Il caso
di specie è quello del licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice
che aveva rubricato dei file aziendali utilizzando le locuzioni "merda" e "nuova merda".
Riformando
la pronuncia del Tribunale, che aveva rigettato l’impugnativa di recesso
proposta dalla donna, la Corte di Appello di L’Aquila aveva dichiarato
l’illegittimità del licenziamento, con conseguente applicazione della tutela
reale.
A
sostegno del decisum la Corte
territoriale aveva osservato come, per
quanto censurabile sotto il profilo della correttezza, la condotta della
lavoratrice non costituiva un’infrazione tanto grave, sia soggettivamente che
oggettivamente, da ledere in maniera irreparabile l’elemento fiduciario posto
alla base del rapporto.
Detta
condotta, infatti, era risultata del tutto episodica e non aveva manifestato un disprezzo al decoro e
all'immagine aziendale, né poteva annoverarsi nella fattispecie dell’insubordinazione.
La Corte
del merito aveva poi sottolineato che, non essendo emersi altri abusi
nell’utilizzo dei beni aziendali affidati alla lavoratrice, la vicenda,
valutata nella sua complessità, non giustificava, sotto il profilo della
congruità, l'adozione della massima sanzione espulsiva, risultando, al massimo,
passibile di sanzione di tipo
conservativo.
Avverso
questa sentenza, la società datrice di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo
che la Corte territoriale sarebbe addivenuta "alla incoerente conclusione che il fatto non si fosse verificato",
risultando comunque la sentenza impugnata contraddittoria e illogica rispetto
all'acquisito corredo probatorio.
La
ricorrente aveva lamentato, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe sminuito
l'esatta portata del fatto sotto il profilo oggettivo, caratterizzato dal
disprezzo della dipendente per il proprio lavoro, e non avrebbe considerato che
la condotta censurata era intervenuta a pochi mesi di distanza dall’inizio del
rapporto ed a seguito di una precedente contestazione disciplinare per altri
fatti.
Investita
della questione, la Cassazione ha rilevato innanzitutto come, contrariamente a
quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte territoriale avesse riconosciuto la
sussistenza della condotta nella sua materialità.
Conseguentemente,
gli ermellini hanno ritenuto infondata la deduzione della violazione del
giudicato interno relativamente all’accertamento del fatto storico su cui la
vicenda risulta incentrata.
Parimenti,
quanto testé osservato esclude, altresì, la sussistenza di vizi motivazionali
relativi alla ricostruzione delle circostanze fattuali oggetto di giudizio, che
la Corte territoriale aveva colto nella loro effettiva materialità.
Sulla
base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha concluso rigettando il
ricorso.
Valerio
Pollastrini
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