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe sminuito l'esatta portata del fatto sotto il profilo oggettivo, caratterizzato dal disprezzo della dipendente per il proprio lavoro, e non avrebbe considerato che la condotta censurata era intervenuta a pochi mesi di distanza dall’inizio del rapporto ed a seguito di una precedente contestazione disciplinare per altri fatti.

Investita della questione, la Cassazione ha rilevato innanzitutto come, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte territoriale avesse riconosciuto la sussistenza della condotta nella sua materialità.

Conseguentemente, gli ermellini hanno ritenuto infondata la deduzione della violazione del giudicato interno relativamente all’accertamento del fatto storico su cui la vicenda risulta incentrata.

Parimenti, quanto testé osservato esclude, altresì, la sussistenza di vizi motivazionali relativi alla ricostruzione delle circostanze fattuali oggetto di giudizio, che la Corte territoriale aveva colto nella loro effettiva materialità.

Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha concluso rigettando il ricorso.

Valerio Pollastrini

Nessun commento:

Posta un commento